Dal suo libro del 2022, Benedetta Tobagi crea – per il 25 aprile ‘23 – un podcast con storie e testimonianze di decine di partigiane. La loro lotta è vitale per noi e va raccontata senza stereotipi: non occorre essere madri o figlie di militanti per lottare contro il fascismo, contro l’uso del velo o contro l’invasione russa. Tutte le donne hanno il diritto di lottare per sé stesse, in difesa del proprio corpo e della propria persona. In qualunque parte del mondo
Di Beatrice Sciarrillo
Cominciamo dalla fine. Cominciamo dalle sfilate della Liberazione, nei giorni belli e travolgenti che seguono appena dopo la liberazione dell’Italia dal nazifascismo e la definitiva caduta del regime fascista. Il 25 aprile 1945 è il giorno in cui il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI) proclamò l’insurrezione generale in tutti i territori ancora occupati dai nazifascisti. “Cittadini, lavoratori” risuona, nei microfoni di Radio Milano Libera, la voce di un giovane Sandro Pertini – allora, presidente del CLNAI, insieme a Pizzoni, Longo, Sereni e Valiani – «Sciopero generale contro l’occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e a Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire». Ed è in seguito a questo proclama, che, entro il 1° maggio, tutta l’Italia settentrionale sarà liberata: da Milano a Bologna fino a Venezia.
Ripartiamo, quindi, dalle fotografie in bianco e nero, in cui una folla di uomini, sorridenti e festosi, sfila, tra le strade delle città del nord Italia, sventolando, nei cieli liberati, bandiere e manifesti: che cosa si può notare? O meglio chi è che non c’è e, se compare, è sola e composta? La risposta è presto detta: la donna.
Come ci tramanda la memorialistica, nei giorni della Liberazione, alle donne che avevano partecipato alla Resistenza – e che, partecipandovi, avevano più volte rischiato la vita, e spesso, l’aveva persa o tolta –viene “consigliato” dai compagni partigiani, di rimanere a casa, o nelle retrovie. Viene impartito l’ordine di fare ritorno nei luoghi e alle attività di competenza “femminile” e di ricoprire l’antico e consueto ruolo di moglie e madre di famiglia. Insomma, di tornare nei panni dell’Angelo del focolare, quell’odiato “fantasma” contro cui combatterono Virginia Woolf, e tante donne che, come lei, si emanciparono attraverso il proprio lavoro.
Alle poche donne a cui fu concesso sfilare fu imposto di marciare con la fascia da infermiera, un segno per giustificare la loro presenza, mentre si dovettero accettare nel corteo le intellettuali, quelle donne di prestigio che avevano avuto un ruolo di comando nelle bande partigiane. Un esempio è Ada Gobetti (Torino, 1902-1968), che, in seguito alla Liberazione, sarà la prima donna a essere nominata vicesindaca di una città italiana e il cui Diario Partigiano (Einaudi, 1956) è uno dei documenti memorialistici più importanti sulla Resistenza in Italia.
Alle partigiane offese e dimenticate dalla Storia, al loro sacrificio pari a quello degli uomini, Benedetta Tobagi – scrittrice, giornalista di formazione storica e conduttrice radiofonica per la Rai – dedica il suo ultimo libro, La Resistenza delle donne, scritto con rigore, frutto dei molteplici anni di studio e del suo sempre accurato lavoro storiografico, e con una palpabile umanità e sensibilità che le appartengono in quanto intellettuale civile e impegnata socialmente.
Attingendo al considerevole patrimonio di interviste alle partigiane realizzate finalmente negli ultimi quarant’anni, pubblicate a stampa o in formato audiovisivo, e avvalendosi di una consolidatissima storiografia, Tobagi ricostruisce la storia della Resistenza in Italia dal punto di vista delle donne. Il lavoro sulle parole, scritte e non, è coadiuvato dalla ricerca di immagini, svolta con il contributo della storica Barbara Berruti, vicedirettrice dell’Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea (Istoreto) “Giorgio Agosti”.
E proprio il 25 aprile, nel giorno della Liberazione, esce su tutte le piattaforme il podcast La Resistenza delle donne. Voci partigiane, scritto da Benedetta Tobagi, prodotto da The Italian Literary Agency per Intesa San Paolo e realizzato in collaborazione con diversi istituti storici italiani. La regia è di Lorenzo Pavolini, la musica originale e il montaggio sono di Giulia Bertasi e il tecnico del suono è Patrick Pecchenini.
Attraverso l’ascolto di cinque puntate (di 45’ circa), la voce delle partigiane risuona vicinissima a noi, fresca e autentica com’era al tempo. Ascoltando le loro parole, ci immaginiamo queste donne, sedute nel salottino della propria casa o dentro un caffè della città, mentre la loro mente ritorna ai quei giorni belli e difficili, “quando, attraverso la Resistenza, presero la parola per la prima volta”.
