Il potere di Evita

Donatella Borghesi, 16 giugno 2022

Un romanzo epico di Iaia Caputo che vuole indagare chi era Eva Perón al di là della iconografia pop. Evita che ottiene il suffragio femminile e lo stato sociale e chiede il salario per le casalinghe ma muore a 33 anni. Evita cuore del populismo che tiene a bada l’esercito da cui sarà poi sconfitta politicamente

Di Donatella Borghesi

Chi era davvero Eva Perón, la Santa e la puta, la stracciona e la regina, l’arrampicatrice sociale e la rivoluzionaria. Chi era la donna che nei primi anni Cinquanta è diventata il simbolo di una nazione, l’Argentina, adorata dal popolo dei descamisados e sconfitta dalle oligarchie maschili e dallo stesso marito? Queste domande se le è poste Iaia Caputo, quasi a far diventare un’ossessione la ricerca di un’identità lasciata alla leggenda. Il risultato del lungo lavoro sulla storia di Evita e sulla propria scrittura è un romanzo che ha la forza e la ricchezza narrative di una tragedia classica, con una parola ricca e coinvolgente, filtrata dallo sguardo di una donna dei nostri giorni. Che vede in lei non solo un mito caro alla cultura pop, iconografia a cui Caputo si sottrae, ma la parabola esemplare di una delle prime donne che si sono confrontate con il potere.

E lo fa con più ritratti di Eva, differenti e assonanti, raccontati da chi le è stato vicino, che si moltiplicano come in una galleria di specchi. Le attricette dei tempi della povertà che come lei hanno fatto la gavetta a mate e biscotti. Il parrucchiere che ha trovato quello speciale tono di biondo glamour che ben si accostava alla sua carnagione trasparente, e il sarto che l’ha resa una maestra di stile della high society internazionale. Le compagne della Fondazione femminile, con cui ha conquistato nel 1947 il suffragio alle donne, la “Ley de Evita” per tutte. Le signore della buona società che lei detestava e che di certo non l’amavano. I sindacalisti che con lei sono diventati un contropotere in grado di minacciare lo sciopero generale. Il suo segretario personale che l’ha seguita fedele fino alla fine. L’infermiera che l’ha curata durante l’agonia per un anno intero. Perché Evita è morta a 33 anni, una ragazza diremmo oggi. La realtà non è mai stata buona con lei.

Eva Duarte non solo era nata povera: era figlia illegittima, una “bastarda” mai riconosciuta dal padre. E forse da questo disonore sociale ha tratto ancora di più la voglia di riuscire nella vita, la potenza di un’ambizione personale che le ha fatto conquistare il generale Juan Perón, venticinque anni più di lei e un debole per le minorenni. Un matrimonio lampo, il 22 ottobre 1945. Chissà cosa vide in Perón, si chiede Iaia Caputo, «forse quel che aspettava da tutta la vita, un padre al riparo del quale riposare». E lui cosa aveva trovato in quella giovane attrice di seconda fila, neanche troppo bella… Forse, «la promessa di ricevere da lei tutto ciò che a lui mancava. L’irruenza, la rabbia, la passione. Un’illimitata capacità di amore. E di odio».

Nei fatti, è stata Evita il cuore pulsante del peronismo, quella speciale formula di populismo a cui gli argentini di oggi sono ancora affezionati. È stata lei a volere caparbiamente lo stato sociale, ad abolire la carità, “il piacere perverso dei ricchi”. E avrebbe voluto, se non fosse morta prima, anche il salario alle casalinghe, e l’aumento salariale per ogni figlio. Per le sue riforme lavorava giorno e notte, con un tailleur principe di Galles con il colletto di velluto, che era diventata la sua uniforme. Instancabile, ascoltava le richieste di tutti, di chi cercava lavoro, aveva bisogno di una casa, non aveva di che mantenere i figli. Perón la invia per l’Europa, incontra De Gaulle, il papa Pio XII, Time le dedica una copertina. Da questo suo straordinario impegno era nato il suo mito, era diventata la Madre della nazione, il suo capo spirituale, come la proclamò poi il parlamento.

