Un attimo prima dell’esplosione

Elvira Federici, 23 settembre 2021

Cosa possiamo fare di un trauma? Cosa fa ciascuna vita del trauma del suo stesso vivere? Le sorprese di “La sostanza instabile”, romanzo d’esordio di Giulia Lombezzi

di Elvira Federici

Con una definizione, mutuata dalla chimica, a ben vedere ossimorica, si intitola quest’opera prima di Giulia Lombezzi, finalista al Premio Calvino 2020, autrice e regista teatrale.

La sostanza instabile è qui riferita a quella fragile, contestualizzata, non identitaria umana.

Una cosa, un fatto, un evento, un innesco è il caso di dire, produce cambiamenti radicali nelle vite insieme anodine ed eroiche di ciascun/a protagonista.

La voce narrante si sposta sopra e sotto la superficie: delinea l’ampio paesaggio della moltitudine, il festoso radunarsi di coppie, gruppi di amici, famiglie per una finale di calcio. La massa è insieme un soggetto e un fenomeno di cui non si possono prevedere gli esiti: «(le persone) parlano tutte insieme, si chiamano, fischiano, una nube sonora che potrebbe scaricare lampi, spostare edifici, carbonizzare boschi interi«».

Questo è ciò che cade sotto lo sguardo della Minerva in Pace, in cima all’arco trionfale di piazza Sempione, a Milano. Uno sguardo “al di sopra”, cui la voce narrante si appoggia, cercando una distanza, indugiando sui dettagli: una scrittura impersonale che impercettibilmente comincia a vibrare avvicinandosi ai personaggi: alcune, alcuni dentro quella folla. Persino la dea non può essere osservatrice onnisciente. Sente, la massa bronzea scolpita con intenti simbolici, che tutto è sospeso, e incerto, sotto il suo “sguardo concentrato”.

È la paura, per meglio dire il panico, scatenato da un’improvvisa e casuale esplosione, l’oggetto di studio di Giulia Lombezzi? E’, la sua, un’ottima maniera di mettere a frutto gli input di una scuola di scrittura? In parte: c’è infatti l’idea efficacissima di studiare cosa succede ad un personaggio sottoposto ad un forte stress, ad un trauma che ha i caratteri dell’irreversibilità; quali livelli di disintegrazione e di integrazione dell’esperienza vengono messi in gioco nel contesto della storia e delle relazioni di ogni singolo/a? Ma questo passaggio – il trauma, l’interdetto – è pur sempre alla base di ogni storia; qui, il gioco sottile è tra la massa che esplode, letteralmente, in apertura e ciò che implode nell’idea di sé, nella vita di ciascuno dei personaggi. Cambia lo sguardo, cambia la scrittura in cui l’autrice mette a frutto la sua sapienza di regista e drammaturga.

La scrittura e l’impianto narrativo sostengono una notevole complessità di piani e tiene le fila di numerosi personaggi e personagge: per ciascuno la voce narrante ha un’intonazione, restando prodigiosamente in bilico tra le diverse intonazioni.

Le pagine del capitolo 22.36, in cui si descrive l’esplosione sono di rara forza e capacità di coinvolgimento. L’espediente dello sguardo di Minerva fotografa, registra, raggela, prima oggetti e rumori e umori che si infrangono, si arrotano, si sciolgono, poi si impasta con le carni, le mani che si slacciano sotto le spinte, le gambe che calpestano, i seni che si stritolano sulle transenne, con le voci che cominciano a chiedere aiuto. Ecco, qui hanno inizio le storie dei protagonisti, che abbiamo visto comparire un attimo prima dell’esplosione già intrappolati nel destino delle loro relazioni: le due liceali amiche per la pelle, una giovane coppia assai a modo, una famigliola intorno ad una mamma-chioccia, per esempio. La voce narrante li segue, li prende e li lascia in momenti differenti della loro storia, ancorati a ricordi, sogni, rimorsi che affiorano nel presente sterminato e deserto che bisogna ricostruire, adesso che è un “dopo”; ricostruisce le fila, si avvicina al loro fiato ma resta capace di osservare, non giudicare, domandarsi.

La domanda non formulata, che innerva l’andirivieni delle vite ricostruite per brevi tocchi, allusioni e pregevoli ellissi riguarda non che cosa fa un trauma delle nostre vite ma cosa possono fare le nostre vite di un trauma; cosa fa ciascuna vita del trauma del suo stesso vivere. Come, quando e perché la sostanza instabile – la sostanza di cui sono fatti i sogni? – si assesta nella simmetria soffocante delle relazioni. Una simmetria che, rendendo complementari tra loro i soggetti ne nasconde la zoppia e obbliga ad un’ingannevole stazione eretta: le amiche del cuore che devono amarsi; la donna remissiva e oblativa nei confronti di un partner opaco e supponente; la mamma che vive (e se è il caso, uccide ) solo per la sua famiglia. Solo un bambino, Marco, che tutto ha visto e tutto pian piano capisce, si mostra capace di sottrarsi al destino dei legami; mitemente, con la sapienza inconsapevole della vita che preme in lui come una promessa o una minaccia, ne annoda di nuovi, impensabili e vitali.

Giulia Lombezzi, “La sostanza instabile”, Giulio Perrone Editore, 2021

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Elvira Federici

Elvira Federici è nata e vive a Viterbo. Laureata in filosofia alla Sapienza, ha insegnato nelle medie e nei licei, ha fatto la preside ( poi dirigente scolastica) in istituti medi e superiori impegnandosi sui temi del genere e della differenza; dal 2007 al 2011, ha lavorato in Brasile per conto del M.A.E.,. È cultore della materia per Linguistica Italiana –Università della Tuscia. ed è stata contrattista per Didattica delle lingue moderne. Ha pubblicato due manuali scolastici per Mondadori e Mursia. Ha scritto per Riforma della Scuola, Insegnare, Il Filo, Mosaico ( Comunità Italiana in Brasile). Nel 2005 ha pubblicato per la IDC PRESS di Cluj Napoca (RM), la raccolta di versi "Oriente Domestico". Collabora con la rivista Leggendaria. Di recente, oltre alla organizzazione del ciclo di filosofia Lineamenti di femminismi, genere, differenza, con Federica Giardini e le docenti del Master pari titolo di Roma3, ha progettato e curato per la Biblioteca Consorziale di Viterbo il ciclo "Elogio della Poesia", incontri con undici grandi poeti e poete della contemporaneità. È femminista ed ha attraversato il movimento a partire dalla differenza sessuale. Trova stimoli di fronte alla complessità emozionante del mondo, anche nel pensiero di Gregory Bateson, che frequenta da anni con il Circolo omonimo.

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