Usciva sempre di casa correndo. I capelli legati dietro la nuca, al collo un fazzoletto ogni giorno di un colore diverso e una lunga gonna svolazzante. Non aveva tempo per fermarsi al caffè per una pasta, seppure le sarebbe piaciuto, e neppure per scambiare due parole con il bottegaio, un simpatico gaucho che si era stabilito lì da qualche anno condividendo il vento dell’anarchia in quel barrio operaio. La fabbrica di zucchero era la sua destinazione ma non era il suo pensiero più importante. Da quando aveva compiuto 14 anni, e si era stabilita da sola a Rosario, aveva iniziato a lavorare come operaia allo zuccherificio ma da subito il lavoro le era sembrato un mezzo e non un fine. Era evidente che la vita degli operai era schiavitù e più ancora lo era quella delle donne lavoratrici, oppresse dalla mancanza di diritti, dagli obblighi sociali e da orari disumani in fabbrica come a casa.
Mentre correva, Virginia pensava all’articolo che aveva scritto per La Voz de la Mujer, il periodico che aveva fondato e che da qualche mese stava mobilitando la vita della città a tal punto che le loro riunioni erano diventate sempre più partecipate e dense di dibattiti. Molte donne stavano iniziando a ribellarsi e lei si sentiva orgogliosa per il loro coraggio ma anche spaventata. Era una grande responsabilità quella di averle risvegliate alla coscienza politica e alla consapevolezza della loro condizione. Ogni volta che parlava in pubblico, ogni volta che scriveva un articolo, ogni volta che otteneva un miglioramento per tutte loro, quello che sentiva non erano gli applausi, nè le grida esultanti delle compagne, ma il rumore sordo e fragoroso del cambiamento che come un’onda alta e lunghissima raccoglieva tutte loro e continuava la sua corsa libertaria attraverso il mondo.
– Perché hai scelto questo titolo per il giornale? – le avevano chiesto.
– Alle donne mancano molte cose – aveva risposto Virginia – ma più di tutto è la voce che ci manca, e questo giornale sarà la voce di tutte –.
E lo era stato. Fin dal primo numero si era iniziato a parlare di lotta, di diritti e soprattutto dei bisogni delle donne, quei bisogni semplici e basilari che nessuno mai riconosceva loro, come riposarsi, ridere, abbracciarsi o passare il tempo senza fare niente.









Micaela Veronesi

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