STRENNA Marina Cvetaeva e la figlia abbandonata

Nelvia Di Monte, 22 dicembre 2022

Dalla Crociata dei bambini, ai miti, alla letteratura e fino ai nostri giorni di guerra in Ucraina, Marina Giovannelli affronta un tema doloroso e rimosso: la morte dei più piccoli. Non voltiamo la sguardo altrove

di Nelvia Di Monte

Nell’introduzione del suo nuovo libro “Nell’ora della stella e altri scritti sui bambini e la morte” Marina Giovannelli esplicita la difficoltà incontrata nel parlare con le altre su questo argomento, arduo in sé e a cui vanno aggiunti elementi taciuti o rimossi. Lo “stupore e malcelata repulsione” hanno impedito di stabilire un discorso condiviso, costringendo l’autrice ad affrontare una riflessione solitaria. Se risulta più agevole trattare singole storie individuali, è complesso potersi «soffermare su situazioni che coinvolgono l’infanzia che subisce le conseguenze dei mali creati dal mondo adulto: troppo doloroso affrontarle, troppo lontane, impraticabili, se non inconsistenti, le soluzioni intraviste».
Nel primo capitolo, narrando con una tonalità lieve momenti trascorsi con il piccolo nipote, Marina Giovannelli fa emergere i quesiti più problematici sulla morte proprio da quelle domande infantili, che – così semplici e fantasiose – disorientano spesso noi adulti per la loro sintetica profondità e disarmante verità. Mentre alcuni pensieri restano non detti perché improponibili ad una mente infantile, l’autrice riporta le proprie risposte e racconta al bimbo la storia della gatta Nuvola che, molto anziana, lascia la casa e scompare (tacendogli che l’animale sparì due giorni prima che si spegnesse anche la vita del nonno). Gli legge una storia di Tabucchi sulla morte dell’elefante, intanto pensa ai racconti sul medesimo tema (scritti da Rossanda, Banti, Canetti, Coetzee) o riflette sulla poesia della Szymborska “Morire – questo a un gatto non si fa”.

