La scrittrice le invia alla giovane amica Marta Maria Pezzoli, detta Mattìa, tra il 1940 e il 1944. Il libro “Vera gioia è vestita di dolore”, edito da Adelphi e curato da Monica Farnetti, ha una nota del nipote di Mattìa, Stefano Pezzoli, che LM pubblica in esclusiva nella sua versione integrale
«Mattìa, sentivo il desiderio assillante di trasformarmi improvvisamente in onda, in musica, in armonia; abbandonare questo corpo monotono e insignificante, raggiungere e sparire nell’Immenso. Essere “figlia del sole”, quante volte l’ho desiderato anch’io. Ma questo presuppone tutto uno stile, una sicurezza, una forza che io non ho. Debole e incerta come una schiava, sono; come una fontana, che, solo quando passa il vento, si agita e scintilla; e poi mormora umile a terra».
Con la cura di Monica Farnetti per l’editore Adelphi, esce ora Vera gioia è vestita di dolore, la raccolta di lettere inedite di Anna Maria Ortese a Marta Maria Pezzoli, detta Mattìa, una giovane incontrata dalla scrittrice a Bologna in occasione dei Littoriali femminili della cultura e dell’arte, nel maggio del 1940.
Nasce fra loro un’intesa che, come precisa la Ortese, che vive ancora a Napoli e cura la madre malata, è tenerezza di sorelle: «Ti sono così grata di essermi vicina in questo tempo difficile – sola sorella». Una amicizia intensa alimentata dalla loro differenza di carattere che si interrompe nel 1944 e non sappiamo perché, anche se Farnetti fa l’ipotesi che a dividerle sia l’antifascismo della scrittrice che a Napoli ha cominciato a scrivere sulla rivista Sud. Mattia è malinconica, sollecita, percettiva, Anna Maria mutevole, tempestosa, ferita dalla morte del fratello sul fronte albanese, intenta a coltivare la sofferenza, sua «vera patria», a trasformarla in conoscenza.
Pubblichiamo lo scritto integrale del nipote di Mattìa, Stefano Pezzoli, che ha trovato le lettere solo dopo la morte della zia. Il suo testo, ridotto, si trova sul volume di Adelphi Vera gioia è vestita di dolore.
***
Di Stefano Pezzoli
Biografia di Marta Maria Pezzoli
Marta Maria Pezzoli nasce a Bologna il 18 settembre del 1918 da Antonio, commerciante di canapa e da Letizia Guizzardi, figlia di Enrico, noto venditore di tessuti fra Otto e Novecento, che annoverò nella sua clientela Gabriele D’Annunzio ed Eleonora Duse. Il padre di Marta Maria fu un pioniere del ciclismo ottenendo diversi successi in gare ufficiali nell’ultimo decennio dell’Ottocento (fra cui un record italiano) e fu anche fra gli iniziali promotori locali del Touring Club Italiano, collaborando alla stesura della prima carta turistica d’Italia e della prima «guida rossa» dell’Emilia-Romagna (1). Pezzoli, col fratello Primo, svolgeva una fiorente attività di commercio della fibra di canapa prodotta nella pianura a nord di Bologna.
Marta Maria è la più piccola fra due sorelle e due fratelli nati fra il 1905 e il 1914, e pure di altri cinque cugini, costituenti una vivace compagnia di giochi che si annodava a Paderno, sui primi colli, nella villa La Torretta dei Guizzardi. Lei, per via dell’età, viene tenuta fuori da questo consesso, sente l’esclusione. «Io non so certo spiegarti perché sto sola. Dipenderà forse dal fatto che sono cresciuta fuori dalla compagnia numerosa di fratelli e cugini. Ero piccola e non mi prendevano nei loro giochi indiavolati. Allora poco a poco sono stata sola, quasi inavvertitamente. Dopo era difficile rientrare» (2). Così Marta Maria matura un certo distacco da cose e persone, definendo un carattere silenzioso e riservato, che pure, a tratti, lascerà intravedere nel tempo una vivacità interiore sempre affiorante.
Con la grande crisi apertasi nel 1929 l’attività condotta dalla ditta della famiglia paterna subisce un tracollo, col dimezzamento del prezzo della canapa, con la fine della libera contrattazione del prodotto e nel contempo coll’irreversibile e forte contrazione della stessa canapicoltura, anche messa in crisi da un’altra fibra tessile vegetale, il cotone e pure dalle nuove fibre sintetiche; i fratelli Primo e Antonio Pezzoli da un commercio esercitato in proprio, con corrispondenze anche sul mercato estero, sono drasticamente ridimensionati al ruolo di semplici mediatori e agenti di commissioni locali. La bella residenza monofamiliare in stile liberty, con giardino, in via Vallescura 8, nell’elegante quartiere di villini a sud del centro antico, viene dismessa e soprattutto la villa La Torretta di Paderno è ceduta «a porte chiuse» e Marta Maria soffre di queste perdite, dell’improvvisa scomparsa del suo «universo» infantile; tantoché ancora da adulta ricorderà questa amputazione, i mobili familiari mai più rivisti e addirittura i suoi giocattoli non più restituiti. «Io penso che la mia vita sia stata in due tempi: prima ero una bambina poi non lo sono stata più senza passare consapevole in mezzo a quella beata età sui diciassette anni [..]», considerazione che esprime alla fine del 1941 (3).
