Al confine tra Italia e Slovenia, la storia di partigiani e fascisti si snoda dal 1945 al 1976: una nipote ascolta il nonno e un amico e conosce così un segreto terribile. L’esordio letterario di Cristina Gregorin.
Di Sergio Buonadonna
“L’ultima testimone” è la nipote Francesca. «Cercala perché solo lei sa la verità». Sono le ultime parole che Bruno Tommasi, partigiano e reduce della seconda guerra mondiale, affida in punto di morte al nipote Mirko, di professione storico. Mirko dunque è uno che sa cercare e annotare, e il suo miglior amico è Giuseppe ispettore di polizia giudiziaria che gli sarà molto d’aiuto quando dovrà districarsi all’interno del codice di procedura penale e degli archivi della polizia.
Da questo momento comincia una ricerca che man mano s’allarga sui fatti e i sentimenti, il passato e il presente di una storia tormentatissima svoltasi tra il 1945 e il 1976, ma che sembra non avere mai fine. Nel presente e al centro, infatti, ci sono Francesca, ginecologa trasferitasi a Milano anche per scacciare una difficile memoria, e Trieste con il carico della sua storia irrisolta, dei suoi confini che non sono più frontiere, di un passato di guerra e di conflitti etnici e politici ancora carichi di ingombranti retaggi.
Tutto torna in questo appassionante romanzo d’esordio di Cristina Gregorin, “L’ultima testimone”, menzione speciale della Giuria al Premio Calvino: i differenti vissuti, le lacerazioni del Novecento, i nazionalismi esasperati che hanno investito sloveni, istriani, filo italiani e filo titini, comunisti italiani e comunisti titini, fascisti e nazisti, autori di ferocie inconfessabili. Tornano nelle pagine del romanzo le memorie intossicate di una storia che non ha risparmiato la Resistenza e i partigiani. Ed è appunto il partigiano Vasco, compagno di una vita e di tante lotte per la libertà con Bruno Tommasi e una donna di nome Liliana a custodire un segreto tanto ingombrante da indurlo al suicidio. Solo Francesca conosce la verità.
Era una ragazzina quando un giorno del 1976, Bruno Tommasi contestò a Vasco un delitto che non avrebbe mai dovuto essere commesso. I due uomini insieme con Liliana e spesso dietro i suggerimenti di Alba, la nonna di Francesca, raccoglievano informazioni sui criminali di guerra scampati ai processi per poi decidere come punirli. Ma i bambini no, non avrebbero dovuto mai essere toccati. E invece Vasco contravvenne a questo patto e quando tanti anni dopo Bruno lo scoprì, non poteva perdonarglielo. Di tutto ciò, del drammatico confronto fra i due uomini e del tragico epilogo, Francesca fu appunto testimone.
Intorno alla sua figura, al suo ritorno a Trieste, fra il peso di angosce e domande rimaste sospese dal tempo, desiderio di silenzio ma anche ansia di superare quei traumi, Cristina Gregorin tesse la tela de “L’ultima testimone” senza mai scivolare nel mélo, anzi affrontando la memoria come mezzo per liberare la coscienza, ed usando con abilità la tecnica del giallo storico. Le scoperte di Mirko e le domande interiori di Francesca corrono parallele sul tema della moralità dell’azione dei partigiani, ma si interrompono e divampano – soprattutto per la donna – quando la vendetta ebbe per prezzo anche la vita dei bambini.
Di questo Francesca è “l’ultima testimone” e verso di essa ha un dovere di verità che la libera, le consente di svelare il suo segreto e di conquistare finalmente la dimensione di persona. Ma non sarà facile togliersi il peso, assecondare l’inchiesta storica di Mirko, aiutarlo a svelare questo giallo della memoria. Solo alla fine Francesca ce la farà, non può lasciare Trieste e tornare a Milano continuando a tenere celato un segreto così ingombrante. E finalmente l’ultima sera, quando Mirko ormai non se l’aspetta più, parlerà.
Sul piano letterario un esordio positivo. I personaggi sono ben costruiti, definiti, resi nella loro dimensione reale e soprattutto nelle differenze generazionali e nelle sfumature che connotano i tempi e le diverse età della vita. Da un lato il bisogno di verità e di durezza nelle scelte estreme degli anni della guerra e in quelli successivi e dall’altro i nostri giorni fatti di esistenze chiuse nell’anonimato.
Francesca è prototipo e segnale di una catarsi nella quale tuttavia rimane sospeso il senso di Trieste nel suo presente. Veramente pacificata?
Cristina Gregorin,“L’ultima testimone”, Garzanti 2020

Sergio Buonadonna

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