Nella notte tra il 7 e l’8 marzo del 1978 alcuni collettivi femministi genovesi agirono una contromanifestazione verso la fastidiosa retorica della Giornata della donna. Come si narra in un corposo volume del 2014 di Graziella Gaballo, la polizia intervenne e furono pugni, calci, spari in aria e arresti. Il giorno successivo i muri della piazza De Ferrari erano tappezzati da slogan tra i quali campeggiava il più significativo: “Né partito né marito”. A giudicare ciò che oggi si riserva alle donne dai mariti e dai partiti, forse quello slogan è più che mai attuale.
E che ne facciamo dell’8 marzo? Che ne facciamo di questa “favola” dell’una volta all’anno mentre guardiamo ai problemi che affliggono le donne, per non dire delle miserie della politica? La retorica dell’8 marzo, se negli anni ci ha infastidite, oggi quasi ci offende. A parte la commercializzazione che ne ha depauperato il valore simbolico, ci irritano non poco i discorsi di convenienza dei media e il paternalistico fraseggio istituzionale che declama sulle tante conquiste delle donne.
Il femminismo degli anni ’70 si rifiutò di fare corpo unico con le organizzazioni maschili e agire complicità con la politica istituzionale. Il partire da sé e l’irriducibile differenza di un nuovo soggetto imprevisto, in una società gestita da uomini, furono il credo del movimento femminista. Per entrare a far parte del “discorso” ci si affidò alla spudoratezza del gesto, alla messa in discussione di codici atavici, saperi e poteri costituiti. Da allora ad oggi si è percorsa molta strada, anche se il cammino è stato impervio. Ma quel “sogno di libertà femminile”, quella volontà di mettere al mondo il soggetto donna e la determinazione di prendere la parola sono, ancora oggi, progetti mancati e oggetti di discussione e ricerca di strategie.
Il potere maschile, frattanto, se dapprima ha reagito veicolando un disvalore alla “poetica” femminista, successivamente, soprattutto negli ultimi decenni, con il crescere delle libertà femminili, ha alzato gli scudi, ha lanciato delle controffensive palesi o subdole. Accanto ad un maschilismo tradizionale oggi serpeggia un sessismo benevolo e subdolo e accanto a poche conquiste si continuano a operare discriminazioni o millantare traguardi di rappresentanza, dicasi briciole.
E allora, se assistiamo ad una massiccia presenza femminile in molti settori della società, a ciò non corrisponde la possibilità di incidere negli equilibri del potere. E quelle donne che sono entrate a far parte delle “agende” politiche spesso sono destinate, per inconsapevolezza o imposizione, a posizioni ancillari e chiamate ad una assoluta complicità con i piani del potere se non oggetto di trattative tra i partiti.
Oggi, in un momento di estrema debolezza della politica e crisi della qualità della rappresentanza democratica, l’associazionismo femminista rivive una stagione di grande vigore. Centinaia di donne si chiamano a raccolta e si coordinano: Donne per la salvezza, Le Contemporanee, Dalla stessa parte, Stati generali delle donne, Iniziativa femminista, Magnolia, Noi rete donne, Non una di meno, Avanguardia femminista, Società della cura, e tante altre con, tra tutti, il più deciso: Il femminile è politico potere alle donne. Complice la tecnologia che annulla le distanze in tempi di pandemia, l’ambizioso progetto di tanta fibrillazione è quello di immaginare nuove strategie per lo sviluppo e uguaglianza nella leadership, indirizzare risorse verso la parità, monetizzare la cura, rimediare sviluppo nel sistema educativo e altro ancora.
Ma se c’è chiarezza sui troppi problemi da affrontare, tante sono le incertezze, le divisioni sui modi e i tempi da percorrere. Tra le diverse posizioni, alcuni gruppi o singole donne, intendono ripercorrere la strada del “chiedere”, non andando oltre l’emancipazionismo risarcitorio. Dopo anni di lotte, ancora oggi, molto femminismo si ferma alla narrazione del disagio e alla protesta sterile senza giungere alla proposta e all’azione. Si pratica ancora la modalità della “questua” per fare entrare i temi dell’associazionismo femminista nei partiti di governo, nell’illusione di trovare risposte istituzionali, incidere sul senso comune e combattere le violenza e le discriminazioni di un ordine patriarcale misogino che non ci prevede.
