Alcinoo e Arete, genitori di Nausicaa, aprono le porte del mito a una minuscola donna del terzo millennio, che è stata operaia e poi sindacalista. Ora è in pensione, Maria Pia Trevisan, e ha scritto “Ho danzato nel tempo”, portando nel mito il mondo attuale, stemperandone i conflitti e adagiando nell’orto della reggia il suo patrimonio, compresi gli anni
Di Angela Giannitrapani
Dopo essersi presa cura della vecchiaia altrui nella sfera privata e in quella pubblica, una donna ultraottantenne si guarda allo specchio. Quello che vede la disorienta, perché è la sua vecchiaia che vede. E la vede all’improvviso quando una pandemia la costringe a fermare quei passi veloci, ben cadenzati, che hanno contrassegnato la sua vita fino a quel momento. L’isolamento coatto, il tempo sospeso le rimandano un’immagine di sé che le dà le vertigini e un senso di smarrimento tale da pensare che la vita sia finita lì, davanti a quello specchio. La misura di tutto il vissuto non compensa la pochezza del frammento di vita che rimane e le sbilancia il panorama esistenziale.
Che fare? Lasciarsi andare? Deprimersi? Rassegnarsi? Lei non è donna dalle facili arrese: è stata una giovanissima operaia, che ha amato la sua fabbrica e tutti coloro che la abitavano, padrone compreso. Da tutti loro è stata amata e rispettata. Ha operato nel sindacato per anni, rivendicando i diritti per un lavoro dignitoso. Ha quasi contemporaneamente intrapreso l’attività politica e ha assecondato l’ispirazione di sempre: ambire alla parità e liberazione delle donne dai gioghi della società maschilista. Ha avuto un compagno di lotte e di vita che tuttora le sta al fianco, figli e nipoti con i quali ha intrecciato legami affettivi e di confidenza. Attraverso tutto questo, una passione sin dall’adolescenza: la lettura. I romanzi, i classici, i saggi, di tutto pur di soddisfare la sua curiosità e sensibilità.
Eppure tutta la sua esistenza non sembra venirle incontro ad aiutarla, anzi la consapevolezza di tanta ricchezza passata fa da contrasto a quanto sembra profilarsi povero e svuotato. Tuttavia, proprio la sua passione per la lettura, soprattutto per i classici, le viene in aiuto. Durante quelle solitarie e silenziose ore di isolamento apre di nuovo le pagine dell’Odissea. Usava portarla con sé in treno quando andava a lavorare e, mentre le sue colleghe avevano libri più agili o riviste, lei viaggiava con i tomi dei classici. Erano i momenti in cui costruiva da autodidatta la sua formazione. Si affida, quindi, a quel mondo che l’aveva già nutrita. E scrive un libro, “Ho danzato nel tempo”.
Viene, dunque, intrappolata nel mito con la stessa fascinazione di sempre e scivola in uno stato a metà fra l’onirico e la veglia:
«I sogni che nascono all’alba spesso contengono verità a lungo celate in fondo all’anima per timore di coinvolgimenti emotivi troppo dolorosi. Quando però, dentro un’alba rosata, queste verità emergono dagli oscuri meandri della propria interiorità esse assomigliano al gorgoglìo dell’acqua di fonte che, dopo un misterioso percorso sotterraneo, sgorga dal cuore della terra per sprizzare libera verso la luce»
Attraverso questo magico passaggio dimensionale approda sull’isola dei Feaci e incontra Nausicaa. Ma coloro che la accolgono e le faranno da guida sono il re Alcinoo e la regina Arete:
«Sono stanca. Chiudo gli occhi e mi lascio andare al
naufragio. Anche il naufragio è vita.
Le vesti lacere, indurite dall’acqua salmastra asciugata
dal sole, avverto sotto il mio corpo non un tappeto di
foglie, ma uno strato di ruvida sabbia. Non so se si tratti
esattamente delle spiagge di Itaca o di quelle dell’isola
Eea sul promontorio del Circeo, là dove dimora la Maga
Circe, là dove potrei essere trasformata in una graziosa
scrofa. Oppure sono le rive della terra dove avvenne l’incontro
tra Ulisse e Nausicaa, figlia di Arete e di Alcinoo,
re dei Feaci.
So solo che in questo momento mi sento naufraga e
con il forte desiderio di ritrovarmi come per incanto, proprio
lì, nel meraviglioso orto della reggia di Alcinoo».
Sarà un nuovo approdo. Le pagine avranno un’altra magia, diversa da quella della suggestione giovanile. L’autrice entrerà e uscirà dal testo omerico con movimenti leggeri e discreti, prima chiedendo permesso poi affidandosi ai suoi ospiti. Dalla loro saggezza, dal loro spirito si sentirà guidata ma sarà anche messa alla prova su ciò che vede di sé e del mondo e su ciò che vuole o può volere. Alcinoo e Arete, senza uscire dalle loro dimore, aprono le porte del mito a una minuscola donna del terzo millennio e la interrogano. Lei porta nel mito il mondo attuale, stemperandone le contraddizioni, i conflitti e adagiando nell’orto della reggia il suo personale patrimonio, compresa la sua vecchiaia. Sarà costretta a guardarla fino in fondo questa età del corpo e dello spirito, ma lo farà in un territorio così lontano da quello presente tale da permetterle di comprenderne l’essenza. E la sua ineluttabilità non le farà più paura.
È un impianto narrativo originale quello di “Ho danzato nel tempo” che combina il mito con la vecchiaia di una donna e il senso tutto suo di viverla; che rappresenta la corporeità femminile nello scorrere degli anni ma che, in tempi di grandi naufragi, propone un approdo.
La scrittura è limpida e lineare, non ha nulla della pastosità di certi sogni notturni. Piuttosto la lucidità di quelli che si fanno all’alba.
Maria Pia Trevisan, “Ho danzato nel tempo”, Ali&no Edizioni 2022
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Angela Giannitrapani

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