Zittita, sminuita, frantumata, capisco che o vivo io o vive lui.
E allora un giorno decido.
Cerco la diavolina, la legna, la carta di giornale. Accendo la stufa della sala.
Vado in camera. Prendo le copie del suo libro. Quindi pagina per pagina le infilo nella stufa.
Lei tira bene. Mi da soddisfazione.
Le mie mani da grande ustionata fanno tutto con un certo expertise. Seguono secoli di ritualità che non so neanche io di aver percorso.
Così passo alle copertine dove c’è scritto il suo nome.
E a ogni lettera dico bye bye mentre se ne va sola nel blu.
Poi prendo le fotografie. Il suo bel viso in primo piano.
Volto di maschio alfa su corpo di statua greca.
Per la prima volta Dioniso sono io. Zigomi, occhi, guance, bocca sono su di lui come un contagio. Qualcosa di osceno alla dittatura del suo regime. Il controregno del suo delirio. La levata magnifica del suo fantasma.
Qui c’è solo la mia verità. Qui non c’è più cavallo e non c’è più frustino. Non c’è testa straniera che fa l’inchino. Non c’è eco. Non c’è perdono.
E mentre la fiamma fa il suo dovere, non rimpiango nemmeno un po’ di non essere più una romantica.









Carmen Pellegrinelli

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