All’origine era la madre

Angela Giannitrapani, 15 febbraio 2022

Stefania Renda, nella sua ricerca di dottorato in antropologia e etnologia, ha studiato le società matrilineari tuttora esistenti in quattro continenti: società dove vige l’economia del dono, la condivisione nelle decisioni e il rispetto della natura

di Angela Giannitrapani

Il saggio di Stefania Renda “Il Matriarcato. All’origine le madri?” nel titolo contiene una domanda e una promessa: nel conciso ma intenso tragitto, l’autrice risponderà a quella domanda e manterrà quella promessa. Partendo dalla parola matriarcato, oggi discussa dalla mitoarcheologia, mette subito in guardia sul forzato e infondato simmetrismo con patriarcato, negando il concetto di potere delle donne speculare all’idea di patriarcato.
L’etimologia di matriarcato, secondo Heide Goettner-Abendroth, va al significato della parole greca arché, origine. Dunque, non potere delle donne ma ‘la madre all’origine’. Chiarito il nucleo semantico di matriarcato, diverso appunto a quello di patriarcato così come si è evoluto, la parola può essere indicata senza equivoci. E, a partire dagli studi di Goettner-Abendroth, si possono usare gli aggettivi matrilineari e matrifocali compresi in questo concetto, per individuare quelle società organizzate secondo i principi che tali appellativi identificano. Secondo Marija Gimbutas, nel Paleolitico e fino al Neolitico, la figura femminile veniva rispettata per la sua capacità di generare la vita e veniva venerata la Dea Grande Madre Cosmica. Le società erano prevalentemente pacifiche e vivevano in armonia con la natura: questo equilibrio si è rotto con l’invasione dei Kurgan, popoli semi-nomadi provenienti dalle steppe siberiane, bellicosi e abili nelle armi, che tra il 4300 e il 2800 a. C. imposero il loro modello di società androcratica e patrilineare.
Ecco dunque la risposta alla domanda del titolo: all’origine c’erano le madri. Chiarito il significato che sposta non poco lo sguardo con il quale osservare, comincia il viaggio alla scoperta delle società matrilineari tuttora esistenti. Inizia in Asia con l’India, la Cina e Sumatra; si passa per l’Oceania con un arcipelago della Papua Nuova Guinea e infine, attraverso l’America del Nord, si approda nell’Africa Occidentale. Del centinaio di società ancora a struttura matrilocale, Stefania Renda ne analizza qui sei: i Khasi dell’India nord-orientale, i Mosuo del sud-ovest della Cina, i Minangkabau dell’isola di Sumatra, gli abitanti delle isole Trobriand nell’arcipelago della Papua Nuova Guinea; gli Hopi dell’America del Nord; gli Ashanti dell’Africa occidentale.
Di ciascuno di questi popoli descrive le caratteristiche specifiche ma anche quelle che le assimilano alle altre. Dal patrimonio comune che ne ispira le strutture, i costumi e le credenze, si notano aspetti fondamentali ricorrenti. Prima di tutto, la discendenza matrilineare riconosciuta non solo nel dato biologico ma anche nel legame affettivo, sociale, patrimoniale e di ruoli che si ereditano in linea femminile. In queste piccole società di donne, emerge la centralità delle madri, sia nella sfera privata che in quella pubblica. In quest’ultima, tuttavia, le madri non prevaricano ma garantiscono gli equilibri sociali e prendono le decisioni con gli altri membri tramite la pratica del consenso. I due ambiti, privato e pubblico, in alcune etnie possono essere rappresentati da donne e uomini separatamente ma l’uno influenza l’altro, e prevale la democrazia e la risoluzione pacifica dei conflitti.
Le persone anziane, i bambini e le bambine vengono rispettati nelle loro fasi di vita. L’economia – agricola e di allevamento, ispirata al rispetto dei cicli naturali – è basata sul principio del dono e i beni primari sono distribuiti in modo egualitario ed equilibrato. La natura è tenuta in conto come l’origine degli esseri viventi e il concetto di divinità immanente: all’origine si staglia la Dea Madre, raffigurata spesso come sole o luna.
Secondo il principio biologico-affettivo-culturale della matrilinearità le creature generate, maschi e femmine, si legano indissolubilmente alla madre e alle figure parentali femminili. I padri, pur intessendo relazioni di affetto con i figli, sanno di questa originaria appartenenza al matriclan. A loro volta, svolgono il ruolo genitoriale all’interno del proprio gruppo originario, così che zii e zie assumono la funzione di genitori. Anche se il ruolo di padre biologico si affievolisce, quello degli zii come ‘padri sociali’ è fondamentale. Il diffuso senso di mothering «come cura di tutti i membri del gruppo etnico, come rispetto e relazione armonica con la natura, come economia garante della sopravvivenza e nutrimento di tutti, come rispetto dell’altro sesso, sostegno reciproco» coinvolge anche gli uomini e quindi non si afferma come fattore biologico ma come un modello culturale. La violenza domestica e il femminicidio non solo sono inammissibili ma anche incomprensibili.
Renda diffida dall’usare il paradigma culturale di una società per esportarlo in un’altra. Ma «è possibile trarre ispirazione da alcuni valori socio-culturali matriarcali come ad esempio il rispetto, la cura, il sostegno reciproco e l’economia del dono, provando a portarli nella nostra quotidianità per costruire una società non violenta e rispettosa di tutti e di tutte». Indubbiamente sono modelli che ci permettono osservare le strutture sociali con squilibri e sviluppi pericolosi. Oggi più che mai, visto che i modelli sociali, economici e ambientali rivelano disfunzioni non più sostenibili a livello planetario.
Il saggio ha uno stile divulgativo, ma è il frutto di ricerche e di studi non solo accademici ma anche sul campo. Stefania Renda, durante la sua attuale ricerca di dottorato in antropologia e etnologia presso la Yunnan Minzu University di Kunming nel sud ovest della Cina, per due anni e in vari soggiorni ha vissuto in villaggi Mosuo, attorno all’area del lago Lugu a 2700 metri nella regione dello Yunnan. Ne ha tratto dati, foto, ha condiviso abitudini e rapporti. Lì ha trovato donne autorevoli e sagge che non tolgono dignità agli uomini. Donne che la hanno letteralmente e ufficialmente ‘adottata’ perché senza il loro atto d’amore e la loro accettazione, lei non avrebbe avuto il permesso di conoscerle, secondo un’antica regola secondo cui la conoscenza passa attraverso la relazione.

