“Ci stacchiamo dal molo lenti/come bestioni in letargo”. La morte è bieca, merciaia che misura a metraggio. Una lettura del “Vascello Fantasma”, raccolta poetica di Marietta Salvo
Di Viola Lo Moro
Quella di Marietta Salvo è una raccolta che condensa in circa 160 pagine di poesie, divise in quattro sezioni, una vita lirica pienamente vissuta in compagnia dei fantasmi. Non a caso il titolo è proprio “Vascello fantasma”. Curioso è che proprio il componimento, posto in posizione centrale del libro, e che chiude la sezione dedicata alle apparizioni vitali e mortifere che abitano la penna dell’autrice, risulti essere il più criptico e visionario:
Vascello Fantasma
C’è un tramonto e giardini
nascosti in verticale.
Ci stacchiamo dal molo lenti
come bestioni in letargo.
Inizia cogli occhi la grande ricerca
del comandante. E ricostruire
la mappa e il diario di bordo.
In questa lirica raffinata e composta – l’autrice vinse nel 1989 il Premio Internazionale di poesia Eugenio Montale a ragione – emerge un mistero: l’allontanamento dai moli, il salpare lento delle navi, non è forse parte di un processo di allontanamento dalla morte – che guida gran parte della raccolta – per avviarsi verso un luogo sconosciuto? O è una inesorabile deriva nella direzione dell’inglobare la presenza fantasmatica della morte come sempre presente nel viaggio? Solo la poesia può tenere insieme questa contraddizione e dire: sono entrambe le cose.
L’autrice è cresciuta in una città di mare, Messina, una città di passaggio (e di passaggi), distrutta agli inizi del ‘900 dal terremoto, e ricostruita con tutte quelle ambiguità tipiche delle opere italiane: strati, impedimenti, meraviglie, blocchi e abusi. Ricostruzioni che quasi mai tengono conto della voglia di vedere il mare delle e dei suoi abitanti, di poterlo accarezzare con lo sguardo o con i piedi (tutta una zona di mare è interdetta al pubblico per un uso esclusivo militare). Una città che rimane nei ricordi spesso solo per l’attraversamento dello Stretto, altro protagonista di questi componimenti, soprattutto nella seconda sezione in cui molte sono le poesie che raccontano una città e una terra. Solo per citarne alcune abbiamo: Messina, Immagini di qua e di là dello Stretto, Africa sul balcone, La Città di Sabbia, Città costellata con ragazzi (l’unica posizionata nella prima sezione).
E se la vita esiste – con i suoi passaggi, colori, suoni incarnati nei luoghi – se esiste anche l’eros, presente in alcune liriche nella terza sezione, che senza timore si affaccia e diventa corpo pulsante e vivo “[…] leccami come se fossi corda / porta nel cesto uova tonde che mi dissodino / stana quei lupi che mi facciano il veleno / succhia il fardello che strambotti carni / e se ti basta un occhio /scavalo. […]” – domina però, più di tutto, la morte.
La morte è compagna di stanza (nome di una delle primissime poesie della raccolta – […] la morte diventò compagna di stanza […]), la morte è bieca, merciaia che misura a metraggio, è una salma giovane che non ritorna se non nella macchina bianca del Comune, quella dedicata alle morti delle persone giovani, è una primavera che non si compie. Nell’esperienza della poeta è lì, in quell’imprevisto tragico, che si può consolidare un’ossessione tanto dolorosa quanto feconda nella scrittura. Sembra a volte compiersi un piccolo miracolo di senso nelle chiuse delle liriche, quando l’immagine restituita dai versi segna in modo inequivocabile l’impossibilità di superare la tragedia. Molto efficace, per esempio, la chiusa della poesia Le notti di piena
[…] E si morì in due alfine
senza nessuna ragione congrua
che non fosse
il richiamo
Al di là dell’elemento biografico, ovviamente rilevante come punto di partenza, ma da ricollocare nel senso che la voce poetica ci vuole restituire, appare chiaro come l’io dei componimenti è rimasto ancorato e legato alla perdita, come se la morte dell’altra fosse stata anche un po’ una propria morte, una perdita di spensieratezza e di ragione negli accadimenti della vita. Per questa ragione la poesia di Marietta Salvo è nobile: si fa carico di una eredità impossibile ([…] il problema fu sempre però la gruccia / vuota) e con una forma molto rigorosa, che non cede alle facili lusinghe dei versi spezzati, si assume di portare la morte nella vita, facendola diventare fantasma. Lo stesso fantasma che supporta il vascello alla deriva.
Marietta Salvo, “Vascello Fantasma”, Perrone editore, 2021
Viola Lo Moro
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