Il 1° luglio con la NOTTE A COLORI e dal 6 all’8 luglio con gli incontri torna Bande de Femmes, il festival femminista di fumetto e illustrazione, quest’anno alla sua decima edizione. Si svolgerà come di consueto a Tuba, libreria femminista del Pigneto, Roma, con un programma ricco di eventi, presentazioni, live paiting e “tavole narranti”, e vedrà la partecipazione di autorə, artistə e fumettistə locali e internazionali
di Elisabetta Mongardi
Sta per cominciare una nuova edizione di Bande de Femmes, il festival di fumetto e illustrazione organizzato dalla Libreria femminista Tuba a Roma, nel quartiere Pigneto. Nomino questi spazi che per la maggior parte osservo da lontano, come spettatrice, quando posso visitatrice, femminista, ma anche come persona che a sua volta partecipa, con l’associazione Hamelin, alla curatela di un festival di fumetto. È una prospettiva ambivalente: non frequento a sufficienza Roma per sapere come Bande de Femmes si intreccia agli spazi in cui vive – al quartiere, alla città e alle sue politiche culturali, ai movimenti transfemministi locali –, un elemento che credo sia lo scheletro di qualsiasi manifestazione; ma frequento abbastanza il fumetto e i festival per non guardarlo con l’occhio viziato di chi ci sta “dentro”. Da questa prospettiva obliqua e distante, allora, provo a raccogliere qualche pensiero su un festival che, tra i tanti che in questi anni riempiono i calendari degli eventi un po’ in tutta Italia, è tra quelli che mi fanno più voglia, e che forse mi sarebbe piaciuto organizzare.
Comincio dal programma (e già ci sarebbe da chiedersi se un festival è il suo programma). La prima pagina recita: Festival femminista di fumetto e illustrazione. Mi piace che “femminista” sia un attributo della manifestazione e non del fumetto; è un momento in cui mi pare insieme inevitabile e sfiancante chiedere alle parole, alle immagini di essere politiche a ogni costo. Un festival però non è una creazione artistica, anche se di arte si occupa, e può prendere una posizione. La parte difficile, forse, è dichiarare la posizione della cornice senza che si riversi sul contenuto, e in questo senso il programma di Bande de Femmes mi sembra un tentativo equilibrato.
Scorrendo la lista delle presentazioni editoriali, scopro due cose che non conoscevo. Una – il volume
Anarquía relacional. Una novela gráfica, scritto da Roma de las Heras e illustrato da Belo C. Atance per la casa editrice spagnola Contintametienes (che in catalogo ha diversi altri saggi sul tema delle non monogamie, oltre a essere l’editore spagnolo di uno dei tre capitoli della trilogia di Fumettibrutti), l’altra è Lina Ghaibeh. La prima mi colpisce per il sottotitolo: continua a essere interessante osservare a quali fumetti viene attribuita la categoria “graphic novel” e chiedersi perché.
Lina Ghaibeh, scopro cercandola, è una fumettista e animatrice originaria di Beirut, oltre che ricercatrice e insegnante di Design. Non scrivo altro su di lei, se non che dopo aver passato diverso tempo a cercare online i suoi lavori e le sue interviste, vorrei decisamente andare a sentirla.
Mi chiedo spesso quanto sia urgente scombinare le geografie dei libri che leggiamo e pubblichiamo, e l’editoria a fumetti italiana in questo senso è ancora molto indietro. Fatta eccezione per progetti di nicchia come la collana “Cartographic” di Mesogea o uscite una tantum, è difficile trovare titoli che escano dalle geografie canoniche del fumetto.
Ma torno al programma. Le due autrici che in assoluto vorrei ascoltare in questa edizione di Bande de Femmes sono Moa Romanova e Mia Öberlander. I loro esordi, Goblin Girl e Anna, sono due ottimi fumetti, consapevoli, con uno stile strutturato (Anna, in particolare, dimostra un controllo del linguaggio notevole per un esordio). Entrambi sono pubblicati da editori italiani “a margine”: Goblin Girl (tradotto da Alessandro Storti) esce per la collana a fumetti di Add Editore, che oltre a essere relativamente giovane è una delle poche in Italia a dare grande spazio ad autrici esordienti senza definirsi come collana specifica di fumetto femminile (definizione che in ogni caso avrebbe poco senso). Anna (tradotto da Anna Rusconi) esce per Rulez, altra casa editrice che esiste da poco e che di recente ha portato in Italia un’altra autrice tedesca poco nota, Nadine Redlich.
Entrambi i libri mi interessano in quanto espressione di una tendenza, sempre più frequente, a disegnare i corpi in un certo modo: enormi, goffi, incapaci di stare dentro le vignette a meno di non contorcersi, piegarsi, farsi piccoli o deformi.
Moa, la protagonista di Goblin Girl, vive in un’apatia costante in attesa di decidere cosa fare di se stessa, ha attacchi di panico violenti, passa il tempo a ciondolare in compagnia di amicizie che sembrano superficiali. Conosce su una app di incontri un uomo celebre nel mondo dello spettacolo svedese e inizia con lui una relazione permeata da una violenza sottile: lei gli offre compagnia, comprensione, a volte sesso, e lui in cambio le permette di mantenersi disegnando fumetti. Romanova la disegna come un personaggio quasi fantasy: orecchie a punta, mani e spalle enormi, un corpo massiccio, un’espressione da animale.
