Fuori dai miti e dagli stereotipi, Sandra Bellini ricostruisce la biografia di una donna morta giovanissima che ebbe il coraggio di essere l’unica combattente di una celebre banda romagnola nonché la compagna di un uomo sposato, Silvio Corbari, che la guidava
di Francesca Romana Di Santo
Iris Versari. Una biografia partigiana è un libro appassionante: l’autrice, Sandra Bellini ha creato una narrazione incisiva che incuriosisce ed emoziona, pur in una fedele e minuziosa ricostruzione storica. D’altronde, Bellini, insegnante e storica scrupolosa, è una capricorno.
Con il suo lavoro libera Iris Versari dalla leggenda di cui è permeata, per essere stata l’unica donna in una banda al maschile, per essere stata l’amante di Silvio Corbari – il partigiano più famoso della Romagna – e per la tragica e prematura morte. Restituisce a Versari la dimensione di persona e la colloca nel posto che le spetta all’interno della Storia, quello di una ragazza giovanissima che ha dedicato la sua vita alla lotta armata per liberare l’Italia dal nazifascismo. Con questo scopo Bellini rilegge i racconti e le testimonianze dei sopravvissuti, ricompone i fatti, parte dall’inizio restituendoci la “vita civile” di Versari e il mondo contadino romagnolo in cui affonda le radici, e dimostra le vere cause che la spinsero a partecipare attivamente alla lotta partigiana, a raccontarne le vicende dentro la guerra di Liberazione intrecciandole con quelle della banda Corbari al cui interno il suo operato si inserisce.
La linea dei più importanti partiti italiani dopo la guerra, PCI compreso, dove erano confluite le partigiane rimaste in vita e che parteciparono alla Costituente, fu da subito quella di declinare al maschile la Resistenza, facendo finta che le donne non avessero partecipato alla Liberazione, non avessero combattuto, non fossero state catturate e seviziate per ottenere informazioni. In questo modo non soltanto non si rese alcun merito alle migliaia di donne che parteciparono attivamente alla lotta di Liberazione, morte, stuprate, torturate, sopravvissute, a fronte delle medaglie elargite in gran quantità ai partigiani, ma si condannò il racconto, sia quello mitico e leggendario che quello istituzionale finito sui libri, a essere fortemente mancante, incapace di restituire una visione completa di ciò che era accaduto. Per decenni molte delle partigiane sopravvissute provarono vergogna e sensi di colpa a raccontarsi o sminuirono il proprio operato in quanto non armato, mentre i loro compagni venivano esaltati – e si autoesaltavano – come eroi e liberatori.
E infatti sfogliando i miei libri di storia del liceo (un classico di Roma frequentato negli anni Novanta) sembra che la storia sia un affare tra maschi.
Fu solo grazie ai movimenti femministi nati in Italia dopo il ’68 (comunque trent’anni prima che io frequentassi il liceo) che le donne cominciarono a narrarsi, a scrivere la loro versione della storia, ben diversa dalla Storia così come si era cristallizzata. Su quest’onda alle partigiane cominciarono ad arrivare medaglie e onorificenze, sempre secondo un’ottica militare maschile. Dovevi aver imbracciato le armi – cosa difficilissima per una donna all’epoca sia culturalmente che materialmente – mentre il resto del lavoro necessario per far progredire una lotta di resistenza e liberazione, come quello delle staffette, continuava a essere tenuta sullo sfondo.
E la medaglia al valor militare arrivò anche a Iris Versari, ma si continuò comunque a raccontarla come l’amante di Corbari, combattente non per amore delle idee di libertà ma per amore di un uomo.
Le sopravvissute quindi hanno potuto cominciare a raccontarsi da un certo momento in poi, e hanno potuto assumere uno spessore umano e politico, ma tutte le altre come Versari che non hanno potuto testimoniare quell’esperienza?
Questo è uno dei motivi per cui il libro ha un valore inestimabile, perché si inserisce in quel solco di riscrittura della storia e del mito che negli ultimi quarant’anni grazie al lavoro di storiche, scrittrici e studiose (ricordiamo fra tutti quello straordinario della SIL e della SIS) ci sta restituendo la nostra storia sommersa, quella delle nostre nonne, madri e antenate.
Ho raggiunto l’autrice per farle qualche domanda.
Francesca. Mi ha molto colpita nel racconto la rete di legami che circondava Versari e tutta la banda partigiana. In modo particolare le donne che hai descritto, mi verrebbe da dire che ci hai restituito un’immagine di sorellanza. La narrazione patriarcale ci avrebbe consegnato donne in guerra tra loro per l’amore di un uomo. Tu scardini la leggenda anche qui, entrando nella vita delle persone e ci racconti donne che si supportano e che si stimano.