Stefania Renda, “Il Matriarcato. All’origine le madri? – Un viaggio dal Paleolitico alle società contemporanee”, ed in.folio.asterios, 2020

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Angela Giannitrapani

Angela Giannitrapani vive a Milano. Ha insegnato Lingua e Letteratura Inglese nelle scuole superiori dove è stata per alcuni anni responsabile di progetti di integrazione giovanile. Da sempre interessata alle tematiche femminili, è socia della Lud, Libera Università delle Donne e della Casa delle Donne di Milano. In quest’ultima associazione, insieme alle altre del gruppo Libr@rsi, promuove eventi culturali sulle tematiche relative al mondo delle donne attraverso i libri. Nella Libera Università delle donne ha partecipato ai corsi di Lea Melandri sulla scrittura d’esperienza ed è coautrice del testo “Pensare la cura – Curare il pensiero” edito dalla LUD. Ha pubblicato, inoltre, racconti in raccolte edite dalla stessa associazione. Al di fuori di questi ambiti le sue pubblicazioni di narrativa sono “Profili di donne” edizioni Ila Palma 2007; il racconto “Zita” nella raccolta Il colore delle donne e vincitore dell’omonimo concorso, edizioni Anankelab 2014; il romanzo “Quando cadrà la neve a Yol” edizioni Tra le Righe Libri 2016, giunto al secondo posto del Premio Letterario Pannunzio.

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