Il dettaglio e lo stupro

Clotilde Barbarulli, 01 agosto 2021

Parlare di Adania Shibli in un momento in cui Israele ( «uno stato coloniale – afferma il sociologo James Hilal – che impone un sistema di apartheid ai palestinesi in tutto il territorio della Palestina storica, inclusi quelli che posseggono un passaporto israeliano»), continua la sua politica di aggressione, mi sembra necessario, tanto più se Un dettaglio minore racconta – in modo originale e potente – di un terra dove «le case sono state distrutte, le terre confiscate, le persone uccise… la lingua araba degradata».
Agosto 1949: lo Stato di Israele è sorto da più di un anno. Siamo in Negev, dove dei militari hanno l’obiettivo di «ripulire il deserto da tutti gli arabi rimasti». Ne trovano alcuni, disarmati, all’ombra di una piccola oasi con dromedari e li eliminano, risparmiando solo una giovane, che però, lavata e disinfettata, dopo violenze con turni pianificati, ugualmente ammazzano e seppelliscono. La voce narrante annota in tono distaccato i momenti delle giornate nell’avamposto militare, fra perlustrazioni e manovre, registrando il calore asfissiante, i latrati dei cani, gli odori, gli urli della donna. Il comandante israeliano appare gelido e refrattario ad ogni sentimento, ma è vulnerabile fisicamente, e, punto da un ragno, è tormentato dal gonfiore che diventa infezione. Tutti dettagli apparentemente insignificanti di fronte alla missione di non permettere che «il Negev rimanga un deserto arido, in preda all’abbandono e in balia dei capricci degli arabi e dei loro animali».
Poi l’io narrante cambia, è una donna palestinese a raccontarsi in un oggi indeterminato, una ricercatrice che legge su un giornale israeliano di quello stupro collettivo, avvenuto tanti anni prima, e parte, sulla spinta di un «dettaglio minore», una coincidenza di date, alla volta di indizi che possano dare voce alla giovane vittima. È senza nome, come il militare, parla dei tanti «limiti» vigenti, che cerca di non oltrepassare, allo scopo di «rimanere semplicemente viva», narra di ansia e paura nella sua vita marginalizzata, citando un episodio al checkpoint e poi scusandosi se ha lasciato intuire che vive «sotto un’occupazione». Ai rumori degli spari e degli elicotteri si sono aggiunti, ricorrenti e ossessionanti, i latrati dei cani. Resta colpita dall’ incidente riferito sul giornale, perché è avvenuto in una mattina corrispondente «un quarto di secolo dopo» alla propria nascita, un dettaglio che non può essere un semplice caso.
Uno stupro equivale a far saltare un edificio ed accade normalmente «in un posto dominato dal tumulto di un’occupazione militare e dalle continue uccisioni», ma il fatto della data teme che le farà oltrepassare qualche limite. «Non c’è niente di più importante di questo dettaglio minore se si vuole conoscere la verità assoluta sulla storia di questa ragazza, che l’articolo non rivela».
Così, anche se pensa che non abbia senso sentirsi responsabile per una sconosciuta, inizia il suo viaggio alla ricerca di luoghi e archivi militari, un viaggio nella Nabka (la “catastrofe”, la distruzione della società e della patria palestinese nel 1948), come testimonia la consultazione della carta geografica israeliana a cui non corrisponde più quella palestinese del 1948: «i villaggi palestinesi che su quella israeliana sembrano essere stati inghiottiti da un apparente mare giallo qui emergono a dozzine, con i loro nomi che sembrano saltare fuori dalla carta verso di me». Come ha spiegato l’autrice «la Nakba non è un evento terminato di cui viviamo solo le conseguenze, ma prosegue con nuove azioni. È un costante inizio che non finisce. Così passa quasi inosservata.»
La ricercatrice infatti sembra non accorgersene, ma dai mille indizi della sua vita e del paesaggio è tragicamente evidente l’occupazione israeliana, che nel viaggio le appare in tutta la sua violenza: non riconosce più le strade, l’ambiente è sconvolto perché «di palestinese non è rimasto nulla», né i nomi dei villaggi né le scritture arabe dei cartelloni pubblicitari, e deve così superare, in preda alla paura, «una serie di blocchi, militari, geografici, fisici, psicologici, mentali».
Sia la colonizzata che il militare violentatore – il colonizzatore – non sembrano essere toccati da empatia, forse per non crollare e impazzire. Il viaggio di lei è un perdersi fra causalità e consapevolezza in un territorio ostile, perché colonizzato e violentato, nella ricerca, ossessiva, del luogo dell’omicidio del 1948, in una tensione crescente fra «calore soffocante», «silenzio di tomba» interrotto dai boati delle bombe e dal solito abbaiare di cani, verso un destino, ineluttabile… Quel perdersi dà testimonianza dello sconquasso avvenuto in quella terra che crea spaesamento totale anche a chi, come la donna, cercava di stare nei limiti senza troppo interrogarsi.
I dettagli sono importanti per aprire crepe nella Storia ufficiale, specialmente quando – sottolinea Shibli – la mancanza di Archivi (distrutti) non permette di raccontare fatti ‘verificati’, allora non restano che i particolari per superare i limiti della Storia. Se già Frantz Fanon sottolineava l’obiettivo del dominio coloniale di sfigurare e annientare il passato del popolo oppresso, come per sprofondarlo in una «grande notte», nella vita odierna, contesa tra metanarrazioni politiche e mediatiche normalizzanti/anestetizzanti ed una materialità ben più articolata, occorre mettere in discussione «le incoerenze e le crudeltà del sistema che pretende di raccontarci La Storia» e che attraverso la manipolazione o il silenzio vorrebbe indurre alla rassegnazione (Augè).
Nella storia, come affermava la scrittrice algerina Assia Djebar, è proprio il dettaglio minore a rivelare, riportandolo alla coscienza, il rimosso, ciò che si crede sepolto per sempre (Nadotti).

Adania Shibli, Un dettaglio minore, traduzione di Monica Ruocco, La nave di Teseo, 2021
www.doppiozero.com/materiali/Nadotti intervista Jamil Hilal
Chiara Cruciato intervista Adania Shibli, il manifesto, 2/4/2021.
Marc Augé, Che fine ha fatto il futuro?, Eleuthéra, 2009
Frantz Fanon, I dannati della terra, Einaudi, 2007
https://www.doppiozero.com/materiali/adania-shibli-una-storia-di-violenza-dissepolta (Maria Nadotti)

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Clotilde Barbarulli

Clotilde Barbarulli collabora attivamente con associazioni quali il Giardino dei Ciliegi di Firenze, la Libera Università Ipazia, la Società Italiana delle Letterate. Si occupa di autrici contemporanee fra lingue e culture e di scrittrici '800/900. Tra le sue pubblicazioni: con L. Brandi, I colori del silenzio. Strategie narrative e linguistiche in Maria Messina (1996); con M. Farnetti, Tra amiche. Epistolari femminili tra Otto e Novecento (2005); con L. Borghi Visioni in/sostenibili. Genere e intercultura (2003), Forme della diversità. Genere, precarietà e intercultura (2006), Il Sorriso dello Stregatto (2010)."Scrittrici migranti: la lingua, il caos, una stella" (ETS 2010),

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