Autori e autrici che hanno sperimentato in versi e in prosa la rivoluzione di mente e corpo, di lingua e postura, di relazioni e rivoluzioni. L’io plurale e femminista di Maria Pia Quintavalla nella silloge “Estranea (canzone)”
Di Floriana Coppola
In un istante “cominciò la mia terza età”, dice di sé Teresina di Lisieux, accennando alla nascita della coscienza. Io lo avvertii, nel passaggio dal novecento al secondo millennio, che mi trovavo “nel mezzo del cammino” più profondo della mia esistenza, quello di scrittura, e che, dopo avere rischiato di perdere la mia vita una volta, avrei tentato di rinascere per davvero. La mia trasformazione di donna non derivava soltanto da fatti della realtà, quale mi era data di vivere, ma da uno status simbolico in bilico, universale, anche in poesia; in cambio avrei ricostruito una visione del mondo, e dato voce a sogni, anche nuovi.
Maria Pia Quintavalla
Non è possibile comprendere fino in fondo la poetica di una autrice complessa come Maria Pia Quintavalla se non si ricostruisce l’humus culturale da cui proviene. Sono decenni particolari quelli intorno agli anni ’80. Forte e pervasiva l’atmosfera in cui è vissuta quella generazione di giovani: la rivoluzione socio-politica, la presa di coscienza di un mondo che cambia, la scelta radicale di mettersi in gioco nella vita oltre le regole borghesi, la volontà anche autolesiva di intessere con gli altri e le altre nuovi paradigmi comportamentali, la libertà di sperimentazione artistica (poesia visiva, poesia orale e performativa, poesia polimorfica e scrittura automatica). Soprattutto il femminismo e i movimenti delle donne con l’esperienza destabilizzante e formativa dei gruppi di autocoscienza, sono lo sfondo vissuto e travasato nella scrittura di Quintavalla.
Pensate ai neri budda che eravamo/donneeunuchi neri androgini/maschere vive e sante/ma soprattutto magre, /magri cavalieri moderni.
La volontà di aprire e coniugare la sfera privata in quella pubblica e politica si traduce in una diversa narrazione di ogni storia sentimentale, di ogni relazione, vissuta come stazione esistenziale prioritaria, luogo simbolico di una ricerca appassionata e dialogica degli affetti. Una centratura soggettiva che si sposta e fa spazio a una profonda coralità di una generazione capace di proiettare nel proprio gesto artistico i vissuti di una pluralità epocale, segnando ogni azione nel corpo e nella mente. La parola diventa corpo sentito e pensato, il corpo è parola esibita. Tutto si intreccia e si contamina profondamente. Ma non tutto si può spiegare e dire.
Ma per intanto (onde) ne/cominciavano un inizio a / trasportare, vari rumori/ di altro tempo ma anche/ per altro modo, per altro lido/ in avanti (e così). / La sensazione del tempo che passava/ nello spazio e lo lisciava (lo/pettinava e arava a lungo) / permase rimase, diveniva cosa/ tangibile in altre cose, in nuova vita:
La narrazione di quel tempo è prioritaria e urgente, è dentro la ricerca essenziale della propria voce che si fonde alle altre voci, voci degli invisibili e delle silenziose (silenziate) a cui ridare nome. “L’io sparisce e affiora”. Il tessuto autobiografico diventa pretesto nella silloge Estranea (canzone) per creare un manifesto corale di un’intera generazione di giovani, donne e uomini, che hanno pagato un prezzo altissimo per sperimentare i loro codici espressivi, fuori da ogni canone tradizionale. Maria Pia Quintavalla non cita in modo letterario nomi e cognomi dei suoi compagni di viaggio, perché lei ha vissuto effettivamente queste presenze. Fanno parte di una conversazione perenne che non finisce, che va al di là della morte stessa. Uno sguardo nuovo e inedito diventa alleanza amicale e appartenenza esistenziale non facilmente riproponibile oltre quegli anni.
Anni da cui ereditiamo esperienze fortissime, come la militanza dei gruppi extraparlamentari e dei gruppi femministi di autocoscienza. Anni che hanno lasciato un lascito drammatico, il senso di un’orfanità e di un’esemplarità invisibile e ineludibile.
: ecco di là Nadiella, un enzo risanato, / incognite assolute/ la sorella, quella di/ lei compagna, che dal balcone:/poi ancora più sorelle.
Di pagina in pagina, tanti rimandi ai ricordi e alle fascinazioni di quel tempo. Un tempo arcaico che viene da lontano e apre a una visione cosmologica. Estranea (canzone) è uno scritto visionario che manifesta questa radicalità attraverso una narrazione poematica che va a ritroso nella memoria, per approdare disperatamente nel presente, con la consapevolezza traumatica dei tanti lutti affrontati. Il senso del tempo che passa e che distrugge, trasforma ogni ricordo, la rimembranza degli affetti e della significanza rivoluzionaria della sperimentazione, la ricerca ossessiva e perturbante della propria cifra linguistica intesa come processo costitutivo che indica la trasformazione alchemica della lingua madre nell’ incarnazione di una scelta esistenziale femminista e liberatoria. Sperimenta un uso assolutamente originale della parola, incastonando nel flusso magmatico del poema termini antichi e desueti, plurilinguismi e neologismi. L’epos della narrazione in versi non offre risposte ma crea direzioni di ricerca e coni d’ombra in cui transitare. Parma, Milano, la Spagna, terra di origine, il Mediterraneo, la matrice ebrea sefardita, diventano i luoghi di un percorso radicale di simbolizzazione.