Il romanzo parte dal 22 agosto 1951, per andare poi a ritroso nel tempo. È il giorno del Cabildo Apierto, quando due milioni di argentini arrivano a Buenos Aires da tutto il paese per festeggiare la seconda rielezione di Perón, e la nomina di Eva a vicepresidente. Ma Evita non appare sul palco, se non molto più tardi, mentre i suoi descamisados invocano “Con Evita! Con Evita…”. È Evita che vogliono, che reclamano, che pretendono. Scrive Iaia Caputo dando la parola al segretario personale di Eva: «Evita arrivò sul palco intorno alle diciotto, se la memoria non m’inganna, forse anche più tardi… E allora bastò la sua presenza perché sentissimo tutti, indistintamente, che lo spazio che occupava non era solo lo spazio politico, che pure si era conquistata, non era più misurabile con il metro dell’amore che aveva dato e ricevuto dai suoi descamisados. Si trattava di uno spazio mistico, uno spazio magico e sconfinato che escludeva tutti gli altri. E prima degli altri, imprevisto, inaudito, stava riducendo Perón in secondo piano, era diventato una superficie trasparente che rifletteva la luce del sole, e il sole era lei».

Dovranno passare nove lunghissimi giorni prima che Evita capisca che vicepresidente non diverrà mai, aveva vinto la corte di militari e oligarchi che erano alla base elettorale di Perón. Lei lo aveva difeso e protetto, era stata la sua falange armata, ma le si era rivoltato contro. «A un certo punto dissero basta a quella donnaccia priva di cultura e buone maniere, di pudore muliebre e discrezione, di un passato decente e di una famiglia presentabile». Il 31 agosto è il giorno del suo renunciamento, regina costretta ad abdicare dalla ragion di stato. «Io che comandavo come un uomo, che lavoravo e combattevo come un uomo (…) io adesso devo sottostare all’approvazione e alla volontà di mio marito e dell’unica casa che abbia mai conosciuto, l’esercito, per tornare a essere come loro mi hanno sempre vista: nient’altro che una donna». Ma quanto le è familiare quell’angolo dove il Generale l’ha spinta. Un gioco dell’oca, un giro del mondo per poi tornare da dove è venuta. La bastarda, la non riconosciuta, adesso si ricongiunge alla non autorizzata. Credeva fossero ormai così lontane e invece sono di nuovo insieme. E insieme cominciano a cadere.

Compagni, sto solo rinunciando agli onori, dice al suo popolo. Non rinuncio al mio posto nella lotta. Ma l’amore per il suo popolo è nudo, è privo di potere, mostra il proprio limite. E la motivazione di Perón resa pubblica le toglie definitivamente la parola: Evita ha un tumore all’utero e pochi mesi di vita. «La dea che aveva reso possibili gli altrui desideri deve arrendersi alla realtà. Resta il corpo. Il corpo della sovrana. Materiale e mistico. Immenso e minuscolo, allo stesso tempo». Ironia della storia, dopo la morte di Eva, Peròn nominò vicepresidente la sua terza moglie, Isabelita. Che non gli impedì certo di aprire le porte a una delle peggiori dittature del Novecento, quella di Videla. Il militare per cui Eva Duarte era solo una volgare sgualdrina.

Evita muore il 26 luglio 1952. Il suo corpo idolatrato, in corsa per l’eternità, imbalsamato ed esposto all’ultimo saluto dei fedeli, ricoperto di fiori bianchi, i funerali fatti filmare dai gringos della Century Fox. Il suo corpo poi trafugato e ricercato in tutto il mondo. “Tornerò e sarò milioni”, pare fosse uno dei suoi slogan preferiti. Ma quale Evita sarebbe tornata?

 

Iaia Caputo, “La versione di Eva”, Mondadori, 2022

PASSAPAROLA: FacebooktwitterpinterestlinkedinFacebooktwitterpinterestlinkedin GRAZIE ♥
The following two tabs change content below.

Donatella Borghesi

Giornalista milanese, ha lavorato a lungo in Mondadori, oggi vive in Maremma e fa parte della Libreria delle Ragazze di Grosseto. Ha scritto Specchio, specchio delle mie brame, sull’ombra dell’invidia tra donne (La Tartaruga) e Sono io la tua sposa marina (L’Iguana), che ricostruisce la genealogia femminile della sua famiglia d’origine viareggina.

Ultimi post di Donatella Borghesi (vedi tutti)

Categorie
0 Comments
0 Pings & Trackbacks

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.