Un segnale esplicito è già nel titolo di questa raccolta poetica di Daniela Matronola, Tempo Tecnico: tempo del fabbricare, del costruire, del riparare. Esigenze che, se valevano anche prima, valgono ancor di più in questa stagione post-pandemia in cui ci siamo trovati nudi, senza alibi né trucchi di scena. Governa i versi un’urgenza espressiva – che è al tempo stesso etica e civile – temperata dall’ironia, cifra stilistica privilegiata di questa autrice che abbiamo imparato a conoscere ed apprezzare sia nel romanzo Partitesia nella precedente raccolta poetica Melamangiai. Nella raccolta si configura un tempo sociale convulso e consumista ma non fabbricatore; perennemente connesso e presenzialista ma non realmente presente in ascolto: che vorrebbe solennemente “proclamare alla Storia” ma riesce più facilmente, e banalmente, a frequentare la scuola dell’odio. E allora, che fare?
Non è solo un interrogativo rivoluzionario d’antan, ma qualcosa di fondamentale per reimpostare il nostro vivere. Anche, e soprattutto, a partire dalle parole. “Bisogna che ci si lasci in pace” sbotta a un certo punto l’autrice, stremata – come tutti – dalla corsa inesausta verso la proliferazione di cose e di impegni, dal peso di quelle trite parole di insignificanza o peggio ancora di cupo livore che scorrono nella nostra vita sociale e social e la intasano, fino quasi a renderla impraticabile. E invece: al di là di scrivanie, schermi, tastiere, in uno scambio confidente tra persone, ma anche con la natura o nel silenzio della propria stanza, all’interno di ciò che qui viene definito “senza tempo” – tempo sottratto al negotium, al commercio – è ancora possibile avvertire la necessità, che è anche un profondo risarcimento, del lavoro sulle parole. E forse è proprio da qui che si dovrà ripartire per dare nuovi e più autentici significati, prospettive di più ampio respiro al nostro tempo collettivo che ha dovuto forzatamente abbandonare le asfittiche scansioni usuali.
Cercare le parole, dare a sé stessi e agli altri le parole significa per l’autrice distillare linfa vitale, a somiglianza di quella “vita splendida delle piante” al centro di una delle poesie più intense; fabbricare un antidoto potente contro il virus dell’odio; alimentare i propri progetti ritrovando ogni volta l’incanto e il mistero di quella scatola di latta in cui abbiamo riposto segreti, ricordi e aspettative; “sapere che lo scrigno di latta è sempre lì/in giardino sul muretto, pronto da spalancare”.
Hanno un modo particolare di disporsi, le parole di queste poesie, ed è questo che le rende particolarmente persuasive: a volte sembrano gocciolare lente, pausate, distillate da una riflessione appuntita che non fa sconti a nessuno; a volte, invece, scorrono veloci in versi fitti di enjambements e assonanze, ma sempre si addensano e si sciolgono nell’intimità di un ritmo che a me pare quasi fisiologico, di respirazione e di assimilazione. E allora ritorna alla mente quanto viene espresso in uno dei componimenti della sezione Tèchne: se ciò che abbiamo imparato non ci ha ancora trasformato è perché non si è mescolato al nostro essere minimo, come lo definisce l’autrice, ovvero “alla linfa, alle cellule, al sangue”. “Ancora non è chimica” è il verso conclusivo. E invece questi versi l’hanno trovato, il modo di farsi chimica.
Con questa raccolta, Matronola ha vinto nel 2020 la VII edizione del Premio letterario “L’Iguana”, ideato da Esther Basile.
Daniela Matronola, Tempo Tecnico, RPlibri, 2020
PASSAPAROLA: GRAZIE ♥Maria Vittoria Vittori
Ultimi post di Maria Vittoria Vittori (vedi tutti)
- Quando il verso si fa chimica - 25 Luglio 2020
- Protagoniste di frontiera - 1 Marzo 2020
- Parole come pietre acuminate - 23 Maggio 2018
- Gli embrioni sperduti della Storia - 11 Novembre 2017
- Il gioco del diventare una vera donna - 14 Marzo 2017