Sulla rilettura di una importante figura del mito greco, un saggio che indaga e mette in relazione letteratura, filosofia, psicanalisi ed esperienza femminile nella costruzione di sé, come in altri lavori precedenti di Stefania Portaccio, i racconti e la rilettura delle fiabe. Ne parliamo con l’autrice
Di Loredana Magazzeni
Nel maggio 2022 è uscito per Mimesis Edizioni, nella Collana Philo-Pratiche filosofiche, un saggio molto interessante di Stefania Portaccio dal titolo Circe di spalle. Per una dimora del femminile, un libro presentato nel marzo 2023 a Bologna alla Biblioteca Italiana delle Donne per il ciclo Eroici Furori, a cura di Maria Luisa Vezzali e Angela Peduto. Stefania Portaccio, nata a Lecce nel 1957, vive a Roma. Si è laureata a Bologna in Storia contemporanea e ha lavorato alla Camera dei deputati come documentarista-bibliotecaria. Dopo un’analisi freudiana si è formata presso Philo – pratiche filosofiche (corso quadriennale Scuola in Abof – Analisi biografica ad orientamento filosofico). Oggi è analista filosofa (www.sabof.it) e socia fondatrice della Società Romana di Psicoanalisi (SRP).
Il discorso testuale di Portaccio si snoda fra letteratura, mito, psicanalisi e letture personali, intrecciando il piano simbolico a quello esperienziale e autobiografico. Per questo Maria Luisa Vezzali, nel presentarlo, accennava al trovarsi di fronte a una automitobiografia, operazione molto simile a quella compiuta da Audre Lorde in Zami. Pongo quindi a Stefania alcune domande sulla genesi del suo lavoro.
Come nasce il libro e pensi che questa possa essere un’operazione di conoscenza autobiografica replicabile per altre donne?
Il libro nasce come mitobiografia, secondo la traccia lasciata dallo psicoanalista junghiano Ernst Bernhard e come lavoro finale della Scuola in Abof, che forma analisti biografi ad orientamento filosofico.
Il fatto che Philo, questo il nome della Scuola, al termine della formazione quadriennale, ci chieda di produrre una mitobiografia è una richiesta ardita. La richiesta di indagare una, almeno una, delle costanti, celesti, infere o terrestri, che ci guidano, o ci hanno guidati, o vorremmo che ci guidassero.
Una costante che nei fatti quotidiani solo balugina, stenta a vedersi, ma è leggibile, decifrabile, indagando la vita nel senso della realtà psichica della vita.
Quanto alla replicabilità, io ho usato una figura letteraria e ho usato la letteratura, ma questo sono io. Altre potrebbero riferirsi ad altri aspetti della propria vita psichica per cogliere dei motori indicativi di una realtà profonda, in concordanza o in opposizione ai dati biografici.
Circe è lo spunto che mi ha consentito di fare emergere un mio tema, una mia costante: la sofferenza per la mortificazione del potere femminile, confinato ai ruoli di cura, alla gregarietà e al materno, oppure al segno negativo del caos. E un’altra mia costante: la polemica verso certo pensiero femminile che assume la Grande Madre come mito di riferimento di un femminile forte, mentre a mio giudizio la sua magmatica assenza di logos la spinge verso uno sfondo arcaico inservibile e nocivo.
Ho usato Circe, una figura, secondo la lezione di Elena Pulcini, della diffamazione del femminile, per situarla in polemica sia con la Grande Madre sia con la maschile Atena, capace di logos e di cura della polis, del pubblico, ma priva di eros. In polemica con due poli attrattivi per il soggetto donna.
Una figura di ricerca, contraddittoria ma vigile sugli esiti. In cammino.
Perché lo stare di spalle di Circe? In che cosa la figura di Circe tiene insieme la ricezione e la tradizione di un femminile equivoco ed equivocato?
Perché di spalle, mi chiedi. Non proprio di spalle in effetti, più di sguincio. Per afferrare qualcosa di non frontale, di non dichiarato: il risentimento, l’invidia, il bisogno, le debolezze umane di una figura forte, che ha anche un lato divino. Per portare questa fatica nostra, di ricerca di una soggettività non immaginata dall’altro, oltre l’opposizione a questo immaginario. Opporsi, rovesciare, molto spesso crea altri stereotipi. Per esempio che le donne sono miti, buone, giuste, forti, coraggiose. Trovo deludente l’approccio ideologico di certe riletture femministe, mentre sento come forte pungolo al lavoro il dolore comune delle donne, lette attraverso lenti che non hanno contribuito a fabbricare, e il desiderio comune di essere centrali nella fabbricazione delle lenti, cioè nell’immaginario culturale che abitiamo.
Uno dei tanti temi toccati è quello del riconoscimento. Questo riconoscimento dà forza a Ulisse di riprendere il viaggio e col viaggio sé stesso: ci puoi parlare della forza emanata da Circe nella relazione uomo-donna?
Il tema del riconoscimento è centrale nella psicoanalisi. Abbiamo bisogno di essere visti, ascoltati, e anche guidati credo io, come del pane. Nel caso dell’incontro con Odisseo, entrambi dismettono la loro corazza, si tolgono la maschera perché sentono che l’altro non li sminuisce. Il furbo e la maga vengono lasciati da parte, a favore dell’emergere dell’anima, con le sue sfaccettature contraddittorie, e del dispiegarsi di eros, che non li vuole uguali ma appaiati, meravigliosamente presi dalle loro differenze e liberi di manifestarsi senza le remore legate ai ruoli sociali. Circe veicola questa libertà dai ruoli sociali, ma lo fa anche perché lo sguardo del suo ospite non l’ha sminuita come debole e non l’ha confinata nella cattiveria.
Vi è anche un altro aspetto del riconoscimento, che è quello dello spazio e del tempo analitici. Nell’incontro analitico, quando è riuscito, entrambi i soggetti cambiano, si arricchiscono, si spostano. E l’incontro è riuscito quando la fiducia nel riconoscimento dell’altro rende liberi di esporsi al suo sguardo. Ovviamente con la dovuta disparità di postura.
Qual è la modernità di Circe per le donne di oggi e quale possibile dimora possono esse edificare dentro la propria esperienza e conoscenza del mondo?
Circe divina vorrebbe non soffrire per amore, ma è assurdo, e infatti la sua umanità ne soffre. Però sa lasciare andare. La dimora è quindi il cammino. È la tensione utopica di abitare le relazioni senza che esse siano l’unica dimora. È imparare la solitudine. È sfuggire al vittimismo ma darsi pena per sé, ascoltarsi e rispondere adeguatamente. È essere consapevoli che la libertà è spaventosa. Essere consapevoli che gli uomini soffrono dell’assenza di progetto e di ruolo, diversamente da noi ma molto acutamente. Ci vuole una pedagogia che ci restituisca la nostra complessa umanità, e una filosofia che ci raccordi al mondo in cui siamo immersi, tutti, e ci ricordi che cambiare prospettiva ci riguarda, personalmente.
A chi consiglieresti la lettura di questo saggio?
A chi dalla pratica della lettura – e della scrittura – trae alimento, spunti, per interrogarsi sulla propria vicenda esistenziale. A chi legge – ed eventualmente scrive – per mettere in dialogo e in tensione le diverse parti di sé. Magari anche a chi questa libertà di lettura non l’ha trovata, ma la sta cercando.
Stefania Portaccio, “Circe di spalle. Per una dimora del femminile”, Mimesis Edizioni, 2022
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Loredana Magazzeni

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