La famiglia Pezzoli si trasferisce in un appartamento in affitto in via Frassinago 24 e dal 1931, all’ultimo piano, un tempo alloggio per la «servitù», della villa di proprietà Rossi Acquaderni (4), costruzione neoclassica circondata (al tempo) da un ampio parco e situata sulle primissime pendici del colle dell’Osservanza, al termine del viale del Risorgimento, diramazione meridionale della pedecollinare via Saragozza. Questi riferimenti abitativi e topografici, tutti collocati nella stessa parte della città, (zona di porta Saragozza), abitata per oltre settant’anni da Marta Maria, fanno pensare quasi ad una situazione ambientale, ad un raggrumarsi nel tempo dei propri ricordi nel medesimo spazio, ad una staticità di vita prevalentemente vissuta fra le mura di casa, quella di viale Risorgimento, per sessant’anni di fila. Sintomi precisi di un raccoglimento in sé stessa e di un quadro esistenziale depresso si possono cogliere nella corrispondenza con Luisa Mezzetti, amica per tutta la vita; le lettere di Marta Maria sono andate disperse, però restano, numerose, quelle di Luisa, inviate fra il 1933 e il 1943. Dalle risposte si capisce di una pervasiva insoddisfazione, di un rifugio in sé, di un rifiuto a fronte di una realtà che sente negativa. «Non so perché tu mi consigli di non “pensare”: spiegamelo» risponde Luisa dalla villeggiatura appenninica di Monteombraro, nel contesto di una costante situazione di noia, come ben descritta in tante lettere, in vacanze trascorse coi genitori e altre persone uggiose. Il suggerimento dato da Marta all’amica implica la negazione dell’analisi delle circostanze. L’opzione scelta in un quadro avverso è di fuga e nascondimento. In una lettera del 1940, dove già ha detto del suo distacco anagrafico da sorelle e fratelli maggiori, viatico alla sua solitudine, aggiunge: «molte cose mi fanno dispiacere, allora non guardo» (5).
Tornando al percorso biografico sappiamo che Marta Maria frequenta fra il 1933 e il 1938 il liceo classico Luigi Galvani (6). Ottenuto il diploma di maturità s’iscrive alla facoltà di Lettere e Filosofia nell’anno accademico 1938-1939, scegliendo l’indirizzo moderno. Il 23 marzo 1939 aderisce al Gruppo Universitari Fascisti (7) e il 20 ottobre del 1940 s’iscrive al Partito Nazionale Fascista (8). Si laurea il 4 marzo del 1943 con voti 108 su 110. La tesi ha come titolo L’Algarotti a Bologna, relatore il professore Carlo Calcaterra (9). Lo scritto, premesso un quadro sulla società bolognese del tempo, sullo Studio e sull’Istituto delle Scienze, «giovanile palestra» del letterato veneziano (10), sviluppa i due periodi bolognesi dell’Algarotti (1726-1732 e 1756-1761); il primo sotto la guida del matematico, astronomo, idraulico e letterato Eustachio Manfredi e del filosofo e letterato Francesco Maria Zanotti, col quale si schiude ad una sperimentazione poetica; il secondo in cui procede ad una produzione di taglio artistico e letterario. I successivi capitoli illustrano l’Algarotti sui diversi fronti, filosofico, scientifico, letterario e artistico, il tutto con un’ampiezza di fonti citate e di riferimenti da superare il tema della formazione a Bologna dell’inquieto intellettuale veneziano e divenire una minuziosissima indagine del personaggio indagato nel suo ossessivo confrontarsi con la filosofia e la scienza del Seicento; e pur vengono colte la tensione ad un arricchimento linguistico nella sua scrittura, come pure nuove aperture nella critica d’arte.
Dalle votazioni scolastiche, sia liceali che universitarie, traspare una maggiore propensione di Marta Maria Pezzoli per le «lettere italiane» e la letteratura italiana, e si nota la scelta, fra i complementari, di storia della lingua italiana. In un contesto di risultati non particolarmente brillante si delinea un consolidamento su questo fronte di studio; il suo carattere assai timido e introverso è determinante a frenarla rispetto alla frequentata traiettoria dell’insegnamento e la orienta verso il silenzioso e appartato mondo bibliotecario, come nella percezione che comunemente si poteva cogliere nella prima metà del secolo scorso.
Dal primo di novembre del 1942 Marta Maria Pezzoli inizia la sua attività lavorativa come avventizia presso la Biblioteca Universitaria di Bologna, nel 1944 s’iscrive a un corso di perfezionamento in biblioteconomia ed archivistica; il primo luglio del 1951 viene nominata bibliotecario in prova. Dal 1° luglio 1954 diventa bibliotecario di seconda classe e il 20 gennaio 1960 è promossa alla qualifica di bibliotecario di prima classe. Nel 1968 è promossa al livello di «direttore di biblioteca di seconda classe» e viene invitata dal Ministero ad assumere la direzione di una sede bibliotecaria vacante o di soprintendenza pure vacante, in importanti città capoluogo, fra cui Bari, Palermo, Catania. Marta Maria Pezzoli declina l’invito, spaventata dall’allontanamento dalla città natale e dal non ritenersi all’altezza per compiti di maggiore responsabilità (11). Va in pensione con la qualifica di Dirigente Superiore il 20 giugno 1973. Durante il servizio lavorativo pubblica un articolo dedicato all’attività sportiva del padre (12) e una memoria sul bibliotecario Andrea Caronti (13) che fu direttore della Biblioteca Universitaria di Bologna dal 1866 al 1878 e ne curò il catalogo degli incunaboli (14). Nel corso della trentennale esperienza di lavoro consolida una profonda amicizia con il collega Ferdinando Rodriquez (15), di origini napoletane, assunto alla Biblioteca Universitaria dall’inizio del 1941. Fra i due bibliotecari si viene a formare una specie di «sodalizio» che li vede molto uniti sul fronte professionale (16), e che coinvolge nel legame anche la moglie del Rodriquez, Enrica Soncini, e con una frequentazione fuori dall’ambito di lavoro, per molti anni trascorrono insieme le vacanze a Napoli, sempre con assidue visite a Pompei ed Ercolano. Marta Maria mantiene anche un legame particolare, direi quasi di devozione, per il fratello Giovanni (17), specialmente nella vedovanza di questi, assistendolo amorevolmente nei suoi ultimi tempi. Alcuni anni più tardi, scomparso anche Ferdinando Rodriquez, Marta, non rassegnata alla solitudine, avverte l’esigenza di esternare quello che ha sempre fatto, scrivere poesie: nel 1988 pubblica un libretto, Da un diario, ove raccoglie testi degli anni Ottanta (18), ma il primo scritto è del 1938, segno inequivocabile di una lontana inclinazione. Fra le parole sta precisa la consapevolezza di ciò che ha perduto e di quello che è stato: Ero bella/non sono stata amata / Ero bella, ma non lo sapevo.
