Il marito fedifrago

Francesca Dagnino, 17 ottobre 2022

«Ma come mai un poligamo è felice quando le donne combattono fra loro e infelice quando si capiscono?». La scrittrice femminista mozambicana Paulina Chiziane in “Niketche” racconta l’amore, il sesso, il desiderio di una moglie tradita

di Francesca Dagnino

La storia è semplice: Rami, l’io narrante, è sposata da vent’anni con Tony, uomo di bell’aspetto e con una posizione sociale invidiabile. Hanno 5 figli e lei lo ama ancora e rispetta tutte le prescrizioni che la tradizione nel Sud del Mozambico impone a una moglie: accudire il marito, preparargli i cibi preferiti, astenersi assolutamente dal mangiare le interiora del pollo – considerate una prelibatezza – riservandole, insieme a petto e cosce, al marito. Ma il suo letto è freddo. Da molto Tony non la cerca e non le dice le parole appassionate di un tempo, mentre lei lo desidera ancora ardentemente. Rami si insospettisce e scopre che suo marito ha non una, ma ben quattro amanti, con le quali ha avuto dei figli e ha messo su famiglia. Una storia di poligamia, dunque, non quella prevista dalla tradizione, ma una poligamia spuria, in ambiente urbano. Non la vecchia poligamia con le mogli che vivono in una sorta di comunità, come nelle zone rurali del Mozambico, ciascuna con una palhota1 separata ma non distante dalle altre, ma invece in appartamenti in vari quartieri della città.
A partire da qui la storia si dipana a volte con toni da commedia, a volte con toni drammatici. Dopo averle inizialmente aggredite e essere venuta alle mani con le altre mogli, Rami a poco a poco sente per loro una certa solidarietà, ricambiata, perché ciascuna di loro scopre di essere stata tradita con un’altra, in una catena di tradimenti e sofferenze senza fine, perché Tony cerca di sedurre ogni donna che gli piace. E la sua avvenenza fisica, ma soprattutto la sua ricchezza, gli garantiscono quasi sempre il successo 2.
Parlare delle altre mogli di Tony è un’occasione per parlare delle differenze culturali tra le varie regioni del Mozambico, da dove loro provengono: il Sud patriarcale, dove il matrimonio è accompagnato dal pagamento del lobolo 3 alla famiglia della sposa per compensarla della perdita di una figlia e anche per acquisire il pieno possesso della moglie e dei figli; il Nord matrilineare dove non esiste lobolo, ma anzi è lo sposo a entrare nella famiglia della moglie e i figli appartengono a quest’ultima. Il Sud, dove le donne sono educate a una completa sottomissione al marito, vestono capulanas 4 dai colori sobri e il Nord, dove le donne sono molto più libere, hanno molta cura del loro aspetto fisico, vestono con stoffe colorate (rosso, giallo, verde…) e, in certe regioni gli usi locali consentono alle donne di avere, oltre al marito, degli amanti che le ricoprono di regali.
Una cosa accomuna però l’educazione delle donne mozambicane: durante la pubertà sono sottoposte ai riti di iniziazione, dove, tra le altre, la componente sessuale gioca un ruolo di primo piano, dove si insegna a dare e a provare piacere durante il rapporto sessuale. Tra l’altro le bambine vengono istruite a tirare le piccole e le grandi labbra fino a farle assomigliare, come dice Paulina Chiziane, a tentacoli di molluschi 5. Questo piace molto agli uomini, ma anche alle donne stesse. Rami però appartiene a una famiglia che ha abbracciato la religione cattolica, la quale proibisce i riti di iniziazione ai suoi credenti. Anche la FRELIMO, il partito che ha portato il Mozambico all’indipendenza nel 1975 e lo governa tutt’ora, combatte i riti di iniziazione considerandoli pratiche oscurantiste. Quindi, per ragioni religiose o politiche, molte donne nelle zone urbane non sono passate per i riti di iniziazione. Vari curandeiro – medici tradizionali che praticano anche la divinazione – convincono Rami che è per questo che suo marito si è allontanato da lei, perché ogni vera donna deve avere gli organi sessuali allungati.
Rami e le mogli di suo marito, Julieta, Saly, Mauà e Luísa, diventate, se non amiche, alleate, intavolano discorsi sull’amore e sui rapporti con gli uomini. Rami è riconosciuta come la moglie ufficiale, la prima moglie e tutte si interrogano su che differenza fa essere sposate ufficialmente e invece essere in una situazione di poligamia di fatto. A questo punto tutte si presentano davanti a Tony, che è costernato di vederle tutte insieme, e gli impongono delle condizioni: pagare il lobolo per tutte e stabilire dei turni di una settimana ciascuno per convivere con ciascuna di loro. Tony non è affatto contento di questa solidarietà e Rami si chiede: «Ma come mai un poligamo è felice quando le donne combattono fra loro e infelice quando si capiscono?».
Il linguaggio del libro si fa drammatico durante i lunghi soliloqui in cui Rami descrive le sue sofferenze: gelosia, desiderio inappagato, dolore nel vedersi invecchiare, in un labirinto di emozioni contraddittorie, descritte anche nei riflessi fisici che provocano. Qui il discorso diventa immaginifico, si arricchisce di molte metafore che marcano lo stile anche di altri autori mozambicani. (Penso, ad esempio, a Mia Couto, il più conosciuto degli autori mozambicani, tradotto anche in italiano, nei volumi “Ogni uomo è una razza”, “Sotto l’albero del frangipani”, “L’universo in un granello di sabbia”). Come quando Rami si guarda allo specchio, dopo aver tanto pianto e vede una immagine che danza e vola con la leggerezza della schiuma, levita come un giaguaro che corre nelle foreste del mondo «Era la mia anima fuori dalle catene sociali. Era il mio sogno di infanzia, di donna. Ero io, nel mio mondo interiore, correndo in libertà nei sentieri del mondo». Come nella danza prenuziale del Nord, il Niketche appunto, che dà il titolo al libro.
La femminista Paulina Chiziane descrive con piacere, (si sente – o forse siamo noi lettrici a sentirlo?) il percorso emancipatorio che ciascuna moglie a modo suo intraprende. Quanto alla sorte di Tony, lasciamo alle future lettrici il piacere di scoprirla.

