Nellie ha un piccolo corpo, quello di una bambina che a soli dieci anni entra a servizio in una casa, ma per sua fortuna non è una casa qualunque, bensì quella di Emmeline Pankhurst, le figlie e il marito.
Emmeline, una delle più grandi femministe e suffragiste della storia, coinvolge presto la ragazzina nel lavorio costante della lotta per il diritto di voto, e così Nellie osserva con curiosità e attenzione le attività delle donne per il riconoscimento alla partecipazione politica e al dibattito pubblico.
Il racconto contenuto in “Le mie suffragette” non è mai didattico; anzi Paola Bono, inventando la personaggia di Nellie, riesce a sfuggire all’ovvietà e alla retorica, perché la giovane donna, che seguiamo fino ai suoi trent’anni e alla decisione di non avere figli o figlie, racconta tutto con estrema naturalezza, senza seguire per forza gli eventi principali di quegli anni in Inghilterra ma dando valore a una cronologia interna, sentimentale.
Scorrono così uno dietro l’altro i volti femminili che sono passati per casa Pankhurst, le piccole e grandi storie, le decisioni prese di comune accordo, i sacrifici che ognuna ha scelto di compiere per la causa. Uno degli aspetti che colpisce di più del romanzo è la capacità di rendere l’atmosfera di questi incontri casalinghi o pubblici e di evidenziare come attraverso il confronto, l’entusiasmo dei discorsi, la vicinanza delle volontà, il sostegno reciproco, si sia scaldato e messo in piedi un movimento che ha cambiato la storia.
II soldi erano pochi, l’organizzazione spesso sommaria, la repressione continua ma la voglia era tantissima, la necessità d’ascolto essenziale.
I corpi ronzanti di queste donne si trasformano quindi in mosche impudenti, su ogni avanzo del discorso loro si gettano, ogni momento pubblico è da abitare, ogni manifestazione un palco possibile per farsi udire.
Un mondo, quello che vivono questi corpi, che alle donne della mia generazione o più giovani può sembrare impensabile, ma che è in realtà trascorso da poco e le cui tracce si possono ancora leggere intorno a noi. Nellie, infatti, narra alla perfezione le angherie subite, le violenze, le sevizie in carcere e fuori; sevizie e violenze che oggi non sono finite, e se il voto è stato accolto ormai da anni sono altri i terreni che continuano a essere fertili per nuovi tentativi di sottomissione, come la frontiera del revenge porn, punizione per la sessualità esibita delle donne. Il discorso resta lo stesso: le donne non possono pretendere troppo, non possono pretendere tutto. Se si spogliano e mandano un video al ragazzo con cui stanno uscendo se lo meritano di essere screditate, violentate dagli sguardi altrui, dalle chat, dalle persecuzioni.
Lo stesso valeva ai tempi di Nellie per i tentativi continui degli uomini, persino e soprattutto quelli progressisti, non solo di ignorare il problema del voto alle donne e non considerarlo come una propria causa, ma pure di deriderlo, schernire quei corpi in mezzo alle strade o nei congressi come minoritari, sciocchi. E non accade ancora oggi la stessa cosa quando si parla di femminismo e certe questioni delle donne vengono considerate di nessun valore? Basti pensare a tutto il dibattito sul linguaggio e le declinazioni al femminile, per dirne una, o le quote rosa, o i festival letterari delle donne. Arrivano i soprannomi (le erinni), chi si vanta di non aver mai letto una scrittrice contemporanea (persino gli editori), chi trova nei libri scritti da uomini moltissimo femminismo (il parossismo dell’uomo medio che sa parlare delle donne meglio delle donne, come ultimo smacco) e ce lo fa sapere con un ghigno, con un sorrisetto traverso, come a dire: povere sciocche, quanto siete anacronistiche, quanto siete piccole, ormai superate.
Lo descrive benissimo Sibilla Aleramo in “Una donna” il meccanismo della diminuzione che viene operato nei confronti della donna femminista: la prima regola è non prenderla sul serio, dire che si lamenta di pochezze e poi mandarla a farsi un giro.
Insomma, un modo per togliere voce alle donne, Nellie ce lo spiega bene, è sempre stato delegittimarne il senso, tacerne il ruolo sociale. Ogni rivendicazione delle donne è stata dal principio una lotta contro l’indifferenza, la presa per i fondelli, la repressione fisica e morale. E lo sguardo intimo, privato, che Bono racconta, i salotti, gli sguardi, i litigi furiosi, gli abbracci sororali, riesce a restituire molto di una battaglia politica che ha visto tante donne perdere anche la vita nel tentativo di farsi ascoltare. E come è semplice oggi, seduti e sedute sui nostri divani, fare grande ironia sul femminismo, ignorando quanto rispetto si debba all’atto politico del singolo che si mette in pericolo per la sua idea di società. Atto politico sempre meno in voga, per fare spazio a chiacchiere e dibattiti sterili, portati avanti da quanti arricciano il naso appena sentono la parola “patriarcato” perché li ha stancati. Dall’altra parte, nelle pagine di Bono, ci sono invece le donne ingozzate a forza come galline o capponi perché in carcere stavano facendo lo sciopero della fame, arrestate durante una manifestazione per il voto.
Per quanto Nellie sia inventata, la ricostruzione del suo linguaggio sbilenco ma genuino ce la fa apparire reale, ce la rende vicina e ci ricorda che donne di tutti i ceti e di tutte le provenienze hanno dato tantissimo per la causa del voto femminile, una causa che sembrava all’inizio persa e vana e che ha permesso poi tutte le lotte successive.
Come Alma Sabatini insegna, infatti, nella definizione della parola donna, tante cose sono sempre state taciute, una tra tutte l’associazione con l’essere soggette politiche, cittadine. Anche i grandi modelli democratici della Storia, come la democrazia di Pericle o la Rivoluzione Francese, hanno escluso le donne, eppure loro c’erano e forse potendo partecipare davvero agli eventi del mondo li avrebbero raddrizzati o spinti ancora più in là. Perché quando hanno iniziato a esserci, come durante la lotta per il suffragio, hanno messo a repentaglio vita e futuro per fare abbastanza rumore da non passare più inosservate.
Oggi questa partita non è chiusa, e sta a noi rileggerle, raccontarle ancora, per trovare il nostro modo, diversissimo ma centrato e sensibile, di essere grate alla storia delle donne e consapevoli delle rivendicazioni che ancora è necessario portare avanti. Insieme, perché è vero che anche le donne che sono rimaste a casa, e non hanno fatto come Nellie o Emmeline e le sue figlie, poi hanno potuto godere del voto, ma essere soggette storiche passive è una posizione scelta dagli uomini per noi, e diventare attive è la nostra prima e più temuta forma di libertà.
PASSAPAROLA:








Giulia Caminito

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