Dopo il 1991 Marta Maria è costretta a lasciare la casa di viale del Risorgimento e trova dimora agli antipodi del quartiere da sempre vissuto da lei, e questo le provoca disorientamento e acuisce le sue malinconie. Convive con la sorella maggiore Pia e Enrica Soncini, vedova del collega Rodriquez. Tredici anni di differenza e differenza di carattere avevano prodotto un certo distacco tra le sorelle, in Marta quasi un senso di paura. Inoltre, Pia era stata per anni lontana (19), nell’«Africa orientale italiana», laggiù aveva perso il marito, era rientrata, aveva condotto una vita proiettata fuori casa, si era risposata, passando poi molta parte dell’anno sulla riviera ligure. Così Marta l’accudisce nel tempo finale, non avendola mai avuta vicino prima. Intanto, avanzando gli anni, Marta vuole sciogliere l’afflizione di sempre, uno sfortunato amore tragicamente concluso nel 1945. Così decide di rendere note le lettere da lei scritte come «madrina di guerra» fra il 1940 e il 1944 ad Adriano Visconti, tenente pilota di stanza in Cirenaica (20). Pubblica un volumetto, La stanza calda, dove in una brevissima premessa stringe la vicenda: come il nome e l’indirizzo del Visconti le fossero stati dati dal Guf bolognese, come le sue lettere le avesse distrutte lei stessa alla fine del 1943, mentre quelle che lei aveva indirizzato le fossero state restituite dalla sorella del Visconti, Valentina. E poi il tragico epilogo, l’uccisione del Visconti a Milano, il 29 aprile del 1945 (21). Seguono le sue ventisette lettere, alcuni frammenti diaristici e cinque poesie. Dalle lettere traspira da parte di Marta una grande voglia di comunicare, con una spigliatezza inaspettata, mentre da parte dell’aviere si percepisce molta compostezza: lei in due occasioni lo definisce «gentile e autoritario» e poi «taciturno». Non sappiamo se lui raccontasse della guerra, di quel coraggio che tracimava nella spericolatezza, come riferisce la sua biografia bellica; sicuramente Marta Maria viveva quelle imprese come un affare da uomini, che si identificava semplicemente con la virilità. «Dell’aviatore lontano che ti risponde per te sono contenta» le scrive Anna Maria Ortese nel febbraio del 1941, rendendo evidente che per Marta era molto di più che un incontro sostenuto per semplice disponibilità, magari alimentata da curiosità. I due corrispondenti s’incontrano a Bologna il 6 marzo 1941 e si capisce che per Marta questo rapporto ha già oltrepassato la soglia dell’amicizia. Ma poco dopo lui le rivela di essere fidanzato. Marta accusa il colpo, continua a scrivere, ma tutto si vela di tristezza, s’intravede che lui sta sulla difensiva e dirada le risposte. Nell’ultima lettera che lei scrive, il 5 ottobre del 1944, c’è un accenno al suo lavoro in biblioteca e l’affermazione «non voglio insegnare», che ribadisce la sua chiusura a situazioni di esternazione e dialogo obbligate. Inoltre, nello scritto, viene citata una lettera che lei aveva scritto alla rivista degli aviatori (22), con un «ritratto» del pilota Visconti dove si coglie confidenza e complicità col carattere temerario dell’uomo. Adesso, davanti a un testo che ora appare incosciente alla luce della tragicità degli eventi, ma che all’epoca mirava a dare sostegno e «visibilità» ai combattenti, viene da pensare che quella sleale uccisione di Visconti, sia pure nella temperie della guerra, abbia voluto colpire il combattente «in vista» più che l’ufficiale repubblichino. In seguito, di tutta questa coinvolgente vicenda, che forse fu la causa o una causa dello spegnimento dell’amicizia con Anna Maria Ortese, Marta Maria parlò pochissimo, anche dopo l’uscita della pubblicazione che lei dedicò a quegli avvenimenti.
Marta Maria Pezzoli muore nella casa di via Barontini, nel quartiere S. Donato, il 9 novembre del 2002.
Questa è la traiettoria biografica. Ora torniamo agli anni cruciali della giovinezza, alla breve ma intensa amicizia con Anna Maria Ortese, vicissitudine di cui non raccontò nulla, almeno sino alle soglie della vecchiaia. Nulla sul rapporto epistolare. Solamente dopo la sua morte trovai le lettere e le cartoline che le aveva scritto l’Ortese fra il 1940 e il 1944. Ero a conoscenza del fatto che si erano incontrate a Bologna in occasione dei Littoriali femminili della cultura e dell’arte, inaugurati il 3 maggio del 1940 (23), perché me lo aveva detto lei stessa, senza però offrire alcun particolare dettaglio. Nell’occasione mi mostrò lo straordinario ritratto fotografico che l’Ortese le aveva dato, dove la scrittrice guarda dritto davanti a sé, e comunica un intenso carico di sé stessa, in bilico fra sfida e accoglimento. La fotografia reca la firma commerciale del fotografo Palomba/Napoli (24) e la dedica: A Marta Maria Pezzoli, con affetto fraterno Anna Maria 4 novembre 40 Napoli. L’immagine, fino ad ora del tutto inedita, si distacca nettamente da tutte quelle conosciute della scrittrice, unico ritratto dedicato insieme a quello del 1953, che sta sulla copertina della monografia a lei intitolata da Luca Clerici (25). Ma fra i due volti scorre molto tempo, ben più dei tredici anni intercorrenti. Già la postura, di tre quarti ed in atteggiamento schivo quello del 1953, diretto e prorompente quello del 1940. In questa fotografia sconosciuta, ricomparsa fra le lettere, emerge la bellezza fisica, una bellezza che numerosi anni indigenti e di vita faticosa avrebbero inesorabilmente logorato. Il ritratto ignorato mostra di Anna Maria Ortese una cifra non detta.