Sembra che nella nostra società ci sia un’attenzione costante all’infanzia, in realtà sono gli aspetti più commerciali ad essere in gioco. Nel momento in cui dell’infanzia si presentano situazioni estreme di dolore, di ingiustizia, di morte, allora l’interesse – se pure commosso e partecipe – diviene momentaneo, quasi il bisogno di distogliere la mente da un problema troppo gravoso. Scrive dunque chiaramente l’autrice: «chi vuole intendere la complessità delle dinamiche sociali, economiche, culturali che interagiscono nel determinare la sorte di bambini e bambine in tante parti del globo, deve avere l’onestà intellettuale di guardare con occhi lucidi, non velati da inutile, quando non ipocrita, cordoglio».
Non si può dunque affrontare da soli questo argomento, ed è meglio svolgerlo per interposta persona o personaggio, iniziando da quei miti che hanno condensato avvenimenti, paure e aspettative di epoche arcaiche. Dei ed eroi compaiono nei due capitoli successivi come esempi di un rapporto tutt’altro che idilliaco tra i padri e la prole, a partire da Crono divoratore dei propri figli. Miti che conservano una traccia indelebile di uccisioni rituali di bambini o giovani praticati in tempi pre-ellenici, ma presenti e documentati in varie parti del mondo fino in epoche più recenti.
Giovannelli procede agile tra poemi, saggi storici e di antropologia, in una «lettura inevitabilmente di genere, del resto necessaria anche nel delineare i destini differenziati di minori maschi e femmine alle prese con le iniquità della storia passata e recente». E anche di bambini reali, come Julia Gaudentia morta alla fine del IV secolo. Sulla sua lapide tombale ad Aquileia ci sono poche parole ma sufficienti a dare informazioni sulla cura riservata a questa bambina di quattro anni appartenente ad una famiglia abbiente, in un’epoca in cui l’infanzia era generalmente ridotta all’insignificanza. Poeta, narratrice e saggista, Marina Giovannelli anche in quest’opera (come in “Di monache e sirene” e in “Iacoba Ancilla”) mostra una particolare sensibilità nel ricostruire la storia di figure femminili realmente esistite, utilizzando reperti e documenti.
Il capitolo imperniato sulle fiabe motiva il titolo del libro: Clarice Lispector narra la leggenda dei “curumini”, bambini indios saliti in cielo e trasformati in stelle. Viene così delineata una fine più serena al dramma della morte infantile, che appartiene a molte culture e tradizioni del mondo. Sono poi analizzate diverse leggende che traggono origine da fatti che si presume realmente accaduti (le frequenti pestilenze e le crociate dei bambini, la presenza di orfanotrofi-lager in epoche più recenti): una è “Il pifferaio magico”, un’altra riguarda Venezia e il suo Ghetto ebraico, a indicare che non ci sono confini geografici né distanze temporali per fatti inerenti alla «scomparsa collettiva e prematura di una generazione che si sta affacciando alla vita».
Nella cronaca contemporanea il problema sembra aggravarsi: strutture coercitive presenti in Europa fino a pochi decenni fa, con esiti terribili sui bambini lì richiusi per povertà o disabilità; episodi recenti di bullismo, tendenze suicide, bambini orfani nel mondo, bambini soldato e ragazze rapite in paesi occupati. Il capitolo “L’inimmaginabile reale” si chiude con una riflessione che riguarda la creazione e l’ampia diffusione online (ovviamente da parte di adulti e di società rivolte al profitto) di giochi violenti rivolti ai bambini e adolescenti.
Pure l’opera d’arte pittorica può svelare l’elemento “inesprimibile se non per metafora”: la Strage degli innocenti (molto rappresentata dal Medio Evo all’età moderna e oltre) viene di solito interpretata come una condanna dell’abuso del potere, ma per Giovannelli è «involontariamente anche documento di un rimosso culturale che allontanava l’animo dei contemporanei dalla consapevolezza di un problema da sempre incombente nelle città e nelle campagne, la strage di innocenti che veniva perpetrata abitualmente nei confronti dei bambini indesiderati, nascituri e nati fuori dalle consuetudini accettate».
Con una scrittura che fonde ricerca e vissuto personale, anche il capitolo “Abbandonati” si apre con un aneddoto dove il nipote la rimprovera per il lieve ritardo, ricordandole che è “abbandono di minore”. Segno che pure un bambino di cinque anni nel nuovo millennio comprende ciò che menti illustri avevano trascurato, come Rousseau che disquisiva di nuova educazione ma lasciò cinque figli alla pubblica assistenza. Soffermarsi su diverse categorie di bambini abbandonati serve a valutare altre soluzioni per fronteggiare le nuove emergenze, come l’arrivo sempre più numeroso di minori non accompagnati da vari paesi del mondo.
Il capitolo “Nell’ora della stella” si sofferma su tre personagge di testi famosi: Nell del racconto La bottega dell’antiquario di Dickens, La piccola fiammiferaia delle fiabe di Andersen, e Helen, la compagna di collegio della protagonista in Jane Eyre di Charlotte Brontë. Creazioni letterarie diverse, ma dai molti collegamenti col vissuto di chi le ha scritte e con la situazione sociale in cui sono ambientate.
Il capitolo conclusivo narra la vicenda emblematica di Irina, bambina russa nata nell’anno della rivoluzione. È figlia di una donna che non la sa amare, la ritiene “ritardata”, le preferisce la sorella maggiore che sopravvivrà perché viene tolta dall’orfanotrofio dove la madre le aveva portate, mentre la piccola vi morirà di stenti. Giovannelli ci ricorda che «questa donna che si è dilapidata in parole per tanti ma non ne ha avute per questa sua sventurata creatura, è una delle più grandi poete russe del Novecento. Si chiama Marina Cvetaeva». Provoca sgomento ammettere che non basta intelligenza e sensibilità ad evitare scelte di vita assai discutibili.
La chiusa così netta riporta chi legge al fatto che deve affrontare il problema e non limitarsi ad un momentaneo pietismo. Pur evidenziando i progressi raggiunti nella tutela dei minori, tuttavia molto resta ancora da affrontare a livello di interventi concreti e di mentalità. A proposito della pandemia, Giovannelli scrive come la politica abbia ancora una volta trascurato bambini e ragazzi, non mettendo al primo posto la loro salvaguardia educativa e il loro benessere psicofisico. E si è ora aggiunta la crisi umanitaria provocata dalla guerra in Ucraina a riproporci in diretta le immagini più crude dei modi in cui «ogni fallimento della politica si ripercuote sull’infanzia più che su ogni altro soggetto».

Marina Giovannelli, “Nell’ora della stella e altri scritti sui bambini e la morte”, Vita Activa Nuova, Trieste 2022

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Nelvia Di Monte

Friulana d’origine (1952), risiede in provincia di Milano. Ha pubblicato i libri di poesia "Cjanz da la Meriche" (Gazebo, Firenze 1996), "Ombrenis" (Zone Ed., Roma 2002, Premio Lanciano-Mario Sansone), "Cun pàs lizêr" (Circolo Culturale di Meduno, 2005), "Dismenteant ogni burlaz" (Ed. Cofine, Roma 2010, Premio Città di Ischitella), "Sojârs" (Biblioteca Civica di Pordenone, 2013), "Sence presse/Senza fretta" (Ed. Cofine, Roma 2022). Poesie in italiano, oltre che in friulano, sono raccolte nella plaquette "Nelle stanze del tempo" (DARS, Udine 2011). Testi di critica letteraria sono pubblicati su diverse riviste. Fa parte della redazione di Periferie. È presente in numerose antologie, tra cui "Dialect Poetry of Northern and Central Italy" (a cura di L. Bonaffini e A. Serrao, Legas, New York 2001), "Il pensiero dominante" (a cura di F. Loi e D. Rondoni, Garzanti, Milano 2001), "Udine. Antologia dei Grandi Scrittori" (a cura di Walter Tomada, Ed. Biblioteca dell’Immagine, Pordenone 2012), Giuseppe Zoppelli "Oru puor. L’ultima poesia in friulano" (Campanotto, Udine 2015).

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