Sandra. Il mio è un libro popolato da un unico uomo che occupa tutto lo spazio, Silvio Corbari. È il personaggio predominante nella Resistenza romagnola, e anche la maggior parte delle testimonianze che sono riuscita ad avere sono di uomini. Ciononostante ho ritagliato uno spazio per le figure delle donne che sono molto importanti in questa storia, a parte Iris ovviamente. Anche le donne che l’hanno incontrata per brevi momenti ci danno un’immagine di sé stesse e di Versari che non è quella che potremmo immaginare. Innanzitutto Iris protegge le donne che incontra, anche le avversarie politiche. Maria Ravagli per esempio, la moglie del direttore del Credito Romagnolo, dove la banda fa irruzione, e che si offre di accompagnarla alla cassaforte. Versari la segue puntandole sempre un’arma contro, ma le chiede spesso se ha paura e le raccomanda di non averne.
Angela Rossi, all’epoca una giovane ragazza nella cui casa Corbari e Versari si fermano per bere, ricorda che Iris le chiedeva continuamente se avesse paura e di stare tranquilla che non sarebbe successo nulla. Lina Casadio, la vedova di Corbari, per tutto il periodo post guerra, protegge la memoria di Versari. Quando l’ho intervistata c’era una reticenza nelle sue parole, quasi avesse paura di rovinarne la reputazione. Alba Mazzolini, la migliore amica di Iris, completamente diversa da lei, riservata e schiva, che non partecipa alla Resistenza e è contraria al fatto che Versari lo faccia, la aiuta come può, dandole le pezze di stoffa per fare gli assorbenti, andandola a trovare di nascosto per confortarla, regalandole pezzi del suo corredo e ricevendo la banda a casa sua. Maria Corbari, la sorella di Silvio, che supporta Iris e dà un giudizio anticonformista sulla sua partecipazione in formazione. Infine il libro è pieno di testimonianze dirette, ho voluto trascrivere tutte le citazioni, per raccontare esattamente com’erano i pensieri e le abitudini di quell’epoca, e restituire una rappresentazione corale del mondo nel quale la vita di Iris era immersa.
Francesca. Descrivi motivazioni diverse che spingono uomini e donne a partecipare alla Resistenza. Mi sembra di capire che per gli uomini spesso c’è il senso del dovere. Le donne invece sono spinte dai valori e dai principi in cui credono, perché a loro non è richiesto dalla morale comune di fare la guerra. Ma descrivi anche giudizi diversi sui propri comportamenti, anche militari, a seconda del fatto che stiamo parlando di un uomo o di una donna.
Sandra. In realtà è la visione dominante che attribuisce all’uomo (maschio) la spinta dell’ideale e alla donna (femmina) la motivazione fatta di affetti, di amore, di protezione. Se ci pensi è la stessa dicotomia che vediamo per l’uso delle armi: l’uomo combatte per un ideale, la donna perché spinta da un impulso momentaneo: gelosia, difesa della prole, fame. Pensa anche ora ai titoli che vengono dati agli articoli che parlano delle combattenti curde; iniziano sempre con “Mogli madri, ecc.” In questo modo però all’uomo vengono attribuite motivazioni esterne, quindi alte, quindi politiche; alla donna motivazioni dettate dall’istinto, quindi interne, quindi private. Ne deriva la dicotomia privato/pubblico che caratterizza la nostra società: all’uomo spetta il pubblico, la polis, la politica, alla donna il privato, l’accudimento della casa, della famiglia che continua a essere la sua cifra anche quando irrompe nella scena pubblica.
Non c’è nulla di sbagliato in tutto questo, negli anni Novanta Anna Bravo con la categoria del Maternage spiega che spesso le donne entrano e partecipano alla Resistenza nel solo modo che conoscono: quello della cura che dalla casa viene estesa ai renitenti alla leva e ai fuggiaschi prima e ai partigiani poi. Il problema sorge nel momento in cui questa categoria viene usata per sminuire il loro operato: non hai partecipato per amor di patria ma per amore e basta, quindi il tuo operato vale meno del mio. Lo stesso vale per il termine “colpa”, che detesto. Per gli uomini si parla di “responsabilità”, per le donne di “colpa”. La vox populi dà la “colpa” a Iris Versari della fine della banda. Io mi arrabbio sempre moltissimo, perché colpa è un termine cattolico: c’è la colpa e c’è la redenzione. È quello che è successo all’immagine pubblica di Versari. La colpa di essere stata una donna in armi, di essere stata pubblicamente l’amante di un uomo sposato, di aver sovvertito le regole, cui segue l’espiazione attraverso il sacrificio ovvero il suicidio per permettere all’uomo amato di salvarsi. Ancora le si dà la colpa dell’eccidio di ca’ Cornio, quando invece la responsabilità dello svolgersi degli eventi che portò alla cattura e alla morte di Versari, Corbari, Spazzoli e Casadei fu collettiva, e non solo di Versari. Che poi se proprio cercare un colpevole di quanto accaduto, credo che questo vada individuato e trovato nell’esercito occupante, nei nazifascisti.
Sandra Bellini, Iris Versari. Una biografia partigiana, Il Ponte Vecchio, 2022
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Francesca Romana Di Santo

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