L’attenzione di Marta Maria per l’Ortese deriva fondamentalmente dalla lettura dell’«opera prima», Angelici dolori, come ebbe a dirmi la sua amica di sempre Luisa Mezzetti, un libro che si scambiarono, e che in Marta suscitò una dimensione identificativa – «vivo all’incirca come la protagonista dei racconti Angelici dolori» – come scriverà al corrispondente Adriano Visconti (26); la misura riservata e molto schiva di Marta Maria, però stratificata su profondità sensitive, aveva trovato terreno fertile e un’atmosfera liberatoria nelle fantasie lirico favolistiche e surreali dell’Ortese.
Nulla ho saputo dell’inizio del rapporto epistolare fra Marta e Anna Maria, del quale si sono conservati solamente gli scritti dell’Ortese, e sicuramente non tutti. Lo fa capire una numerazione progressiva a matita che Marta aveva apposto sulle buste e il primo numero che compare è il 20. La prima traccia risale al 22 maggio del 1940, una cartolina illustrata inviata da Napoli, dove Marta Maria viene chiamata già confidenzialmente Mattia, modificazione del nome in chiave abbreviativa da sempre usata in famiglia e nella cerchia amicale, ma sicuramente non è la prima comunicazione inviata. È scritta a matita, visibilmente in modo sbrigativo; la cartolina reca il timbro della Triennale d’Oltremare che inaugurò il 9 maggio 1940 e un mese dopo chiuse per via dell’entrata in guerra dell’Italia. La non completezza dell’epistolario conservato da Marta Maria è anche evidente dalla terza cartolina che si è trovata, del 14 dicembre del 1940, dove si fa riferimento a una lettera spedita in precedenza, andata dispersa. Lo scritto si apre con le scuse per una cartolina non scelta, e in effetti di qualità modesta, un riconoscimento dell’indubbio gusto estetico di Marta, che va di passo con quello dell’Ortese, evidentissimo nella galleria d’immagini che offre all’amica. Nel breve testo c’è un accenno – «le medicazioni del taglio la fanno soffrire molto» – ad un intervento subito dalla madre di cui non sappiamo. La chiusura rivela che è maturata in Anna Maria una certa intensità e confidenza: «ti voglio bene, perché forse sei l’ultima amica». E ancora nella successiva comunicazione (19.12.1940) si congeda chiamandola «sola sorella». Poco tempo dopo, una lettera del 19 gennaio 1941, dice della morte in Albania del fratello gemello Antonio «ucciso da i briganti» (27). Il 10 febbraio successivo c’è un riferimento al fratello di Marta («sia protetto dal Signore») che ripete in chiusura, segno dell’inquietudine trasmessa, per una sorte incerta (28); e chiede notizie anche della sorella, che è in Abissinia, già sotto l’attacco delle truppe inglesi (29). La sorella Pia che compare anche nella lettera inviata il 27 febbraio – «Sono contenta per i tuoi del telegramma della sorella» – avendo dato un segnale d’esistenza dall’Asmara; il medesimo scritto si chiude con un quasi rimprovero all’amica – «Perché non hai partecipato ai Litt.? Tutti lo possono, sai pure» – che mette in evidenza la timidezza e la ritrosia di Marta ad esporsi pubblicamente, a gareggiare. Il 12 marzo del 1941 l’Ortese dichiara di aver ricevuto dall’amica una copia del mensile «Architrave» (30), recante un articolo di Marta Maria intitolato Nota per A. de Cèspedes (31). Nello scritto viene contestato il successo del romanzo Nessuno torna indietro, che secondo l’autrice è da ridimensionare, e soprattutto non vi riconosce il quadro di «vaste passioni» che vi coglie la critica del momento, ma solo «le angosce proprie di ragazze tra i diciassette e i venticinque anni, le protagoniste del libro». Per Marta «vaste passioni» sono da intendere «piuttosto l’agitazione torbida delle folle di un Steinbeck proletario, o le vicende dei marinai Malavoglia». Non vi trova la costruzione solida del romanzo, ma una sommatoria di vicende spezzettate, «ravvicinamento di tante vite» da cui «non esce nulla di originale». Alla de Cèspedes contrappone la sua scrittrice prediletta, Katherine Mansfield, e la cita, prendendo considerazioni da Diario: «[..] io voglio, attraverso la comprensione di me stessa, arrivare a comprendere gli altri [..]» (32). Questa uscita sulla Mansfield, che l’Ortese apprezza particolarmente – «il ricordo della Mansfield, la purissima, la incantata Mansfield» (lettera del 12 marzo 1941) – sta tutto nel carattere intimo di Marta Maria, perennemente in fuga da una società che sente falsa, mentre lei ha forte aspirazione alla verità, un po’ dentro alla tendenza ad identificarsi nella donna sola con sé stessa, all’interno di un mondo chiuso e ostile; pertanto sente vicinissima la Mansfield, una ricercatrice di assoluto, pervasa pure di malinconia esistenziale, della quale pregia la scrittura semplice e discorsiva, pure ricca di elementi poetici, intessuta di sottili dettagli, nel segno di un’osservazione delicata, vibrata da una profonda emotività. Prosegue l’Ortese: «Scrivi Mattia, cioè “osserva, pensa, medita, lavora”, e poi “scrivi”: tu avrai la tua grande ricompensa». Ancora in una successiva lettera, del 19 marzo 1941, Anna Maria insiste: «[..] leggi ancora e ancora scrivi: tu hai delle ide che rischiarano quelle altrui, non ti sembra ma è così [..]».
