Amava le perle con cui adornava le sue modelle, tutte sospese in un proprio mondo, riservato, inviolato. Johannes Vermeer è di nuovo in mostra presso il Rijksmuseum di Amsterdam dal 10 febbraio al 4 giugno 2023. A Vermeer e al suo stupendo dipinto “Donna con la bilancia” dedichiamo questa riflessione
Di Giuliana Giulietti
Mentre guardo il bellissimo quadro di Jan Vermeer, Donna con la bilancia, mi tornano in mente le riflessioni della storica dell’arte, Svetlana Alpers, sulle immagini femminili dipinte dal grande pittore olandese. Nelle sue raffigurazioni – scrive la Alpers – le donne sono un mondo a sé, inviolato, riservato e soprattutto indipendente. Un mondo in cui Vermeer riconosce qualcosa di altro da sé, e con una sorta di appassionato distacco lo lascia esistere nella sua autonomia. In questo dipinto del 1664, la donna è raffigurata in piedi davanti a un tavolo sul quale sono posati oro e perle e volta le spalle a un quadro che rappresenta il Giudizio Universale. In una mano tiene una bilancia e la scatola aperta che si trova sul tavolo potrebbe essere la custodia della bilancia e dei pesi. Il volto della donna è sereno e nel suo sorriso c’è qualcosa di enigmatico come se l’atto del pesare fosse una pratica magica o alchemica di cui lei custodisce il segreto.
Donna con la bilancia è stato generalmente considerato un’allegoria ed è stato interpretato in molti modi nel corso degli anni. Alcuni studiosi ritengono che la scena del Giudizio Universale che si trova dietro la donna, inquadri in un contesto teologico la bilancia che lei tiene in mano: giudicare significa “pesare”. Altri invece interpretano il dipinto considerando la donna un’immagine secolarizzata della Vergine Maria che, in piedi davanti al Giudizio Universale, assume il ruolo di interceditrice e di madre pietosa. Il sito ufficiale della National Gallery of Art di Washington dove il dipinto è conservato propone l’interpretazione allegorica classica: si tratterebbe di una allegoria della temperanza. La donna è infatti posta tra i gioielli posati sul tavolo, che rappresentano le ricchezze materiali, e il quadro del Giudizio alle sue spalle. La bilancia starebbe quindi a simboleggiare l’equilibrio spirituale della donna che deve appunto valutare le sue azioni in relazione al momento in cui dovrà renderne conto a Cristo Giudice. Edward Snow, poeta e studioso di Vermeer, osserva tuttavia che se è vero che il pittore di Delft opera entro certi schemi morali, religiosi, teologici è altrettanto vero che nel farsi del processo creativo se ne distacca e li oltrepassa. Studiosi contemporanei hanno inoltre avanzato l’ipotesi che la donna sia incinta. Interpretazioni tutte plausibili e al contempo incerte poiché discordanti l’una dall’altra. L’incertezza riguarda anche il titolo del quadro (fino a poco tempo fa chiamato La pesatrice di perle o La pesatrice d’oro) perché all’inizio si riteneva che i piatti della bilancia contenessero l’oro e le perle. Ma l’esame microscopico avrebbe successivamente rivelato che i piatti della bilancia sono vuoti.
Nel Maggio del 1996 mi recai all’Aia per visitare la mostra dedicata a Vermeer allestita dal Museo Mauritshuis su una zattera-tenda galleggiante e che riuniva, per la prima volta, 23 opere delle 36 che di lui restano. Ho avuto così il privilegio di ammirare dal vivo lo splendore della sua pittura e le sue meravigliose figure femminili. Tra cui Donna con la bilancia e ricordo che allora ebbi la sensazione che i due piatti non fossero in perfetto equilibrio ma ancora oscillanti. Sensazione che provo tuttora guardando la tela riprodotta nel catalogo che mi portai dall’Aia. Non sono una storica dell’arte e non ho le competenze per azzardare una interpretazione secondo le regole dell’Accademia. So di avere un debito di riconoscenza nei confronti di studiose e studiosi che, con la loro passione e intelligenza, mi hanno avvicinata alla comprensione di alcuni artisti e delle loro opere. E’ stato un mio amico, storico dell’arte, a suggerirmi che i tagli di Lucio Fontana assomigliano a intervalli musicali. E la verità poetica di quel suggerimento non mi è arrivata per via razionale, ma l’ho sentita davanti alle tele dell’artista. Perché nell’opera d’arte c’è sempre qualcosa di ineffabile che inaspettatamente ti arriva e ti “tocca” intimamente e che sfugge a qualunque interpretazione accademica per quanto buona e feconda essa sia. Così guardando Donna con la bilancia e affidandomi al mio sentire io mi dico che questo dipinto mette in scacco ed eccede le interpretazioni date. C’è “un di più” che Vermeer ha percepito traducendolo in luce, linee e colori e che hanno a che fare con la differenza femminile.
