Parla la drammaturga Chiara Lagani che ha adattato per il teatro Addio Fantasmi di Nadia Terranova dando corpo in scena a Ida (Valentina Cervi) e alla madre (Anna Bonaiuto) che nel libro vive solo nell’evocazione della figlia. La complicità tra Nadia e Chiara, le modifiche necessarie, il percorso dalla pagina al palcoscenico danno vita a un lavoro che soddisfa entrambe
di Sarah Perruccio
Cosa ti ha spinto a lavorare su questo libro?
Mi è molto piaciuto. Mi piace molto Nadia Terranova come autrice e, ti confesso, mi piace proprio come persona. L’idea di poter lavorare su un testo di una persona così attraente, anche dal punto di vista umano, e il desiderio di intrecciare una relazione culturale con lei, ha giocato sicuramente nella scelta. E poi ha pesato la fascinazione per questa storia che al centro ha un rapporto madre-figlia. Ci sono delle scelte nei nostri ultimi lavori- anche nell’Amica Geniale è molto importante il rapporto madre figlia- che testimoniano che questo è un archetipo che ci interessa. Anche nei progetti futuri ci sono linee che riguardano il tema della madre, della maternità.
Appunto, con questo lavoro, come pure nell’Amica Geniale, e persino nella vostra scelta di ispirarvi per il vostro nome al film di Bergman “Fanny & Alexander” si torna sempre alla centralità del numero due.
Beh, il due è sicuramente un elemento, quando noi ci siamo dati il nome abbiamo ragionato su questo, doveva essere un nome doppio, perché il due è generativo ma non perché siamo un uomo e una donna: è comunque da due che si può partire, sempre, in tutti i discorsi, sia appunto biologici che politici. Da due e più, poi dopo si diventa comunità, però non è da una solitudine che si parte, mai. E poi il due a livello mitico, archetipico, è proprio la cellula generativa di qualcosa, e opera. È questo sicuramente il tema del due, i fratelli incestuosi di Ada di Nabokov, la coppia mitica del Cantico dei Cantici e poi fino ad arrivare a altre coppie, appunto, genitoriali, come nel caso di Addio Fantasmi o le amiche geniali. È un’ossessione archetipica bella forte, credo che ricorra quasi in ogni nostro lavoro, sì. Non ci ho mai pensato in questi termini, ma si potrebbe fare una riflessione quasi psicoanalitica su questo. Sicuramente è uno dei nostri centri.
Tornando al libro e all’adattamento volevo sapere in che modo ci hai lavorato. Ti sei confrontata con Nadia durante la riscrittura?
Nadia ha accompagnato il lavoro con grande delicatezza. Io le spiegavo tutte le ragioni: quando parto da un’opera per me è sempre una questione di fedeltà all’opera originaria.
Però tutti quelli che lo fanno- tu lo sai, perché scrivi anche tu- per trasporre delle forme in altri mezzi devi operare, non li chiamerei tradimenti, ma degli allontanamenti, per poter essere fedele.
Qui io avevo due- sempre per questa ossessione del due- due attrici, una madre e una figlia. Per ragioni di vario tipo, sia di scelta creativa originaria ma anche per ragioni pratiche, di giro. E quindi dovevo eliminare tanti personaggi che sono anche importanti nel libro. Poi, dovevo ragionare su una madre che nel romanzo viene evocata dalla figlia e invece qui avevo in carne ed ossa ed era bella consistente- tra l’altro Anna Bonaiuto, un’attrice che decisamente non passa inosservata. Ed è stato molto interessante dover dar corpo a questa madre che non doveva emergere dalle parole della figlia ma avere una sua identità costitutiva e una sua indipendenza in scena. Quindi abbiamo dovuto riscrivere alcune scene: certe parole di Ida diventano parole della madre, con Anna che ha dato sangue e linfa a questo personaggio con la sua grande forza attoriale. C’è tutta una scena, la mia preferita, in cui Ida va a casa dei vicini a chiedere che questi famosi tre centimetri vengano livellati. Nel libro la vedi: c’è lei lì con i vicini, mentre nello spettacolo c’è la scelta abbastanza violenta di sopprimere questa scena nel suo avvenire e di farla raccontare dalla madre che morbosamente appiccica l’orecchio al muro e spia questo dialogo. La questione è quasi creata dalla madre, è la sua ossessione. Quindi, in quel momento, mette in bocca parole alla figlia, ai vicini ma è la sua psiche frammentata che parla. Operazioni di questo tipo naturalmente sono operazioni di fedeltà e di tradimento allo stesso tempo che Nadia ha accompagnato. Credo che questo abbia permesso anche a Nadia poi di emozionarsi vedendo lo spettacolo, è stato molto toccante per tutti noi. Per me, perché tenevo tantissimo che lei potesse in qualche modo riconoscersi in una riscrittura, e per lei perché, come dice sempre, ha visto quei fantasmi prendere corpo.