Sul finire di quel mese di marzo ci sono più accenni ad un possibile incontro fra le due amiche a Firenze, dopo la partecipazione dell’Ortese ai Littoriali della Cultura a San Remo, che si svolgono fra la prima e la seconda settimana di aprile. La giornata fiorentina si svolge l’11 aprile, Venerdì Santo, una giornata di sole e di luce, cui partecipa anche l’amica di Marta, Luisa Mezzetti. Vengono scattate diverse fotografie, purtroppo perdute. Trapela nell’Ortese un certo nervosismo, quasi un volersi appartare, come ebbe a raccontarmi la stessa Luisa Mezzetti. «Sì, alcuni momenti avrei voluto essere solissima: ma tu ricordati che è sempre troppo poco ciò che si soffre, un dono sempre troppo raro»: così Anna Maria scrive il 15 aprile. Un’eco di quel giorno a Firenze sta ancora in una lettera di Luisa Mezzetti a Marta Maria del seguente 14 maggio: «L’Ortese ti disse che devi continuare a scrivere. Ricordi, eravamo lungo l’Arno in una grande luce» (33). Un ritorno ad un’insistenza che in quella stagione accompagna Marta, e che poi si perderà nel tempo, con le occasioni della vita. La scrittura tornerà, personalissima, nelle poesie di quarant’anni dopo. Il 20 di aprile Anna Maria parla di un «senso di pena» destatole dall’ultima lettera dell’amica, che pare trasudi di grande malinconia, quasi certamente in relazione alla sconfortante rarefazione dei contatti epistolari con «l’aviatore lontano». E allora se ne esce con un riconoscimento di grande espressività: «[..] Mattia, ora voglio dirti che tu hai veramente due bellissimi occhi, io ne ho riportata una grande impressione: calmi e profondi, puri e incantati come una notte d’estate. E la tua anima, limpida e profonda come i tuoi occhi, perché non dovrebbe darti continuamente gioia? [..]». E nella stessa lettera c’è un accenno al giardino nel quale è immersa la casa dove abita Marta, quando Anna Maria le chiede «qualche piccolo seme» di fiore per la madre perché «non è consolata che dai fiori». L’ambiente familiare di Marta Maria sortisce ancora un mese dopo, quando l’Ortese la ringrazia del regalo di una scatola di cioccolatini: qui mi è facile capire la scelta del dono, perché la zia materna di Marta, Angelica Guizzardi aveva sposato Giuseppe Majani, titolare di una famosa fabbrica cioccolatiera di Bologna, risalente alla fine del Settecento. Il 30 di maggio Anna Maria è lieta che l’amica le abbia inviato due sue poesie, e questo svela quella propensione che rifiorirà tanti anni dopo. Le scrive: «[…] Delle poesie m’è piaciuta tanto la prima. Suppongo che debba averti fatto un bene grande lo scriverla, come sollevarsi in punta di piedi e salire verso l’aria. Così è poesia. Ma è la prima? O ne hai scritte altre? Se tu fossi qui, ne potremmo parlare meglio. Rileggo la seconda: chiara e gentile. Ma la prima è intensa [..]». Ortese si meraviglia che il periodico del Guf bolognese Architrave non le abbia pubblicate, ma non sappiamo se Marta Maria le avesse proposte per la stampa; probabilmente no, considerando la sua timidezza. Più tardi, il 22 agosto, nella lettera si chiede del grave incidente occorso, in bicicletta, al padre di Marta, caduta che avrà come conseguenza la perdita della vista da un occhio. Poi, dopo il settembre del 1941, si ha un’interruzione sino all’aprile del 1942 e successivamente una forte rarefazione della comunicazione dell’Ortese, che è quasi tutta su cartoline illustrate. Non sappiamo se eventuali altri scritti siano andati dispersi, anche per via dell’incedere della guerra. Si capisce che Marta Maria scrive di più dell’amica, continua a inviare regolarmente lettere, ma è evidente che la condizione esistenziale delle due amiche va sempre più divaricandosi: Marta vive sempre nello stesso luogo, in casa, e dedica fondamentalmente il suo tempo allo studio per concludere il corso universitario, Anna Maria, in un continuo movimento di situazioni abitative, è tutta tesa a cercare occasioni di pubblicazioni, anche per oggettive implicazioni economiche. Due mondi che si stanno allontanando. Scrive da Roma il 29 aprile del 1943: «[..] ho avuto a che fare con un po’ di miseria [..]»; e nel testo si capisce che al momento per Marta l’afflizione costante sta nell’ufficiale aviatore che non le risponde. C’è un cenno ad una lettera di Anna Maria in una cartolina spedita da San Marino al Cimino, dov’era riparata dalla guerra che lentamente risaliva verso Roma; e ancora le scuse per la «povera cartolina». Un telegramma – «Dammi notizie = Anna Ortese» – del giugno del 1944, da San Martino al Cimino, è l’ultima comunicazione conosciuta fra le due amiche. Della tragedia che a guerra appena finita sconvolge Marta Maria, e la avvia a un perenne rimpianto, si è detto. Forse l’ultimo segnale lo dà Anna Maria, come mi raccontò la stessa Marta Maria, quasi un unico e minimo riferimento a quell’intensissimo rapporto, ma essenziale, perché voleva avvertire della distanza che ormai intercorreva fra due diversi percorsi. Anna Maria in un giorno imprecisato, probabilmente nel 1945, rientrando a Napoli, una domenica mattina, passando da Bologna, telefona dalla stazione a Marta Maria, ma risponde Maria Falchieri, «lavorante domestica» in quella casa da più di vent’anni: «Mi dispiace, ma la signorina è a Messa». In quello stesso periodo Anna Maria s’iscrive al Partito Comunista Italiano (34).