Furono dette parole, astanti/ figure di una nuova capitale non/più nel nord nel centro, ma un altro/centro-maniera di sentire/i cinque sensi e il tempo, le stazioni/ più intensamente cicliche sognare/un altro modo nel sempre mondo,/ma più interne al suo tempo./ Così rifatte ( e corpi e voci)/stendevano pensieri, situazioni/ meno tenere,/ meno accasciarsi del domani nelle/ donne l’attesa di quel posto o zolla/o tempo non più colonizzato/ e dedito a riempire di sé ogni/ sito ogni silenzio innato/ il sottacere, al sentirsi/ isolate non più parte.
Questo stralcio ha una densità simbolica particolare, perché il pensiero critico letterario dell’autrice si fonde con la sua scrittura poetica, creando una suggestione quasi profetica e sibillina. Corpi, voci e pensieri così uniti e intrecciati in una unica canzone, stazione di passaggio per tanti. Si ricorda un tempo non colonizzato che purtroppo si è perso, tempo dove l’io si coniuga al noi senza riserve ideologiche e personalistiche. L’erranza e lo struggente sradicamento, il bisogno di fuga dalla famiglia e di profonda nostalgia per tutto quello che di quel tempo si è perduto, che è evaporato. Si respira l’aria di un innamoramento ancestrale verso un’umanità diffusa, generatrice di una lingua particolare. Si allude tra le righe alla genealogia femminista, che significa una inedita visione del mondo, una responsabilità soggettiva nel non essere complici con le derive patriarcali e capitalistiche del mercato contemporaneo, uno sguardo diverso e rivoluzionario verso i ruoli sociali degli uomini e delle donne. La pluralità di voci era segno di un appartenersi, di un riconoscersi politico e culturale. Quintavalla manifesta la necessità di non dimenticare l’epica riformatrice della generazione di quei giovani artisti che lei ha amato e conosciuto come fratelli e sorelle nel viaggio della vita. Andrea Zanzotto, Nadia Campana, Giovanna Sicari, Antonio Porta, Giovanni Giudici, Giancarlo Majorino, Amelia Rosselli, Marina Cvetaeva, Patrizia Vicinelli, Attilio Bertolucci e tanti altri vengono chiamati per nome con commozione sincera e tenerezza, come amici cari e con loro si intrecciano i versi in una canzone che danza e incanta come in un vortice derviscio. Presenti in modo cripato anche i padri letterari come Ungaretti e Celan.
Canzone è termine che torna nell’intera silloge, canzone che fa rima con stazione, tenzone, menzione. Canzone tenera e improvvisa, interminabile, eterna, immemorata, folta e pulita, interminata. Bianca e eternivata, materna e blanda. È infinita l’aggettivazione che gira intorno a questo termine e incarna il lavorio ustionante che gira intorno al focus centrale della silloge. La voce mutata nel tempo trasforma ogni parola in canto, intimo e sofferto. L’urgenza di tenere alta l’attenzione sulla scintilla poetica di un soggetto plurale a cui appartiene la voce singola. Ogni utopia rivoluzionaria è andata persa. Rimane quell’incantevole scintilla che non va spenta nella voce. Uno stato di grazia che va ricordato e ripreso con ossessiva cura nel flusso immaginifico e metaforizzante dei versi.
Uomini e donne sono liberati da una lingua nuova, la canzone ritorna sempre ed è “un’incantevole tenera / e scintilla”, una canzone “fotograffita e ribaciata di balsamo e stazione”, per tornare alla fine del viaggio “acuta di memoria, e anuvolata”. Ecco, nella padana bassezza della sua madre terra, incontra la madre antica che si sdoppia: una di lei bambina, che cresciuta, sarà pronta a generare l’agile ippogrifo- figlia, perché alla fine di quel movimento emerga, a salvezza, “la forma al centro, sola” in un “un mite-mare”. Che è adornata pittoricamente, a riscrivere, “ri facere canzone” detto in lingua napoletana.
Così dice l’autrice in modo fulminante e conciso, urticante, recuperando anche la pervasità concettuale della ricerca psicoanalitica che riprende intuizioni esemplari post lacaniane e junghiane. Oltre l’io plurale, esiste la moltitudine di stati della personalità: la giovane, la donna, la bambina, la madre, la poeta e la curatrice. In ogni frammento poematico, la lingua originalissima si articola in intuizioni calcaree e sulfuree, svela e nasconde le stratificazioni multiformi di un pensiero assolutamente complesso che va ancora studiato, letto e riletto.
Maria Pia Quintavalla in “Estranea (canzone)”. Prefazione di Andrea Zanzotto, nota di Marisa Bulgheroni, introduzione dell’autrice ed. Puntoacapo 2022









Floriana Coppola

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