La cavallerizza, diva e Amazzone

Nadia Tarantini, 1 febbraio 2023

Maria Zambrano, Charlot, Angela Carter, Jean Starobinski, filosofi, pittrici e romanzieri, Europa e America latina, il circo ha permeato di sé l’esistenza di cineasti, artisti e artiste. Ha fornito esempi di accoglienza, inclusione e libertà femminile. Nel suo saggio-romanzo Maria Vittoria Vittori ci fa conoscere anche le donne che della storia circense sono state protagoniste

Di Nadia Tarantini

Il Circo di Maria Vittoria Vittori. Non più, non soltanto il luogo del divertimento e dell’evasione, il sogno dei bambini e la pausa per adulti stressati. Bensì un luogo che può cambiare le vite, farne una rivoluzione. E soprattutto per sette storie di donne, che nel Circo trovano se stesse e la propria libertà, al di fuori di ristrettezze della condizione femminile. Con lo stile arguto, leggero e insieme profondo che le conosciamo, con quelle parole che sa trovare per descrivere esattamente e insieme fantasticamente le situazioni, Maria Vittoria Vittori ci regala ore di piacevolissima lettura. Ma dopo ci accorgiamo che sotto al piacere ci sono temi caldissimi e sempre attuali: la vita delle donne, il rapporto con le diversità, l’importanza dell’immaginario. Il Circo che troviamo in La rivoluzione in pista. Storie di donne, circo e libertà, ha permeato di sé l’esistenza e l’opera di artisti, comici, cineasti; ha fornito esempi di accoglienza e inclusione; ha modificato la percezione del tempo e dello spazio per intere generazioni.

Futurismo, Maria Zambrano, Charlot, Jean Starobinski, filosofi e romanzieri, Europa e America latina, la parata del circo di Maria Vittoria Vittori ci rivela angoli inaspettati degli ultimi due secoli, a partire dal più potente simbolo femminile del tendone, la cavallerizza. A partire dalla straordinaria somiglianza fra il romanzo L’innamorata di Contessa Lara e il quadro dedicato al circo da Suzanne Valandon nel 1889. A fine Ottocento, le cavallerizze – racconta Vittori – sono figure iconiche del tempo, le vere dive, che reinterpretano per un vasto pubblico il mito delle Amazzoni. «Scrigno e prigione» (Starobinski) della femminilità, lo scenario in cui dominano le cavallerizze infiamma l’immaginario del tempo; e giunge fino a personaggi che immagineresti i più lontani da quell’immaginario, come Franz Kafka, che descrive il proprio transfert: «lo spettatore della galleria poggia il viso sulla balaustra e, annegando nella marcia finale come in un sogno pensante, piange senza saperlo».
Tornano spesso, nel racconto di quello che, più che un saggio, è un romanzo-saggio, pieno di passione e che suscita empatia, le cavallerizze: da quella che diventa, come Suzanne Valadon, pittrice, a quella che diventa attrice o scrittrice. E gli scandali che riempiono gli strilli dei quotidiani, sempre a fine Ottocento.

Dalla Roma umbertina, poi, con un salto acrobatico, Maria Vittoria Vittori ci fa traversare l’oceano, ci fa approdare a Cuba e all’opera originale, piena di differenti significati, dello scrittore cubano Eliseo Alberto, L’eternità finalmente comincia un lunedì. Per scoprire fra le pagine di quel libro, che è «un romanzo-mondo, animato dal desiderio di affrontare con le risorse dell’immaginazione poetica le grandi questioni della libertà e della dignità del vivere», le tracce di Marìa Zambrano, emigrata a Cuba dopo la vittoria di Franco in Spagna; e del suo La metafora del cuore. L’incontro di Asdrùbal, personaggio principale del romanzo di Eliseo Alberto, e del circo, con il pensiero della filosofa produce cambiamenti significativi. Se il cuore, come scrive Zambrano, «è come uno spazio che si apre dentro la persona per accogliere certe realtà»; e se «non arde come fuoco ma come fiamma, fiamma che non produce dolore ma felicità», Asdrùbal ora sa come evitare che la sua magia fallisca, perché ha scoperto «il nesso profondo […] tra la parola capace di sedurre l’interiorità e la magia capace di trasformare la realtà, ovvero tra l’incanto e l’incantesimo» (Maria Vittoria Vittori). Nel seguito del romanzo di Eliseo Alberto, Marìa Zambrano ricomparirà in carne ed ossa, insieme ad altre protagoniste e protagonisti del clima culturale di Cuba fra i Quaranta e i Cinquanta, clima rovente e appassionato di cui il romanzo si fa interprete. Citando Charlot.

Su Charlie Chaplin, il suo esplicito debito nei confronti del circo e dei clowns, Maria Vittoria Vittori riesce a costruire un capitolo originale – benché tanto si sia saputo e scritto dei rapporti del grande attore e regista con il mondo circense. Scavando nei dettagli delle sue esibizioni cinematografiche, opera per opera, nelle reazioni di filosofi (tra cui Hanna Arendt) e scrittori a quelle esibizioni e alle novità che portavano sulla scena, prima fra tutte l’inserimento dell’anima vagabonda e ingenua del clown, della sua andatura oscillante e dei suoi occhioni enfatizzati, nei meccanismi del reale, della società che si andava prefigurando. Torna anche Marìa Zambrano, che in Charlot e l’istrionismo, opera del 1953, individua il punto centrale del successo dell’istrione presso il grande pubblico, che nasce «dal semplice fatto di essere vivi e di poter soffrire e danzare».