Stefano Pezzoli
13.12.2020
Anna Maria Ortese, “Vera gioia è vestita di dolore, Lettere a Mattia”, a cura di Monica Farnetti, con una nota di Stefano Pezzoli, Adelphi 2023
Le opere di Anna Maria Ortese (1914-1998) sono in corso di pubblicazione presso Adelphi dal 1986; il titolo più recente è “Le Piccole Persone” (2016)
Note:
- Vedi Stefano Pezzoli Antonio Pezzoli, da pioniere della bicicletta a promotore di turismo in Tra passione e professione Il lavoro della canapa nelle fotografie di un cicloturista: Antonio Pezzoli (1870-1943) a c. di Angela Tromellini, Stefano Pezzoli, Silvio Fronzoni, Bologna, Editrice Compositori, 2001; Stefano Pezzoli Da corridore ciclista a ciclista turista. Antonio Pezzoli (1870-1943) in Agli albori del ciclismo bolognese Agonismo, turismo e quotidianità tra ‘800 e ‘900 a c. di Silvia Battistini, Alessandro Fanti, Giuliana Bertagnoni, Bologna, Bononia University Press, 2013. Altre indicazioni sull’entourage familiare di Marta Maria si trovano in Enrica Giardi, Élite femminili di guerra 1940-1945 tesi di laurea in Storia Contemporanea, Università degli Studi di Bologna, anno accademico 1999-2000, relatore Prof. Dianella Gagliani
2. Così scrive in una lettera al pilota Adriano Visconti, col quale corrisponde come «madrina di guerra», nel 1940. Pubblicata in Marta Maria Pezzoli La stanza calda Bologna, Tamari Editori, 1995, p. 21
3. Lettera ad Adriano Visconti del 15 ottobre 1941. Pubblicata in Marta Maria Pezzoli La stanza calda, op. cit., p. 31
4. Il proprietario è Luigi Rossi, commerciante di canapa, marito di Rosa Acquaderni (da cui la denominazione villa Rosina) figlia di Giovanni Acquaderni, fondatore nel 1868 della Società della Gioventù Cattolica (che in seguito generò l’Azione Cattolica), fra i promotori nel 1896 del giornale L’Avvenire, il primo quotidiano cattolico italiano e poi creatore della Banca del Piccolo Credito Romagnolo, poi Credito Romagnolo. Vedi Giampaolo Venturi Il movimento cattolico in Storia dell’Emilia-Romagna a cura di Aldo Berselli, Bologna, Bologna University Press, 1980, vol. III, pp. 481-500; Giampaolo Venturi Storia del Credito Romagnolo Bari, Editori Laterza, 1996, pp. 17-58
5. Lettera ad Adriano Visconti. Pubblicata in Marta Maria Pezzoli La stanza calda, op. cit., p. 21
6. Il liceo, dedicato allo scienziato bolognese Luigi Galvani (1737-1798), fu fondato nel 1860 e fra gli insegnanti vi furono Giosuè Carducci, Giovanni Pascoli, Antonio Pacinotti, Galvano della Volpe; fra gli studenti emerge Pier Paolo Pasolini, diplomato nel 1939. Vedi Il liceo Galvani dall’unità d’Italia a oggi a cura di Meris Gaspari, Bologna, Edizioni Minerva, 2016
7. Detti in modo abbreviato Guf hanno origine dalle prime squadre d’azione universitarie nel 1920 con la funzione di formare la futura classe dirigente fascista. Il loro primo raduno nazionale si svolge a Bologna il 22 febbraio del 1922. L’iscrizione diventa obbligatoria per gli studenti universitari dal 1939. «I Guf proponevano ai giovani una rosa di attività culturali e intellettuali alle quali difficilmente essi avrebbero potuto partecipare altrimenti». La loro vicenda fu sempre segnata dal contrasto fra obbedienza e spirito d’autonomia, fra conformismo e anticonformismo, consentendo talvolta una fuoriuscita dalla militanza fascista. Vedi Ruth Ben-Ghiat Gruppi universitari fascisti (Guf) in Dizionario del fascismo a cura di Victoria de Grazia e Sergio Luzzatto, Torino, Einaudi, 2002, Vol. I, pp. 640-642
8. Come da un attestato rilasciato dalla Federazione dei Fasci Femminili il 29.7.1942 prot. n. 21182/70. Raccolta Stefano Pezzoli, Bologna
9. Carlo Calcaterra, novarese (1884-1952), critico e storico della letteratura italiana, insegnò all’Università cattolica di Milano e all’Università di Bologna. Diresse importanti riviste quali Convivium e Studi petrarcheschi. Approfondì nei suoi studi particolarmente il Seicento e il Settecento. Vedi Dizionario Biografico degli Italiani, XVI (1973), pp. 509-512
10. Francesco Algarotti (Venezia 1712 – Pisa 1764), letterato di vasti interessi e scrittore prolifico, si formò a Bologna, poi fu a Parigi ove concluse i suoi Dialoghi sopra l’ottica newtoniana; in seguito a Londra, a Pietroburgo e in Germania alla corte di Federico II. Compose un Saggio sopra l’opera in musica e Lettere sulla pittura. Vedi Dizionario Biografico degli Italiani, II (1960), pp. 356-360 e Storia della Letteratura Italiana a cura di Emilio Cecchi e Natalino Sapegno, Vol. VI – Il Settecento, Milano, Garzanti, 1968, pp. 513-521
11. Lettera del Ministero della Pubblica Istruzione del 27.6.1968, prot. n. 2709/u «Promozione – sedi vacanti». Lettera di risposta di Marta Maria Pezzoli del 6.7.1968. Raccolta Stefano Pezzoli, Bologna
12. Marta Maria Pezzoli Vecchia Bologna. L’appassionante «Montagnola» e le corse dei velocipedi, in Strenna della «Famèja Bulgnèisa» per il 1957, già apparso in più breve versione ne La Mercanzia: pubblicazione mensile della Camera di Commercio Industria e Agricoltura di Bologna, n. 10, ottobre 1954
