“La prima volta che sono entrato in classe mi sono sentito abbandonato, i miei compagni mi sembravano demoni”. Sono le parole di un ragazzo straniero che a distanza di un mese ripensa al suo primo giorno di liceo. Entra in classe non parlando la lingua degli altri, non potendo quindi né capirli né farsi capire. Per di più in mezzo a una pandemia, quando le norme di sicurezza impongono l’uso delle mascherine che non permettono di osservare la mimica facciale, che non permettono di avvicinarsi, di sentirsi con quei mezzi che in assenza della lingua si fanno imprescindibili: il corpo, i sensi, gli odori.
Il primo giorno di cosiddetta “didattica a distanza”, invece, una ragazza che ha vissuto per molti giorni in un ospedale mi dice che lei già conosce la dad, che non è una cosa nuova. Ora però è diverso, perché non è una condizione che vive sola, è una condizione comune.
Le storie di questo ragazzo e di questa ragazza sono semplicemente un granello di polvere tra le mille diverse. La scuola rappresenta alla lunga un luogo imprescindibile non solo di apprendimento, crescita, relazione e legame, ma perfino di redenzione. È sempre stato così. Ma qualche volta no. Qualche volta non basta, perché il groviglio sociale e territoriale e contestuale nel quale si vive è troppo più complesso, troppo più pesante il peso della vita sulle spalle di alcuni e alcune adolescenti. Qualche volta, perfino, la scuola non è quello che dovrebbe o potrebbe essere. Cioè luogo di opportunità. Qualche volta è luogo di selezione, campo di battaglia, terreno di separazione, ulteriore cesoia sociale. Molte volte è sconfitta dal suo stesso interno. Vogliamo pensare che non sia così?
In questi giorni ascolto con interesse e curiosità gli appelli di molti e molte esperte (o anche persone qualunque) preoccupate per la chiusura delle scuole, per la tenuta psicologica degli e delle adolescenti, e certamente me ne compiaccio. Nel senso che accolgo con favore la presenza di un dibattito su questo tema, sulla pedagogia, sulla psicologia, sulle complessità dell’età evolutiva, sulle nuove generazioni. Bene, ottimo, finalmente! Non si aspettava altro. Però mi faccio una domanda. Ho la sensazione che si stia attribuendo alla riapertura delle scuole ogni tipo di risoluzione, come se, una volta riaperta, la scuola potesse continuare come sempre ha fatto a camminare sui propri piedi e a fare ciò che “dritto e storto” alla fine fa, tra mille ostacoli. Ma per chi la vive dall’interno le cose non stanno proprio così. Una volta suonata la campanella e chiusi all’esterno i cancelli, all’interno c’è un mondo che ha bisogno di risposte. La socializzazione, per dirne una, non viene automaticamente dallo stare insieme in una stanza, così come la cultura non nasce dai compiti in classe e dalle interrogazioni.
Siamo nel 2021 e la scuola poggia su strutture sia fisiche che culturali d’ispirazione quasi ottocentesca. Qual è lo spazio pubblico e sociale di una reale messa in discussione dei principi d’istruzione oggi?
In quale misura i progressi internazionali delle neuroscienze, solo per fare un esempio, influiscono sulla percezione che il mondo adulto ha dell’adolescenza e dei processi d’apprendimento?
Perché non esiste una commissione aperta e dinamica di uomini e donne di diverse età, provenienza geografica e abilità, che di anno in anno ripensi completamente e pubblicamente le Linee Guida e le indicazioni Nazionali a proposito dei contenuti offerti alle nuove generazioni? Perché non ripensare e regolamentare il rapporto tra l’editoria scolastica e la piccola e media editoria che offre un rapporto con il testo non manualistico, ma diretto? Perché in ogni aula scolastica non c’è una piccola biblioteca? Perché il digitale è arrivato così tardi e sono tantissimi le/i docenti che non riescono a gestirlo – non dico nell’uso tecnico, ma nel contenuto mentale che veicola, nel portato culturale che rappresenta? Perché il rapporto tra scuola e territorio, tra scuola e terzo settore è ancora così confuso, macchinoso e tormentato? Perché non c’è un piano emergenziale urgente per un problema gigante per un Paese quale la dispersione scolastica? Come funziona (ed è funzionale?) il reclutamento e la formazione degli/delle insegnanti? Perché sulla scuola non si investe il doppio, il triplo, il quadruplo?
Tutte domande ovvie per chi nella scuola lavora e anche forse per chi la incontra come genitore. Tuttavia ritengo importante non perdere di vista il contesto generale, soprattutto in questi giorni, perché è quello che ci interessa davvero e che probabilmente interessa anche gli e le adolescenti. A pandemia finita – se un qualche dio vorrà – quando le porte delle scuole saranno finalmente aperte per tutti e tutte, il mondo non riprenderà la sua corsa felice automaticamente. Non è la sola presenza a fare la differenza sul senso delle cose. È il piano generale, lo sguardo, la visione complessiva, se c’è, a rassicurare le nuove generazioni e a farle sentire coinvolte. Viviamo un’epoca in cui varrebbe la pena interrogarsi seriamente sul senso del margine. Gli/le adolescenti sono tra quelli e quelle che vivono sul margine della partecipazione democratica (e certamente non sono gli unici soggetti in questo limine). È un fatto più importante della possibilità stessa di rientrare o meno a scuola oggi, anche se sembra non sia così. Se c’è una cosa che gli/le adolescenti mi ricordano ogni giorno è il valore della coerenza, del principio, dell’ideale, potremmo dire con un termine che noi adulti troppo spesso tendiamo ad offendere e deturpare. Se una cosa non vale per tutt* (con l’asterisco qui vorrei comprendere non solo i generi, ma anche i corpi celesti, gli astri, i pianeti) allora non varrà affatto. L’adolescenza non è solo una fase della vita, ma una dimensione del pensiero che va recuperata, ascoltata, a volte anche tenuta ad una certa distanza.
Ora quei ragazzini e ragazzine che oggi soffrono maggiormente la distanza (e sono tanti e tante purtroppo) non risolveranno i loro accidenti con il ritorno in classe. Quello che forse accadrà è che nessuno avrà più l’opportunità di vederli e di farsi una domanda su di loro. Ecco, facciamo in modo che questo non accada. Parliamo di scuola, parliamo di adolescenza, ma facciamolo davvero. Facciamolo sempre e dall’alto, al di là della pandemia. Facciamolo per cambiare la scuola e non solo per chiedere di rientrarci.
Roberta Ortolano
Ultimi post di Roberta Ortolano (vedi tutti)
- Scuola e demoni - 7 Febbraio 2021
- PERSONAGGE: L’interrogata - 26 Ottobre 2020