Queste due donne hanno incarnato qualcosa che per lei era ben presente- perché nella sua mente erano già dei corpi ovviamente. Però un conto è viverli internamente, un conto è vederseli di fronte.
L’assenza è un tema che avete trattato spesso nei vostri lavori. Che cosa succede secondo te quando questa assenza la si porta a teatro?
L’interessante è che l’assenza qui non è solo quella del padre ma viene proiettata su tantissimi altri personaggi. C’è Nikos che è un fantasma, il padre di Nikos, l’amica che viene nominata ma non si vedrà mai e ha invece un ruolo preciso nel romanzo. Quindi è come se il ritorno di Ida in questo luogo volesse dire “torno da mia madre e lì, in qualche modo, insieme, dobbiamo amministrare questa selva di fantasmi”. Questo ha a che fare, come centro nevralgico, con la scomparsa del padre ma non solo, è una selva figurale fantasmatica che loro hanno costruito in tutta una complessa vita di relazione.
Con l’ultima scena forse si chiude il giro, anche poetico, del tema dell’assenza che, come tu dici, abbiamo cavalcato. Con la scena dal puparo ho citato in maniera esplicita la scena nel film Fanny e Alexander in cui Alexander incontra Ismael e il fantasma del padre; tramite Ismael il padre gli dice esattamente quelle parole che io ho fatto entrare in Addio Fantasmi e quel padre per un attimo si sovrappone anche al padre di Ida, diventano la stessa cosa. Ma sappiamo bene cos’è il padre dentro Fanny e Alexander, quella potenza che ha a che fare col teatro perché è colui che ha insegnato ad Alexander a guardare con occhi teatrali la lanterna magica, e la vita in fondo; che gli ha insegnato a coltivare i fantasmi, lui stesso fantasma che torna per chiedere perdono, per dire “non vi volevo lasciare” e in qualche modo riconsegna a Alexander la possibilità di vivere in una vita circondato da fantasmi senza esserne terrorizzato, senza soccombere. Mi sembrava che sovrapporre queste due storie avesse un senso particolare anche per noi come gruppo che, in qualche modo, ha costruito la sua poetica intorno a questo nucleo. Ecco, per cui è una dedica amorosa anche a Bergman.
In contrasto con l’immobilità delle due donne nella casa, la vitalità viene da fuori, rappresentata e filtrata attraverso la sensorialità sul palco: i suoni, la luce, anche gli odori. Questa rappresentazione quasi fisica ed espansa di quello che avviene dentro Ida mi ha fatto pensare che fosse un modo di portare la narrazione in prima persona sul palco.
Sì, forse lo è. Pensa alla prima scena: c’è un prologo che è proprio una parabasi alla greca in cui lei apre la scena e ti dice “stamattina mi ha telefonato mia madre” e ti racconta l’antefatto nel libro, questa telefonata che la richiama indietro. Poi gira la schiena, guarda la casa. Si è arrivati in un lampo, come in un viaggio fantasmagorico, e in quel momento io penso sempre: ecco noi diventiamo lei. Quindi, da quel momento in poi, ti chiederai sempre se è la soggettiva di Ida che ti permette di vedere. Anche se lì, dentro la soggettiva di Ida, c’è un personaggio dotato di una sua complessità come la madre, quindi non dipendente da Ida. Però questo gioco di scatole cinesi è interessante perché da quel momento in poi ti chiedi anche se la madre, che vive dentro questa visione di Ida, è un’ulteriore proiezione di lei oppure se esiste veramente e Ida è entrata nel suo sogno.
Quindi forse è appunto il sogno la chiave, il sogno inteso in senso fantasmatico di evocazione.
La scelta di Luigi (De Angelis ndr), è semplicissima: non c’è nulla. C’è un salotto che ti parla semplicemente dei suoi mobili vintage di un tempo che fu, dei pezzi che sono saltati e di una storia che non può più essere perché è passato tanto tempo. Questa casa sì, è in rovina, la stanno ristrutturando ma non è stata toccata, è come era allora.
E poi ci sono queste tende. La tenda è il sipario, è la cortina e dietro una tenda che cosa c’è? A teatro c’è lo spettacolo… io ho un quadro, un disegno di Luca Caimmi appeso a casa dove c’è una tenda e un ragazzino di spalle e per mano ha la morte, uno scheletro, e stanno andando di là. Tutte le volte penso che quella è l’immagine del teatro.
In questo senso il teatro di Ida è la sua anima, noi siamo entrati nella sua anima e nel teatro in cui è rappresentata questa storia. Le tende sono i confini di un mondo che è di là e che preme con le sue voci, con i suoi movimenti e le sue luci ma che è già dentro quella stanza. Quindi, sì, c’è questo discorso del dentro e del fuori che sono permeabili e continuamente si scambiano sia dal punto di vista dello sguardo che della percezione e della rappresentazione.