13. Marta Maria Pezzoli Ricordo di Andrea Caronti nel settantacinquesimo dalla morte Bologna, Azzoguidi, 1959
14. Gli incunaboli della R. Biblioteca Universitaria di Bologna. Catalogo di Andrea Caronti compiuto e pubblicato da Alberto Bacchi Della Lega e Ludovico Frati Bologna, Zanichelli, 1889
15. Ferdinando Rodriquez (1907-1984), allievo dell’archeologo Amedeo Maiuri, fu anche un libero studioso di archeologia e di storia dell’arte, componendo più di trecento scritti editi. Vedi Marta Maria Pezzoli Ricordo di Ferdinando Rodriquez in «Bollettino d’informazione dell’Associazione Italiana Biblioteche», Anno XXV-1985, n. 2, pp. 242-244; eadem Profilo professionale di Ferdinando Rodriquez e bibliografia dei suoi scritti editi (1927-1982) in L’Archiginnasio Anno LXXXI-1986, Imola, Galeati, 1987
16. Compilarono insieme un regesto di articoli di storia locale bolognese. Vedi Indice per autori e soggetti dei voll. I-XXX (1928-1930; 1954-1980) della Strenna Storica Bolognese a c. di Ferdinando Rodriquez, Marta Maria Pezzoli, in Strenna Storica Bolognese, anno XXXI, Bologna, Pàtron Editore 1981, pp. 339-380
17. Giovanni Pezzoli (1910-1976) fu insegnate di filosofia al liceo scientifico Augusto Righi di Bologna, professore molto amato dagli studenti. Di lui il regista bolognese Pupi Avati ha tratteggiato un ritratto intenso e partecipato in un libro autobiografico. Vedi Pupi Avati, La grande invenzione: un’autobiografia, Milano, Rizzoli, 2013, p. 223
18. Marta Maria Pezzoli Da un diario, Tamari Editori, Bologna, 1988. Vedi Giuseppe Marchetti Da un diario, in «La Gazzetta di Parma», 9 febbraio 1989
19. Pia Maria Pezzoli (1905-1995), fra le prime avvocate a Bologna, aveva seguito il marito Giovanni Battista Ellero, funzionario coloniale, in Eritrea ed Etiopia. Vedi Scritture di colonia; lettere di Pia Maria Pezzoli dall’Africa orientale a Bologna (1936-1943) a cura di Gianni Dore, Bologna, Pàtron, 2004. Di Ellero si sono trovati documenti da lui raccolti (ora depositati presso il Dipartimento di Discipline Storiche dell’Università di Bologna) che ne hanno delineato la figura di valente antropologo, come dimostrano i numerosi riferimenti bibliografici relativi al suo operare.
20. Il «madrinato» era stato sperimentato per la prima volta dall’esercito francese durante la Prima guerra mondiale: un combattente veniva affidato alle cure epistolari di una persona, normalmente donna, allo scopo di sostegno morale e di mantenimento di contatto con la vita civile. In Italia, nel corso della Seconda guerra mondiale, questa modalità di comunicazione ebbe larga diffusione e tale flusso di corrispondenza fu in crescita sino alla fine del 1942. Trovò terreno fertile nei fasci femminili e giovanili, mentre col passare del tempo sollevò forte diffidenza nel partito fascista, sospettoso sulla moralità d’incontri epistolari ritenuti troppo liberi, sino a provocare anche provvedimenti di contrasto. Vedi Elena Cortesi «Madrine di guerra» italiane: gli anni del secondo conflitto mondiale in «Memoria e ricerca», n. 9, gennaio-aprile 2002, pp. 153-167
21. Adriano Visconti di Lampugnano (1915-1945) combatté nell’aeronautica fino al grado di maggiore e fu decorato con quattro medaglie d’argento e due di bronzo; dopo l’8 settembre 1943 aderì alla Repubblica Sociale Italiana continuando a combattere l’aviazione degli alleati. Il 29 aprile del 1945, nelle convulse giornate della liberazione, a Gallarate, si arrese al Comitato di Liberazione Alta Italia per essere consegnato alle autorità militari come prigioniero di guerra; tradotto a Milano nella caserma Savoia Cavalleria, lì venne ucciso, insieme al sottotenente e suo aiutante di volo Valerio Stefanini, colpito alle spalle, senza preavviso. Questa la versione dei fatti riportata in Wikipedia, alla voce Adriano Visconti, mentre, più prudentemente, in un testo curato dall’Ufficio Storico dello Stato maggiore della Difesa si parla, per la tragica fine del Visconti, di «circostanze mai chiarite». Vedi L’Italia nella 2° guerra mondiale: aspetti e problemi in https://www.difesa.it/Area_Storica_HTLM/editoria/1995/in-guerra-V/Pagine/files/Basic-html/page261.html. Un testo biografico a lui dedicato sottolinea un suo certo distacco dalla militanza fascista, lo descrive nel suo atteggiamento militare «puro», «patriottico», con forti tratti antitedeschi, testimoniando una sua espressa avversione nei confronti del trattamento violento esercitato sui civili e delle spoliazioni dei beni della popolazione. Vedi Giuseppe Pesce, Giovanni Massimello, Adriano Visconti Asso di guerra Parma, Albertelli Edizioni, 1997. Adriano Visconti è ricordato nel Smithsonian National Air and Space Museum di Washington come «asso» dell’aeronautica militare italiana.