Il legame indissolubile tra la bilancia e la giustizia è un tema affrontato da Barbara Verzini in un capitolo del libro Toccate dal male che ha scritto insieme a Maria-Milagros Rivera Garretas. Questo legame – scrive Barbara – «noto sin dai tempi degli Egizi e presente ancora oggi nei tribunali e in una delle due mani di svariate statue della dea, suggerisce una connessione precisa tra il saper pesare, incontrare un equilibrio preciso di corrispondenza equa tra due pesi e il saper fare giustizia».
Come accadrà nel giorno del Giudizio Universale quando il Cristo tornato sulla terra peserà e giudicherà le azioni degli uomini e, in ragione di ciò, distribuirà premi e castighi. Il paradiso ai buoni, l’inferno ai cattivi. Ma al giudizio divino la donna di Vermeer volta le spalle. Quasi non la riguardasse o quantomeno non avesse, da quella parte dove si decide della beatitudine o dannazione eterna, nulla da temere. I suoi occhi guardano i piatti della bilancia che tiene nella mano – piatti vuoti o pieni? Vermeer vi ha steso dei tocchi di colore pallidi e cremosi simili a quelli che usa per dipingere le perle e per me, che non ho fatto un esame microscopico e seguo forse delle illusioni ottiche, sul piatto a sinistra c’è una perla. Una minuscola goccia di luce.
La Donna con la bilancia è una creatura terrena e tuttavia c’è in lei un che di trascendente, il “di più” di quel mondo femminile di cui Vermeer ha colto la potenza luminosa lasciandone intatto il mistero. Un mistero che lui accarezza con i tocchi di luce che sembra attingere miracolosamente dalla sua tavolozza e che vanno a comporre la purezza dei lineamenti della donna, la lucentezza dell’oro, il candore delle perle. E se lei è indifferente alla scena del Giudizio Universale dove un Dio, con la sua divina bilancia pesa il Bene e il Male, è perché lei, con il Male, non ha nulla a che fare. La serenità del suo volto, l’atmosfera di pura spiritualità in cui è immersa, mi autorizzano a dire che la sua bilancia è orientata dal Bene. Un Bene prezioso come l’oro e casto come la perla. La perla che nasce all’interno di una conchiglia nelle profondità marine e la perla, la conchiglia e il mare sono segni e simboli femminili. La perla e la conchiglia della clitoride, il mare dell’apertura all’infinito di ogni donna.
Le perle erano per Vermeer una vera passione. Amava dipingerle e con esse adornava le sue modelle. Basti pensare a Donna con collana di perle, Fanciulla che scrive una lettera, Fanciulla con cappello rosso, Fanciulla con perla all’orecchio, La suonatrice di liuto, Signora in piedi alla spinetta, La suonatrice di chitarra. In ciascuno di questi quadri le modelle (e talvolta a posare per l’artista erano la moglie, Catharina Bolnes e Maria, la figlia maggiore) indossano collane od orecchini di perle. Le perle e le donne erano per Vermeer fonte di ispirazione e di entrambe riusciva a catturare, nella tela, la limpida e radiosa bellezza. Chissà, mi chiedo, se la Donna con la bilancia è davvero in attesa di fare la sua pesata o se invece aspetta che la bilancia si fermi per riporla nella scatola. Tutto ciò resta, come il suo sorriso, un enigma che le tante interpretazioni del dipinto non sono riuscite a decifrare. Perché Vermeer – sosteneva lo storico dell’arte Roberto Tassi – altera ogni schema, supera ogni catalogazione, scompiglia ogni idea ricevuta, sconcerta ogni pensiero. E se Vermeer sconcerta il pensiero è perché ciò che muove il suo pennello non è il ragionamento astratto e neppure la necessità di adeguarsi alla pittura di genere in voga nell’Olanda del Seicento (ritratti, paesaggi di campagna o di città, interni domestici, mercati e mercanti, nature morte). E’ al suo sentire che egli si affida e ciò che sente e lo emoziona si fa radice della sua immaginazione creatrice. Altri pittori suoi contemporanei dipingevano, e con grande maestria, ritratti di donne (Pieter de Hooch, Frans van Mieris, Gerard Ter Borch, per citarne alcuni) ma nessuna di loro è immersa nella luce, nel silenzio, nel mistero delle donne di Vermeer. In nessuna di loro risplende quel “di più” che lui ha sentito e reso visibile.