Come indica Tobagi, a segnare una rottura dirompente nel silenzio sulle partigiane sono il documentario di Liliana Cavani, La donna nella Resistenza, che va in onda in prima serata sul secondo canale della Rai, il 9 maggio del 1965 e il grande lavoro di Annia Maria Bruzzone e Rachele Farina che, in La Resistenza taciuta. Dodici vite di partigiane piemontesi (La Pietra, 1976; oggi riedito da Laterza), trascrivono e raccolgono le testimonianze di dodici partigiane piemontesi. Grazie a quest’ultimo libro, diventa per la prima volta chiaro come il ruolo delle donne nella Resistenza non fu di accessorio affiancamento, ma di indispensabile necessità e come le partigiane ebbero un ruolo protagonista nel movimento resistenziale.
Come nel sopracitato volume di Bruzzone e Farina, nella ricostruzione storica di Tobagi, sono le donne a prendere la parola. Le donne che, quando la guerra diventa ancora più vicina, non solo aprono le porte delle proprie case per accogliere i fuggiaschi, ma escono fuori dalle proprie abitazioni per entrare nelle bande partigiane. Sono di ogni età ed estrazione sociale: da chi è stata costretta ad abbandonare gli studi a causa delle precarie condizioni economiche della famiglia di provenienza, a chi, invece, un’istruzione l’ha avuta, ma ha dovuto scontrarsi contro l’assurdità dei programmi scolastici di epoca fascista. Dalla lavandaia Agnese – protagonista indimenticabile del romanzo di Renata Viganò, L’Agnese va a morire (Einaudi, 1949), che diventa staffetta partigiana dopo che i nazisti hanno catturato il marito Palita – a Teresa Mattei (1921-2013), figlia di un avvocato antifascista, amico di Carlo e Nello Rosselli. Nel 1938. Teresa Mattei ha 17 anni e frequenta uno dei migliori licei classici di Firenze. A sentire il professore tessere l’elogio delle leggi razziali, la ragazza si alza decisa in piedi e interrompe il docente, definendo “vergognose” le parole da lui appena pronunciate. Mattei verrà espulsa e bandita da tutte le scuole del Regno d’Italia e, dopo aver conseguito il diploma da privatista, parteciperà attivamente alla guerra partigiana con il nome di battaglia di Chicchi.
Riportando alla luce quest’episodio, Tobagi sottolinea come la vicenda di Teresa Mattei non sia un unicum, bensì siano molte le storie di donne che, dopo aver respirato i valori antifascisti, tra le mura di casa, per mezzo della figura paterna, si avvicinano, alcune più timidamente, alla Resistenza e diventano partigiane. A questo proposito, l’autrice ricorda anche la figura di Carla Capponi (1918-2000), che, dopo aver rinvenuto insieme alla sorella un opuscolo sul delitto Matteotti, nascosto dal padre nella casa di famiglia, prende atto, a quindici anni, dell’ipocrisia imperante nel regime fascista e, dopo l’occupazione tedesca, decide di entrare nel PCI e nei GAP.
Consapevole dell’urgente attualità delle tematiche di genere e di come il discorso sul genere non debba mai prescindere da quello sulla classe, Benedetta Tobagi iscrive il suo lavoro nel panorama contemporaneo, affermando come gli effetti della narrazione resistenziale sulle donne siano tutt’oggi chiaramente rintracciabili nella maniera in cui il giornalismo descrive il ruolo della donna all’interno dei conflitti di guerra. Infatti, sulla stampa odierna, continua imperterrita la tendenza a ridurre la donna a una figura “naturalmente estranea alla lotta e alla violenza”, a una mater dolorosa, che piange lacrime di pietà per i suoi figli combattenti, e che se combatte, lo fa in difesa della sua famiglia. L’obiettivo dell’attuale giornalismo dovrebbe, invece, essere quello di “spazzare via parecchi stereotipi sulla presunta passività femminile” e prendere atto che non si deve essere madri per lottare contro il fascismo, contro l’uso del velo o contro l’invasione russa, ma tutte le donne hanno il diritto di lottare per sé stesse. In difesa del proprio corpo e della propria persona. Sempre, e in qualunque parte del mondo.
Benedetta Tobagi, “La Resistenza delle donne”, Einaudi 2022. Ora anche in podcast
PASSAPAROLA: GRAZIE ♥Beatrice Sciarrillo
Ultimi post di Beatrice Sciarrillo (vedi tutti)
- Sorelle in una casa rotta - 6 Aprile 2024
- Lei non è la figlia prediletta - 16 Dicembre 2023
- La colta Margherita - 23 Settembre 2023
- Il corpo delle donne - 7 Giugno 2023
- Le donne resistono - 24 Aprile 2023