Su questa strada il femminismo militante si esalta ancora con manifestazioni, documenti, lettere ai partiti, incontri con le parlamentari che non avranno esito. Così come poco ha potuto l’associazionismo femminista che opera in diversi campi del sociale con azioni dal basso come, per esempio, il lavoro nelle scuole, nelle accademie, nei centri donne, nei centri antiviolenza.
Tutte piccole e faticose azioni che, pur incidendo sulle mutate disposizioni del senso comune di una piccola utenza, producono un lento e mai sostanziale cambiamento nel paradigma della società. Insomma se voglio fare un bilancio, mi sembra utile la consapevolezza che nessun partito, nessuna istituzione pubblica e privata di un mondo misogino patriarcale e capitalista si occuperà delle istanze delle donne nella gestione del mondo. E sarà importante non dimenticare cosa accade quando gli uomini parlano tra loro di donne e l’uso che ne fanno. La violenza verbale è un sistema. E oggi più che mai vale il detto cinese: “Madri, figlie, sorelle, mogli, compagne, sono l’erba che viene calpestata quando gli elefanti lottano tra loro”.
Allora, forse, è tempo che questa nuova ondata di femminismo si muova tra spericolate giocatrici d’azzardo, sperimentatrici della volontà di perseguire l’impensato. Perché non trovare connessioni comuni, evitare posizioni divisorie e formare un corpo unico, una grande massa in movimento? Perché non ripartire dalla consapevolezza che non siamo una minoranza oppressa che si organizza su questioni valide ma pur sempre minori, siamo la metà del genere umano che afferma che ogni problema la riguarda e deve avere la parola su tutto? E se vale ancora, e vale di certo, quello slogan di una molto passata stagione felice: “né marito, né partito”, avremo chiarezza che nessuno farà nulla per noi e che è giunto il tempo che il partito nasca da noi. Nasca con la costruzione di soggetti politici di impostazione femminile e femminista che lentamente intacchino fette delle forze di governo. Perseguire l’impensato, anche senza garanzie, per affacciarci comunque in un mondo che è tutto da fare o da rifare. Un mondo in cui le donne non siano offese, discriminate, inascoltate ma piuttosto rispettate e valorizzate.
Io credo che questo potrebbe accadere solo quando tutti e tutte vedremo scorrere le immagini di tante donne sui banchi della politica, un numero di donne pari se non oltre alla guida delle istituzioni, delle multinazionali, della finanza, dei partiti, quando i nostri figli e le nostre figlie porteranno anche il cognome della madre, quando le vie delle nostre città porteranno i nome di tante donne taciute dalla storia, dalla letteratura, dalla scienza e dalle arti. E ancora quando tutti e tutte nomineranno le donne nei discorsi privati, istituzionali, e didattici, quando nessun uomo maltratterà o ucciderà una donna. Allora ci sentiremo fieri di aver creato una vera democrazia. Solo allora avremo la coscienza che possiamo prendere in mano il mondo e starci dentro come soggetti liberi. Condivideremo in ugual misura questa libertà con le nostre madri, sorelle, zie, amiche e mogli.
Quando questo accadrà non ci sarà bisogno di festeggiare l’8 marzo.
Graziella Gaballo,”Né partito né marito… I fatti del 7 marzo 1978 e il movimento femminista genovese degli anni Settanta”, edito da Joker e Associazione per un Archivio dei Movimenti, 2014. Prefazione di Luisa Passerini.
PASSAPAROLA: GRAZIE ♥Pina Mandolfo
Ultimi post di Pina Mandolfo (vedi tutti)
- Narrare di sé per narrare il mondo - 13 Aprile 2024
- #UNITE. La poetica dello stupro - 5 Marzo 2024
- L’incanto di Misericordia - 27 Dicembre 2023
- La fisarmonica del riscatto - 2 Ottobre 2023
- Von Trotta a Palermo - 9 Giugno 2023