Anna, che è il nome del fumetto omonimo di Mia Öberlander e di tutte le sue protagoniste, è l’ultima di una stirpe di donne alte come montagne. Questa caratteristica che si tramanda di madre in figlia aumenta la fatica di essere donna sotto ogni aspetto: se sei femmina e gigante è difficile trovare un compagno, un vestito elegante, ma anche nuotare, andare in bicicletta o ballare. Così le protagoniste di Anna sono tollerate, temute, tenute a distanza o feticizzate, ma di rado desiderate.
Mi viene in mente un articolo di Sarah Ahmed, scrittrice e accademica femminista; è del 2013, si intitola Clumsiness, che in italiano si potrebbe tradurre come goffaggine, disagio, impaccio. Ahmed descrive la condizione di clumsiness come un difetto di coordinazione del proprio corpo con quello delle altre. Scrive: «Se siamo in movimento, l’impaccio può essere percepito come ciò che blocca il flusso (la parola inglese “clumsy” ha origine da “kluma”, rendere immobile). E se la sensazione di muoversi nel flusso del tempo è considerata positiva, va da sé che un soggetto impacciato può percepirsi come guastafeste: il suo stesso corpo è l’elemento che si mette in mezzo alla felicità a cui si prevede debba andare incontro».
I corpi di Romanova e Öberlander (che è stata allieva di Anke Feuchtenberger, una delle prime fumettiste in Europa a sperimentare con la deformazione dei corpi femminilizzati) sono impacciati, e impacciano. La loro presenza è un’anomalia, sono disallineati da tutto ciò che li circonda. È una cosa che succede in diversi altri fumetti di questi anni: penso alla passeggiata delirante di Ted, protagonista di Ted, un tipo strano di Émilie Gleason o alla danza disperata e liberatoria della creatura protagonista di Da sola di Percy Bertolini; ai corpi fuori scala di Tommi Parrish e alla loro difficoltà a stabilire relazioni in La bugia e come l’abbiamo raccontata e All the love I can get, ma anche ai corpi che si aprono in due e si riversano sulla pagina in Cheese di ZUZU, o a quelli liquefatti o trasformati in animaletti di Alice Socal. Questi corpi goffi, impacciati, ingombranti emanano uno strano erotismo, spiazzano, sono affascinanti ma non per i motivi che ci si aspetterebbe, lavorano su una forma diversa di ciò che può definirsi desiderabile. E allo stesso tempo le protagoniste di queste storie, quasi tutte femminili, non rivendicano in alcun modo la loro goffaggine, non ne fanno una bandiera, non hanno nulla di eroico. Continuano a sbattere contro le vignette e a piegarsi a strane angolature per riuscire a starci dentro. Alla fine delle loro storie di formazione non c’è riscatto, al massimo un momento di tregua.
Lo stesso effetto lo fa Fuori casa, la nuova raccolta di storie brevi di Kalina Muhova in uscita per MalEdizioni. Una collezione di istantanee di vita quotidiana, intervallate da domande che suonano più o meno universali (“Cosa faccio qui di bello?” si chiede la protagonista del racconto che apre il libro) e che emanano un disagio sottile, una sensazione di straniamento: come nell’anti-parabola di Goblin Girl, tutto quello che accade sulla pagina è normale al limite della banalità, ma il modo in cui è rappresentato tradisce uno scoordinamento tra i corpi e gli spazi che attraversano. Oppure tra un corpo e l’altro: anche le protagoniste di Muhova sono allo stesso tempo impacciate e sensuali (oppure diventano sensuali nel momento in cui esibiscono il loro impaccio?).
Oltre al gusto di farmi divagare, leggere i nomi di Romanova e Öberlander sul programma mi piace perché ricorda che il fumetto scritto e disegnato da donne non è solo autobiografia, autofiction o memoir. Per questo un altro nome interessante in programma è quello di Silvia Righetti, che ha pubblicato lo scorso anno per Coconino Press – Fandango un racconto familiare a sfondo fantascientifico completamente assurdo. Cervello di gallina è la storia del riavvicinamento fallimentare di Rebecca col fratello Enzo, convinto che gli alieni stiano per arrivare sulla Terra e deciso a entrare in contatto con loro tramite il cervello di una gallina mutante. Il tutto sullo sfondo di una distopia appena accennata, un universo ipertecnologico che trasuda isolamento e paranoia, ma sempre con leggerezza. Se il fumetto è un linguaggio in cui corpi e spazi continuamente si generano a vicenda, questo libro è un ottimo esempio di come sfruttare questo meccanismo per creare storie perturbanti.
Per spezzare una lancia a favore dell’autobiografia a fumetti, in programma c’è anche Nicoz Balboa, che ha appena pubblicato per Oblomov Transformer, un altro capitolo nella sua serie di diari grafici. Il bello di leggere Nicoz, così come altr* che hanno fatto del racconto di sé un progetto artistico lungo una vita – mi viene in mente Alison Bechdel – è osservare come la forma del disegno cambia nel tempo (quello della vita di chi lo traccia e quello della narrazione), come accumula strati, come riporta
sempre a una domanda, la stessa che mi viene da fare di fronte a tutte queste artiste: quali storie possono uscire da un corpo?
Bande de Femmes si tiene dal 6 all’8 luglio (con un’anteprima il 1° luglio) al quartiere Pigneto, a Roma. Il programma completo del festival, che contiene molte più cose di quelle di cui ho parlato in queste righe, si può consultare qui, oppure seguendo i canali social di Libreria Tuba.
PASSAPAROLA:








Elisabetta Mongardi

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