Note:

1. Capanna fatta di paglia, attualmente quasi ovunque sostituita da una casa in mattoni.
2. La poligamia viene anche “giustificata” dalla credenza comune, anche in ceti relativamente acculturati, che in Mozambico ci siano molte più donne che uomini, sette o dieci per ogni uomo.
3. Consisteva nell’offerta alla famiglia della sposa di bovini, un vestito per il padre, capulana per la madre e altri beni da parte della famiglia del marito. Attualmente è sostituito dal pagamento in danaro. Il valore del lobolo varia a seconda dello stato sociale delle famiglie, ma anche dal valore attribuito alla sposa. Per questo è oggetto di lunghe contrattazioni.
4. La capulana è un pezzo di stoffa dai molteplici usi: si avvolge alla vita come una gonna, serve per portare i bambini legati alla schiena della madre, si stende per terra per riposare, ecc. Attualmente è usata come vestiario solo in campagna, ma anche ogni donna di città possiede la sua bella collezione di capulanas.
5. Questa pratica si ritrova in vari paesi dell’Africa australe

Paulina Chiziane, “Niketche. Una storia di poligamia”, traduzione di Giorgio De Marchis, Editore La Nuova Frontiera, 2022

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Francesca Dagnino

Francesca Dagnino, 74 anni. Avvocata, femminista, ha vissuto e lavorato per quasi trent’anni in vari paesi africani: Mozambico, Zaire, Zimbabwe, Angola. In Mozambico si è occupata della riforma del Diritto di Famiglia, della formazione di magistrati e della riforma del sistema carcerario. Attualmente insegna italiano ai migranti.

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