Nel Sanatorio all’insegna della clessidra di Bruno Schulz, autore molto amato da Nadia Terranova, si legge: “I fatti comuni sono schierati nel tempo, allineati lungo il suo corso come su un filo. Là essi hanno i loro antefatti e le loro conseguenze, che si affollano e si susseguono senza tregua, né interruzione. (…) Che fare, invece, degli avvenimenti che non hanno il loro posto nel tempo, degli avvenimenti verificatisi troppo tardi, quando ormai l’intero tempo è stato distribuito, suddiviso, ripartito, e che ora sono rimasti in certo modo per aria, non incolonnati, sospesi, vaganti e senza dimora?”1. La lettura di Trema la notte evoca proprio l’idea di un evento che sfugge continuamente al tempo cronologico, perché condensato e precipitato in una cornice troppo corta, disteso all’infinito e insieme contratto, pronto a srotolarsi nella memoria collettiva come una magnifica e tragica ossessione. Queste righe di Schulz mi sono spesso risuonate dentro mentre la voce di Terranova mi parlava del suo (e del mio) Stretto colpito da quella “apocalisse differita” che è stato il terremoto di Messina e Reggio Calabria del 28 dicembre 1908. Lo Stretto “nelle sere di accalmia” si colma di spettri già dal preludio, richiamando l’importanza dello spazio urbano e marittimo già vista in Addio fantasmi (Einaudi 2018, finalista Premio Strega). Se lì l’elaborazione del lutto si associava alla topografia del trauma di Ida che ricostituisce la memoria paterna, qui la lingua di mare tra Messina e Reggio Calabria è un anello insieme doloroso e necessario che parla di un cataclisma condiviso tra due mondi gemelli, due sponde che si cercano e si rincorrono per l’intera narrazione. La catastrofe, che trae dal suo etimo greco il significato di “rivolgimento”, rovescia appunto i destini dei personaggi, ne ridelinea il dialogo obliquo e re-inscrive lo spazio dello Stretto in un gioco di cornici simboliche. Il simbolismo delle storie nate dentro e oltre il sisma è segnato dai ventidue Arcani Maggiori, i cui nomi scandiscono ciascuno dei capitoli di Trema la notte. E nella cornice del fato di una natura imprevedibile che tutto sconvolge e sconquassa, il tempo incerto e precipitato del racconto aiuta l’evento principale del terremoto a sottrarre Barbara e Nicola ai loro destini prefissati, gettandoli nella voragine che avvolge la Storia e le microstorie.
Non si dorme sullo Stretto di fine Ottocento, pochi giorni dopo le feste natalizie, mentre il Teatro Vittorio Emanuele si prepara a mettere in scena l’Aida di Verdi: a Reggio Calabria pesa l’amore materno soffocante a cui il piccolo Nicola non sa ribellarsi, tanto da accettare di dormire ogni notte su un catafalco sotterraneo, legato ai polsi per non farsi portare via dal diavolo; dall’altra parte del mare c’è il senso di frustrazione di Barbara, nativa del paesino di Scaletta Zanclea e fotografata mentre un treno locale la conduce dalla nonna messinese, per assistere all’opera lirica tanto amata. Barbara, le cui “porte dell’infanzia erano sempre state malferme”, è una giovane donna che vuole emanciparsi da un padre costrittivo e onnipresente (“era il mio dio, e io non lo adoravo”) e che desidera studiare all’università e respirare il fermento di Messina. In lei vive quel Novecento di menti femminili audaci e coraggiose che traggono dai libri la forza di abitare il mondo. I romanzi, che per Barbara sono “madre e coltello”, interpretano quella febbre delle idee anticipata dal suo attaccamento verso il racconto di una liberazione protofemminista, ovvero la Maria Landini della messinese Letteria Montoro, al quale Terranova offre un tributo affettuoso e sincero.
Vittime di diversi tipi di violenza, Barbara e Nicola conducono il racconto alternandosi fra la terza e la prima persona e conducono per mano le lettrici e i lettori in un percorso di ricostruzione complessa, che traccia fili paralleli tra le loro personalità e i luoghi feriti. Rinominarsi e riabitare nuovi spazi lasciandosi alle spalle famiglie sepolte, amori troncati sul nascere, piani per il futuro, significa per entrambi (e fa riflettere chi legge) scegliere di imparare ad amare la poetica delle macerie. Barbara, come la santa a cui tanti siciliani sono devoti, non ha tempo di spaventarsi di lampi e tuoni, ma attraversa la città incarnando, col suo corpo, quelli di migliaia di altri sopravvissuti dispersi al proprio destino. Ed è qui che entra in gioco il mare dei detriti di una memoria storica che andrebbe ricostituita anche fuori dal dibattito isolano, quella memoria che spinge da sempre nella scrittura di Terranova. È poi questa una memoria animata da un linguaggio nuovo e inusitato per l’autrice messinese, una lingua che richiama l’amore per Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo (nativo di Alì Terme, in provincia di Messina) e che parla di vento e di mare, di corpi e di odori. C’è inoltre una qualità squisitamente visuale in questo romanzo, tra le cui pagine si fanno strada le immagini d’epoca, quasi come se Terranova avesse scritto davanti a un oceano di filmati e di fotografie: la Palazzata messinese, quella stessa compianta dai tanti testimoni giunti per caso, come il giornalista Luigi Barzini; la visione dei soldati russi giunti per primi a soccorrere i terremotati, mentre da Roma il governo stordito faceva fatica a mettere in ordine i frammenti di notizie confuse, troppo tragiche per essere vere; o ancora, sono assai intense e cinematografiche le pagine dedicate alla nascita dei “villaggi” dai nomi evocativi (Villaggio Svizzero, Villaggio Regina Elena…), ovvero sobborghi improvvisati in cui alloggeranno i terremotati e ancora oggi marchio territoriale di una ricostruzione ben lontana dall’essersi completata.
Non è infine secondario che Trema la notte sia un romanzo di intensa maternità, non da intendersi solo in senso letterale. Il sisma seppellisce la madre di Nicola, lasciandolo libero e in balìa di nuovi affetti familiari, mentre per Barbara apre un’esperienza dolorosa e necessaria, un mettere al mondo sé stessa a partire dal trauma doppio della violenza e della perdita dei propri riferimenti. Saranno altre figure di maternità elettiva, alleanze femminili decisive, a pavimentare la strada verso una nuova soggettività che, come la terra spaccata che riassorbe gli urti per rinascere, trae da sé stessa le lezioni più importanti di sopravvivenza.
1 Bruno Schulz, Le botteghe color cannella. Tutti i racconti, i saggi e i disegni (Milano: Einaudi 2001), traduzioni di Anna Vivanti Salmon, Vera Verdiani e Andrzej Zieliński, p. 132.
PASSAPAROLA: GRAZIE ♥Serena Todesco
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