12 personagge svincolate dalla sintassi

Anna Zani, 16 gennaio 2021

Ho appena terminato la lettura di Ragazza, donna, altro, il romanzo di Bernardine Evaristo e vincitore del prestigioso Man Booker Prize 2019, ex aequo con I testamenti di Margaret Atwood, un evento, la condivisione del premio, quanto mai insolito, visto che non si verificava dal 1992.

Ragazza, donna, altro è un affresco di grandi dimensioni sulle declinazioni in cui si articola l’universo femminile contemporaneo. Le personagge che compongono questo affresco sono tante, ad ognuna è dedicato un capitolo, ad ognuna è dedicata una storia tutta sua, ma c’è sempre un filo che la collega alle altre donne che compaiono nel libro; che sia un legame di parentela, di amicizia, di amore, il legame, la rete relazionale tiene insieme il tutto, senza difficoltà, senza artificio.

Le protagoniste a cui dedica un capitolo specifico sono 12. Sono tante, inevitabilmente non tutte hanno la stessa forza, la stessa profondità. Di alcune vorremmo sapere di più, di altre ci sarebbe bastato sapere meno.

Se dovessi individuare il main character, la personaggia principale fra tutte, sicuramente indicherei Amma, autrice teatrale, nera, lesbica, a cui è dedicato il capitolo di apertura ed è quella da cui si dipartono, come affluenti dal corso principale, molte altre narrazioni. Ed è con lei che, seppure solo nello sfondo, si conclude e riassume il romanzo. Ma Amma è anche l’artificio retorico che tiene unita la struttura della narrazione. Non necessariamente possiede la potenza evocativa più avvincente. In realtà, ci sono altre donne altrettanto intriganti, altrettanto forti, che compaiono fra le pagine del romanzo.

Non saprei dire qual è la personaggia che preferisco. Ma non ha importanza, dopotutto. Forse non è un nome a prevalere sugli altri, ma l’articolazione della blackness letta in mille sfaccettature diverse. Direi un romanzo sull’intersezionalità, ma narrato con levità e ironia, dove i costrutti ideologici compaiono solo per essere sbeffeggiati, o visti con gli occhi disincantati di chi la vita la vive, prima ancora di raccontarla.

C’è una grande abilità costruttiva, nell’impalcatura del romanzo, per cui nell’ultimo capitolo molti fili, non tutti, si ricongiungeranno dopo essere rimasti appesi ad una voluta incompiutezza nelle pagine precedenti.

Per costruire le tessere di questo patchwork di vite Evaristo si inventa un nuovo stile, con estrema competenza e abilità. E’ quello che lei stessa definisce “fusion fiction”, una scrittura svincolata dalla normale sintassi, dal tradizionale costrutto di periodi ritmati da una punteggiatura che viene liberamente stravolta, e il risultato le riesce alla perfezione: nessuna artificiosità, nessuna forzatura in chi legge. La narrazione procede fluida, intrigante, quasi fosse la riproduzione esatta di meccanismi interiori di costruzione dei dialoghi e delle parti più descrittive.

Siamo davanti a un nuovo linguaggio, in grado di riprodurre l’alchimia di una ricombinazione interiore dei nostri vissuti, delle nostre abilità percettive, che non sono più quelle di lettrici e lettori del Novecento.

In questo io ravvedo il merito maggiore di questo romanzo.

E poi la capacità di squadernare una quantità di esperienze esistenziali, in ognuna delle quali sentiamo rispecchiarsi una piccola parte di noi, o delle nostre relazioni.

I temi affrontati sono davvero tanti: femminismo, razzismo, identità sessuale, integrazione sociale… ovviamente si parla di un romanzo, non di un saggio politico, è naturale che tutto questo non trovi spazi di approfondimento critico. Sicuramente, Evaristo fotografa con abilità e ironia le contraddizioni e i dibattiti del nostro presente di ragazze, donne, o altro.

In chiusura, mi sento di spendere due parole per elogiare l’ottima traduzione di Martina Testa. Siamo ormai abituate alle sue tante fatiche su autori come Foster Wallace, Jonathan Lethem, Zadie Smith. Non era impresa semplice la traduzione di questo libro, lei è riuscita appieno nell’intento.

 

Bernardine Evaristo “Ragazza, donna, altro”, traduzione di Martina Testa, Sur 2020

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Anna Zani

Anna Zani (Bologna, 1965) Lavoro come bibliotecaria all’Università di Bologna, seguendo il settore delle acquisizioni e l’organizzazione di mostre bibliografiche. Nel corso degli anni ho presentato o collaborato alla realizzazione di eventi letterari a soggetto femminile (Adrienne Rich, Alda Merini, Audre Lorde, Tove Jansson…), attività che ancora pratico. Faccio parte del gruppo WiT (Women in Translation), collettivo sperimentale di traduzione poetica, con cui abbiamo pubblicato un’antologia delle poesie di Audre Lorde (D’amore e di lotta. Poesie scelte, Le Lettere, 2018).

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