22. Ho parlato con Adriano Visconti firmato Maria P., in Ali – Periodico degli aviatori italiani, Anno I, n. 14, 2 luglio 1944
23. I Littoriali della cultura e dell’arte ebbero sette edizioni fra il 1934 e il 1941, fino al 1938 a sola partecipazione maschile, poi con anche la presenza femminile, ma in sede separata. Erano stati istituiti per la formazione della futura classe dirigente, ma al loro interno si aprirono anche «spazi aperti a forme di pensiero e di comportamento anticonformista» e queste manifestazioni finirono anche per divenire «un luogo deputato di opposizione e di dissenso». Vedi Ruth Ben-Ghiat Littoriali della cultura e dell’arte in Dizionario del fascismo a cura di Victoria de Grazia e Sergio Luzzatto, Torino, Einaudi, 2002, vol. I, pp. 56-58. Più approfonditamente: Ugoberto Alfassio GRIMALDI MARINA Addis Saba Cultura a passo romano. Storia e strategie dei Littoriali della cultura e dell’arte, Milano, Feltrinelli, 1983. L’Ortese è vincitrice a Trieste nel 1939 nel concorso per una composizione poetica e seconda classificata nella composizione narrativa; pure a Bologna l’anno seguente è «littrice» in narrativa e il 29 giugno 1940 le è attribuito un premio di lire 700 per la composizione narrativa; non è universitaria e non è iscritta al GUF, ma è già scrittrice nota e frequenta gli ambienti culturali napoletani. Vedi Luca Clerici Apparizione e visione – Vita e opere di Anna Maria Ortese, Milano, Mondadori, 2002, pp. 111-117. Fra le carte di Marta Maria ho rinvenuto un biglietto intestato dell’Università di Bologna che a firma del rettore Alessandro Ghigi invita gli intervenuti ai Littoriali a partecipare al rancio [sic!] presso la raffinatissima pasticceria Zanarini, usando una terminologia da caserma senza alcun senso del ridicolo.
24. Lo studio fotografico G. Palomba, come si legge in un’etichetta apposta sul retro della fotografia, venne fondato nel 1906 e al tempo si trovava in via Santa Brigida 68, a fianco dell’ingresso settentrionale della Galleria Umberto I. Di Palomba la Biblioteca Nazionale di Napoli conserva un ritratto del poeta Ferdinando Russo risalente circa al 1910, quando lo studio era in via Roma (ora Toledo) 126 (L.P. R. Di Giacomo Foto 0241)
25. Vedi Luca Clerici Apparizione e visione – Vita e opere di Anna Maria Ortese, op. cit.
26. Lettera del 23.8.1940. Vedi Marta Maria Pezzoli La stanza calda, op. cit., p. 13
27. Antonio Ortese era in Albania come Sottotenente della Regia Guardia di Finanza. Vedi Luca Clerici Apparizione e visione – Vita e opere di Anna Maria Ortese, op. cit., p. 106
28. Pietro Pezzoli (1913-1952), arruolato negli alpini della divisione Julia, era di stanza a Bressanone in attesa di un possibile trasferimento al fronte
29. Pia Pezzoli col marito Giovanni Ellero, in quei giorni era già in pieno ripiegamento dalla sede di Adi Remoz verso Adua e poi Asmara, che sarebbe caduta il 26 febbraio del 1941. Vedi Scritture di colonia; lettere di Pia Maria Pezzoli dall’Africa orientale a Bologna (1936-1943), op. cit., pp. 63-64
30. Architrave: mensile di politica, letteratura e arte, curato dal Gruppo Universitario Fascista di Bologna, nasce il 1° dicembre 1940 e ha per i tre anni della sua esistenza una storia travagliata, con quattro cambi di direzione redazionale, perché i suoi collaboratori sono giovani e vivono una dimensione anti-gerarchica; fra essi ci sono personaggi che avranno notorietà nel dopoguerra, come Francesco Arcangeli, Pompilio Mandelli, Agostino Bignardi, Enzo Biagi, Renzo Renzi, Virgilio Guidi e altri; il corredo illustrativo è di alto livello, utilizzando opere, fra i tanti, di Giorgio Morandi, Carlo Carrà, Felice Casorati, Filippo De Pisis, Quinto Ghermandi, Luciano Minguzzi, Tranquillo Cremona, Arturo Martini, Ilario Rossi. Vedi Nazario Sauro Onofri I giornali bolognesi nel ventennio fascista, Bologna, Editrice Moderna, 1971, pp. 187-226 e pp. 234-239; Valeria Venuti Bologna tra fascismo e arte. I Littoriali della Cultura e dell’Arte e il caso di «Architrave», tesi di laurea Magistrale in Storia e Forme delle Arti Visive, dello Spettacolo e dei Nuovi Media, Università degli Studi di Pisa, anno accademico 2014-2015, relatore prof. Mattia Patti
31. Vedi «Architrave», anno I, n. 4, p. 8
32. Katherine Mansfield, Diario, Milano, Edizioni Corbaccio, 1933, p. 294
33. Raccolta Stefano Pezzoli
34. Vedi Dacia Maraini (a c. di) E tu chi eri? Ventisei interviste sull’infanzia Milano, Rizzoli, 1998, p. 32
PASSAPAROLA: GRAZIE ♥
Stefano Pezzoli
Ultimi post di Stefano Pezzoli (vedi tutti)
- Lettere inedite di Ortese - 21 Luglio 2023