Una caratteristica di questo spettacolo- e questa è una cosa che mi sta a cuore- è che si pone come uno spettacolo di prosa per scelta, anche per orientarsi verso un pubblico un po’ diverso da quello che normalmente segue altri nostri allestimenti che vanno in circuiti più di ricerca. Volevamo che questo lavoro potesse arrivare anche a spettatori che non sono abituati a frequentare un certo tipo di teatro. Che potesse arrivare anche a persone che hanno letto il romanzo e magari normalmente non vanno a teatro e vengono invece per Nadia Terranova. Quindi, questo impianto è molto semplice: c’è una stanza, ci sono le tende… è evocativo, come tanti dei nostri spettacoli, però ha una grammatica apparentemente più leggibile. I doppi sensi si stratificano in maniera invisibile però non ti danno mai l’impressione che qualcosa ti stia sfuggendo. Sembra tutto alla portata e quel che è semplice diventa voraginoso e complesso nelle letture che tu ne sai dare.
Anna Bonaiuto è una grande attrice di teatro ma in molti la conoscono per i suoi ruoli cinematografici. Valentina Cervi è principalmente un’attrice di cinema. Riflettevo su come questa scelta del cast, questo richiamo al cinema, ha influenzato il mio modo di guardare.
Sì, c’è una maniera di recitare molto naturalistica, piccola, cinematografica; potrebbero benissimo essere dentro un film. Ci interessava proprio questo aspetto e anche mettere insieme due artiste di una generazione diversa che hanno appunto calcato medium diversi: Anna ha fatto dei film naturalmente- Anna ha fatto tutto nella sua vita! Valentina ha fatto più tv e cinema ma comunque ha un’attrazione forte per il teatro e secondo me ha delle possibilità di esplorare questo mezzo. Chi fa cinema e decide di esplorare il teatro ne fa sempre una grande ricchezza. Ci interessava proprio mettere insieme questi due linguaggi, queste due esperienze, anche queste due età così diverse.
Sia tu che Nadia Terranova avete lavorato anche di recente insieme su progetti di graphic novel e letteratura per l’infanzia. Questo fa parte del filo che vi ha portato a collaborare?
Sicuramente. Mi ricordo che la prima volta che la sentii parlare di letteratura per l’infanzia, ancora prima di leggere i suoi libri, mi toccò come raramente. Si può ascoltare una conferenza e trovarla interessante ma io rimasi folgorata, emozionata dalle sue parole. Mi misi a cercare tutti i libri che aveva nominato… Credo che poche persone in Italia siano competenti, e emozionanti, come Nadia nel parlare e diffondere la letteratura per ragazzi e per l’infanzia. Lo si vede anche dalla bellezza dei libri che scrive per bambini: c’è una vena molto felice in lei. E questo lavoro non parla di infanzia ma ne parla comunque perché c’è Ida, lei è quella bambina. A un certo punto c’è la voce di una bambina (che tra l’altro è la figlia di Cervi) che noi mettiamo in scena come la bambina che Ida era. Ida è infantile in tante sue cose, è come se ci fosse in lei una bambina che si rifiuta di diventare adulta e quindi comprime dentro di sé un mondo che è terribile e adulto, anche per le cose che le sono successe e lei non è in grado di accettare.
Inoltre, abbiamo lavorato con Mara Cerri e ci avvicina una sensibilità comune su tanti fronti.
Per cui, sicuramente, c’è una linea che porta a quel grande amore di Nadia e mio. E gli amori comuni avvicinano.
Ravenna Festival, E Production/Fanny & Alexander,
Infinito Produzioni, Progetto Goldstein, Argot Produzioni presentano
ADDIO FANTASMI
tratto da “Addio Fantasmi” di Nadia Terranova (Einaudi, 2018)
ideazione Chiara Lagani e Luigi De Angelis
drammaturgia Chiara Lagani
regia, scene e luci Luigi De Angelis
con Anna Bonaiuto e Valentina Cervi
18-19 febbraio 2023 | Teatro Radar, Monopoli
21 febbraio 2023 | Teatro Pergolesi, Jesi
22-23 febbraio 2023 | Teatro Concordia, San Benedetto del Tronto
25 febbraio 2023 | Teatro Nuovo Pacini, Fucecchio
26 febbraio 2023 | Teatro Monte Baldo, Brentonico
1 marzo 2023 | Teatro Galli, Rimini
2 marzo 2023 | Teatro Puccini, Firenze
3 marzo 2023 | Aula Magna Rita Levi Montalcini, Mirandola
4 marzo 2023 | Teatro Asioli, Correggio
5 marzo 2023 | Teatro Niccolini, San Casciano
foto di Marco Parollo
PASSAPAROLA:








Sarah Perruccio

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