Finalmente ristampati alcuni libri di Leonora Carrington, cui Elvira Seminara ha anche dedicato una biografia. Ribelle all’educazione alto-borghese imposta dalla famiglia, la quindicenne “autarchica, difforme, debordante”, approda a Firenze, dove si appassiona all’arte. Anima del surrealismo, fa un percorso artistico originale
di Beatrice Sciarrillo
Lo ammetto: prima di quest’anno non sapevo chi fosse Leonora Carrington. Sui libri di storia dell’arte, liceali e universitari, non mi sono mai imbattuta nel nome di quest’artista. Tra le pagine di quei manuali voluminosi, nessuna riga era a lei dedicata e nessuno spazio riproduceva i suoi dipinti, mentre, su quegli stessi libri, non mancava mai almeno un capitoletto su Max Ernst, suo compagno di vita, considerato uno dei maggiori esponenti del surrealismo.
Quest’anno, grazie a una serie di iniziative artistiche e letterarie, ho finalmente conosciuto Leonora Carrington. La 59esima Biennale d’arte veneziana, curata da Cecilia Alemani nel 2022, ha tratto ispirazione da Il latte dei sogni, raccolta di racconti per bambini e bambine che la scrittrice inglese, divenuta a quell’epoca madre di due bimbi, scrisse negli anni ’50 del secolo scorso. Quest’antologia vede come protagoniste le figure della trasformazione, la cui presenza metamorfica celebra la comunione con il non-umano, con ciò che va oltre il normale o che viene comunemente ritenuto tale.
Sempre nel 2022 è stato rieditato il saggio di Giulia Ingarao, Leonora Carrington. Un viaggio nel Novecento (Mimesis 2014 e 2022) e la casa editrice indipendente Giulio Perrone Editore ha pubblicato lo scritto di Elvira Seminara, Leonora Carrington. Dea della metamorfosi nella collana Mosche d’Oro, diretta da Giulia Caminito, Viola Lo Moro e Nadia Terranova.
Elvira Seminara, scrittrice e accademica catanese, racconta Leonora Carrington partendo dalla sua infanzia quando Leonora, nata a Lancaster nel 1917, è una bambina “autarchica, difforme, debordante”, che sgomenta i genitori e i maestri con la sua stranezza scandalosa. Fin da bambina, infatti, Leonora Carrington oppone un’audace ribellione all’educazione alto-borghese che la famiglia vuole imporle – il padre, Harold Wilde Carrington, è un ricco industriale; la madre, Maureen, è una nobildonna di origini irlandesi. Dopo essere stata espulsa da diverse scuole conventuali, a quindici anni approda a Firenze, dove si appassiona all’arte astratta, antiscientifica, tardogotica di Paolo Uccello, alla pittura fiabesca di Pisanello e alla rappresentazione grottesca delle figure umane nei dipinti di Bosch e di Pietro Brueghel. Il padre, però, ostacola l’attività artistica della figlia, richiamandola in Inghilterra e commentando in seguito: «Non eri una vera artista – in quel caso saresti stata povera o omosessuale, che come crimini si equivalgono».
Tuttavia, dopo violente e sentite insistenze, Harold Carrington sarà costretto a cedere al desiderio della figlia, permettendole di iscriversi alla Chelsea School of Art di Londra.
Nel 1936, Leonora Carrington conosce Max Ernst, s’innamora di lui e insieme si rifugiano in un casolare isolato in Provenza, dedicandosi totalmente a ogni forma d’arte. Compagna di uno dei massimi esponenti del surrealismo, Leonora Carrington non aderirà mai formalmente al movimento, benché ne rappresenti in fondo l’anima. Il suo sguardo è animistico, incantato, trasognato. Sbirciando il mondo attraverso i suoi occhi, sembra che ogni creatura – un albero, una pietra, una poltrona – possieda più vita, più anima e più senso di un essere umano. Non esistono creature inanimate, creature senza vita. È l’uomo, prepotente e arrogante, che conduce a sé solo la possibilità del vivere. Possibilità che significa, irrimediabilmente, dolore e sofferenza.
Leonora Carrington, che conobbe l’abisso e sperimentò lo sprofondamento nella malattia mentale – esperienza testimoniata nel romanzo breve Down Below (1944) – è ben conscia di come ogni esistenza porti con sé, inevitabilmente, una buona dose di sofferenza e follia e di come la vita vera non risieda sulla superficie della terra, dove noi appoggiamo i nostri piedi, ma sia nascosta dentro le viscere della terra – nei sotterranei, nei pozzi e negli inferi – o su, in un cielo abitato da figure svolazzanti.
Elvira Seminara cuce il ritratto di una donna che attraversò un secolo di guerre, persecuzioni, deportazioni, e che, con quell’immaginazione che il padre Harold definiva “morbosa”, fu capace di «liberare gli elementi psichici dal mondo degli inferi e travasarli in quello dei segni e delle parole». La voce di Leonora Carrington, svalorizzata e messa a tacere da una cultura declinata al maschile, vive e ci aspetta – terribile come solo le cose vere sanno essere – nella sua opera pittorica e scritta.









Beatrice Sciarrillo

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