Nell’Olanda del Seicento le donne erano libere di dedicarsi agli affari, di concludere contratti commerciali ed erano – come ad esempio la suocera di Vermeer, Maria Thins – abilissime mercanti. Ma la Donna con la bilancia non è una mercante, non pesa oro e perle per stabilirne il prezzo e trarne un guadagno. La sua Bilancia, ripeto, è orientata dal Bene, un Bene che lei genera in sé, nelle profondità acquatiche della sua conchiglia, fonte del suo piacere che è al contempo corporeo e spirituale e dove accoglie una nuova vita. Io penso infatti che la donna sia incinta. Di una creatura e del suo “di più”. Tutto in lei irradia bontà, benessere, gentilezza e il mistero di quell’altrove che appassionava Vermeer. Sì che la sua pesata non ha nulla a che fare con quella divina e neppure con quelle mondane fatte in contesti patriarcali.
Contesti agitati, violenti, punitivi e catastrofici come nella scena del Giudizio Universale. Lei si muove su un altro piano dove non contano i commerci e il denaro. La Donna con la bilancia ha un’altra misura e ciò che pesa o ha già pesato non è certo il valore materiale dei gioielli che possiede, ma la preziosità della vita. Il cui splendore le illumina il volto e l’enigmatico sorriso. Il sorriso di una donna che, detto alla buona, la sa lunga e la sa lunga perché è una donna. E non per astuzia o furbizia, ma per sapienza femminile. La stessa sapienza che colgo in un altro meraviglioso dipinto di Vermeer, La lattaia, che raffigura una domestica nell’atto di versare del latte da una brocca. Anche per lei si tratta di trovare una misura, un equilibrio nel versare il latte dalla brocca alla ciotola affinché, senza traboccare, vi cada nel giusto dosaggio. Un gesto semplice e quotidiano che lei compie con calma, delicatezza e un’attenzione paziente. Alla Lattaia di Vermeer, la poeta Wislawa Szymborska ha dedicato questi versi: «Finché quella donna del Rijksmuseum/ nel silenzio dipinto e in raccoglimento/ giorno dopo giorno versa il latte dalla brocca nella scodella/ il Mondo non merita la fine del mondo.»
Immerse nel silenzio, la Donna con la bilancia e La lattaia sono entrambe concentrate in un’azione al contempo materiale e spirituale nella quale sono impegnate con il corpo e con l’anima insieme. Lo percepisco dall’espressione quieta dei loro volti, dalla grazia con cui tengono l’una la bilancia e l’altra la brocca, dalla purezza che da esse si irradia e le avvolge. Un’azione o forse un rito con cui esse celebrano la vita che è di per sé il Bene più grande, brillante come l’oro e candido come le perle e il latte. Oro, perle e latte che nella visione di Vermeer hanno una eguale dignità e un proprio e singolare splendore. E’ quel che accade nella grande pittura dove ogni cosa, anche la più umile e ordinaria, è colta nella propria singolarità, irripetibilità, bellezza.