Agile alla penna di Maria Vittoria Vittori è il capitolo dedicato ad Angela Carter, una scrittrice che lei ben conosce, capitolo che rappresenta nel libro la svolta letteraria per il mondo del circo. Siamo a metà degli anni Ottanta, e tutto quel fervore di pensiero e di immaginazione che si era srotolato attorno al mondo circense alla fine dell’Ottocento, allungando le sue propaggini fino alla metà degli anni Cinquanta del Novecento, si era spento. Il circo era in crisi – ma forse, possiamo dire, era in crisi la nostra capacità immaginativa, il lusso di sognare soppiantato da lussi più materiali. Notti al circo di Carter, con la sua immortale protagonista Fevver, dà a Vittori l’occasione di ripercorrere storia e figure circensi dalla fine del Settecento.
Così come la scrittrice ha traversato nella sua (purtoppo) breve vita artistica modalità, scritture e figurazioni diverse e diversamente emblematiche, «il circo è anche un incrocio di arti e tecniche, di personaggi e situazioni, di linguaggi e culture che frantuma la rigidità di partizioni e di generi». La libertà di invenzione di Carter, a torto definita soltanto scrittrice gotica, trova nella trama di Notti al circo la migliore espressione di quel «nucleo di gioiosa insopprimibile vitalità» che rompe strutture sociali, ideologiche e culturali. Schiaffi poderosi al patriarcato, che seppellisce con divina ironia.

E come si fa a raccontare tutto il mondo variegato e affascinante che Maria Vittoria Vittori fa emergere nelle pagine de La rivoluzione in pista? Poco posso ormai dire di Aglaja Veterayi, nata Monica Gina, destinata alla pista e che volle farsi scrittrice (Perché il bambino cuoce nella polenta). La storia dei suoi genitori, le sofferenze, l’intreccio tra gli esiti di una famiglia disfunzionale e il mondo del circo, le fughe e i ritorni. La madre che volteggia a testa in giù dalla sommità del tendone, ricordo inconscio nel corpo di Aglaja e nella sua infinita fame di stabilità.
Con la fuga più che altro interiore di Aglaja, Vittori ci porta ora a conoscere le scandalose fughe verso il circo: sono nobili che si innamorano di cavallerizze, sono religiosi che abbandonano la tonaca per la pista, sono giornalisti partiti per fare un’intervista e rimasti sotto al tendone. E nel capitolo delle fughe, s’incastona la storia di Amanda Davis, scrittrice (Mi chiedo quanto ti mancherò), divenuta artista di strada con il nome di Lucretia Brimstone.

Certo non poteva mancare, nel multiforme affresco de La rivoluzione in pista, la circense forse più conosciuta al mondo, Moira Orfei. Anche lei rivisitata con le abilità di Vittori, che abbiamo apprezzato nelle 124 pagine precedenti: tante conoscenze, capacità di mettere in connessione mondi differenti, parola chiara e trasparente. Moira, Nostra Signora del circo è un racconto del lungo periodo storico in cui un’icona dell’immaginario italico attraversò momenti sublimi e di crisi, non smettendo mai di rappresentare, con il suo stesso corpo (la pettinatura, il trucco, gli abiti), quello stesso immaginario, cui seppe dare un’impronta artistica (come attrice) ed economica (come manager) mai vista prima. Dagli anni Cinquanta al 2015 (quando muore), Moira riesce ad incarnare i desideri di un pubblico che cambia, e tuttavia sempre pervaso da quella che Susan Sontag chiamò «la sensibilità camp», ovvero «l’inclinazione verso l’artificio, l’enfatizzazione, lo sfarzo» (Vittori).

Maria Vittoria Vittori, “La rivoluzione in pista. Storie di donne, circo e libertà”, iacobellieditore, 2022

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Nadia Tarantini

Nadia Tarantini Scrittrice e giornalista. Esploratrice di molti mestieri, sin da giovanissima ha cercato la scrittura in molti luoghi, dalla vendita rateale di libri, al giornalismo e infine all’insegnamento… della scrittura, sia privatamente (“Le vie dei Cinque Sensi”) che nelle università. Solo nel 2017, a 71 anni, dopo una decina di altri libri, ha pubblicato il suo primo romanzo, “Quando nascesti tu, stella lucente” (L’Iguana), storia ambientata nel lontano 2346. Con Iacobelli, nel 2011, ha ripubblicato “Il risveglio del corpo. Dai sintomi alle emozioni l’arte della salute”, romanzo-saggio uscito nel 1996 presso La Tartaruga, che ha avuto quattro edizioni. A fine maggio 2019 il suo secondo romanzo, “Amore Inquieto”, nei Leggendari di Iacobelli. È vissuta fuggendo e cercando le storie dentro di sé e ha combattuto furiosi dubbi sul proprio valore attraverso la relazione con altre donne. La rivista Leggendaria e la Sil sono stati i luoghi privilegiati della sua “autorizzazione alla scrittura”.

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