Tra le molte e discordanti interpretazioni del dipinto di Vermeer ce ne sono alcune che considerano Donna con la bilancia una raffigurazione della caducità della vita o Vanitas. Di cui sono simbolo il portagioie, le perle, lo specchio sulla parete (che peraltro la donna ignora) e ai quali si oppone, ammonitrice, la scena del Giudizio Universale. Del resto nella letteratura e nelle arti figurative olandesi, le perle erano spesso ritenute un elemento negativo associato appunto alla Vanitas e alla civetteria delle donne. Ma la perla è da tempo immemorabile il simbolo della femminilità creatrice e, nella iconologia cristiana, è un simbolo di salvezza e, soprattutto, della purezza Immacolata della Vergine. La medesima purezza che illumina il volto della Donna con la bilancia che pertanto non può essere una rappresentazione della Vanitas. Come sostiene Svetlana Alpers per la quale essa raffigura la Giustizia, «il tipo di giustizia possibile su questa terra, nella casa olandese, di una donna».
E’ dunque lei che, nella casa di cui è signora, amministra questo tipo di giustizia umana che reca il segno della differenza femminile. La sua bilancia, ripeto, è orientata dal Bene e le perle, di cui la donna conosce perfettamente il valore anche senza bisogno di pesarle, sono il simbolo della castità del suo corpo, della sua anima, dei suoi occhi, delle sue mani. Corpo, anima, occhi e mani impegnati nel rito di una pesata certamente terrena, come osserva la Alpers, ma che si apre al contempo a una dimensione trascendente. La dimensione di quel mondo femminile inviolato, riservato e libero che Vermeer ha dipinto con rispetto e devozione e nel quale Svetlana Alpers – sgombrando il campo dalla Vanitas con il suo alone mortifero – ricolloca la Donna con la bilancia.
La scrittura è un atto misterioso nel quale, a partire da una ispirazione iniziale, si mescolano suggestioni, impressioni e pensieri che arrivano da altre immagini o da altre letture. Così nel bel mezzo delle mie riflessioni sul legame tra le perle e le donne in Vermeer, è venuta a visitarmi una fiaba di Madame D’Aulnoy, la più prolifica tra le narratrici di fiabe che, nell’ultimo decennio del Seicento in Francia, crearono la moda della fate letterarie. In Le prince Lutin, Il principe folletto, pubblicata nel 1698, Madame D’Aulnoy narra dell’isola dei Plaisirs tranquilles in cui sorge un palazzo colmo di meraviglie, difeso da un gruppo di amazzoni e dove vive una incantevole principessa. Il palazzo è stato edificato per lei dalla madre-fata che, disubbidendo alle regole del regno delle fate, aveva sposato un uomo dal quale era stata poi offesa e ingannata. Perciò lei, che detesta gli uomini e non vuole che la figlia cada vittima delle loro menzogne e violenze, ha deciso di proteggerla donandole quel palazzo prezioso tutto di oro puro. E il trono su cui la principessa siede circondata da fanciulle vestite da ninfe, è fatto di un’unica perla scavata in una conchiglia. La perla, la conchiglia e l’acqua (le ninfe sono divinità dei fiumi, dei laghi, dei mari) tornano, nell’universo fantastico di Madame D’Aulnoy, quali simboli della clitoride e della purezza del piacere femminile. Di cui lei, una donna – l’enigma in persona, parlante – era perfettamente consapevole.
Da quando la fiaba di Madame D’Aulnoy è venuta a visitarmi, due immagini hanno cominciato a girarmi per la testa. L’immagine della casta principessa protetta nel suo palazzo dei piaceri tranquilli e seduta su un trono d’oro e di perla, e l’immagine della casta Donna con la bilancia che nella penombra della sua stanza risplende tranquilla tra l’oro e le perle. Due immagini radiose che pur con mezzi diversi (la penna per Madame D’Aulonoy e il pennello per Vermeer) e da punti di vista differenti (quello di una donna e quello di un uomo ) celebrano la castità e l’inviolabilità delle donne.
Torno a guardare la Donna con la bilancia. E posando ancora una volta lo sguardo sul candido cappuccio che le copre la testa, la mantellina blu ornata di pelliccia bianca che mi ricorda le onde del mare lei stessa mi appare, come d’incanto, una perla racchiusa nella sua conchiglia.
Giuliana Giulietti
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