I temi ci sono tutti: le microstorie che si annidano nella Storia, e la nutrono; il bisogno di sottrarre dal silenzio donne resistenti, che hanno saputo dire no, e delle quali rimangono solo «un gesto, un dettaglio, impigliato […] nelle scritture di cronisti locali»; l’immaginazione necessaria a colmare i vuoti, le zone d’ombra, intrecciando felicemente persone reali e figure d’invenzione, «superfluo ed essenziale». «Lo spostamento di prospettiva storica, e una forte compenetrazione empatica» per restituire loro «parola e identità […] in una sorta di transfert». L’intento è sempre lo stesso: raccontare «dal basso di strade, piazze, mercati» «la muta storia delle madri»; per fare emergere dalle «azzeranti generalizzazioni» della Storia il «pulsare di un singolo».
Le «biografie sepolte» raccontate nel nuovo libro di Maria Attanasio Lo splendore del niente e altre storie raccoglie storie nuove e già edite, come quella di Francisca in “Correva l’anno 1698… quando nella città avvenne il fatto memorabile: rimasta vedova, invece di fare «i domestici travagli delle femmine», come la serva, o la prostituta, si taglia i capelli e indossati «chausi, chausuni, rubbone, e saimerco» va a lavorare la terra. Trascinata davanti al Tribunale della Santa Inquisizione in quanto «femmina strega», «masculu fora e fimmina intra», riesce a dimostrare il proprio diritto di andare a lavorare nei campi, e non dipendere dagli altri. «Cosa esattamente sia avvenuto in quella severa stanza del tribunale dell’Inquisizione, quali tensioni emozionali siano scattate […] quale umana persuasione o divina luce abbiano indotto l’Inquisitore ad assolvere Francisca resta al di fuori delle frettolose righe conclusive del cronista», annota Attanasio.
Se le storie esistono, infatti, è solo grazie all’esistenza di tale Giacomo Polizzi, sconosciuto cronista-vasaio del XVII secolo, attento a non fare perdere la memoria dei luoghi, attraverso l’uso di una scrittura «dal basso», di un lessico volgare, diverso da quello dei notai e dei preti. «La vita è bella solo se raccontata» – fa dire Attanasio al cronista: «Dentro le parole non c’è freddo, né carestia, né paura: gli uomini possono soffrire senza dolore, mangiare senza pane, morire senza morte». Né queste storie sarebbero potute esistere al di fuori della narrazione della sua città: «Si nasce per caso in un luogo, che può diventare scelta, destino», scrive Attanasio nella premessa al libro: «E destino di scrittura è stata per me Caltagirone, l’immaginaria Calacte, città gratissima di vasai fin dalla preistoria».
Sono storie ambientate tutte nella Sicilia del Settecento, le cui protagoniste vanno coraggiosamente contro ogni regola sociale, non si arrendono a ingiustizie ed esclusioni. Come la storia di Ignazia Perremuto (il cui racconto in 5 movimenti offre il titolo al libro) «un’ostinata bambina che in perpetua lite coi fratelli riempiva di strilli i severi saloni del palazzo […] e con ostinazione ripeteva: perché sono femminella, io no?». Da adulta rifiuta la vita di società, «preferendo al lusso del palazzo un’angusta stanzetta nella zona servile». Non si sposa, e si ribella a ogni regola imposta. In punto di morte, guardandosi allo specchio, si domanda: «Chi sei?» «Lo splendore del niente, risponde la mente che già vacilla». Annota l’autrice: «Se fosse nata a Parigi, e settant’anni dopo, forse Ignazia sarebbe stata una di quelle femmes-filosofes che, nei club, nelle assemblee, nei comitati rivoluzionari, sul finire del Settecento, trasformavano in prassi le astratte speculazioni sull’uguaglianza e sulla libertà, decisamente affermando la parità tra i sessi, come […] l’appassionata Olympe de Gouges. Ma nel casuale e sterminato mare delle possibilità esistenziali in cui caso e necessità, genetica e storia capricciosamente s’intersecano, determinando quello che comunemente si definisce “destino”, Ignazia si era invece trovata a vivere in uno spazio-tempo in cui la vita delle donne era ancora esclusivamente scandita tra famiglia e convento, tra chiacchere e pratiche devote. Scelse ugualmente la libertà …».
Scelgono la libertà, come Catarina, nel capitolo Delle fiamme e dell’amore, che «arse come una torcia» per salvare dall’incendio della casa il marito immobilizzato per un incidente, durante il terremoto del 1693. «Senza vossia, non ce n’è mondo» pare abbia urlato lanciandosi tra le fiamme.
Unico frammento, annotato dal cronista, che Attanasio rinviene, e di cui si serve per immaginare l’intera storia.
Esemplare è pure la storia di Annarcangela, in La donna pittora, che in stato di trans «come di sonno» in quanto epilettica, ricompone con la pittura l’immagine del corpo di Cristo sotterrato e ritrovato, con un prodigio, in pezzi, e intorno al quale verrà costruito un Santuario del Soccorso, tuttora esistente e meta di pellegrini.
In Dell’arcano liquore e di altri odori, Attanasio ripropone la storia di Giovanna Bonanno, la vecchia dell’aceto, dove si narra del suo celeberrimo processo, nel luglio del 1789, durante il quale la vecchia «rivendicò con forza la solidarietà femminile […] avendo aiutato – in quei tempi senza divorzio e separazione – tante povere donne a liberarsi dalla schiavitù coniugale e, sebbene più raramente, anche da qualche marito».
Chiude le storie Levia, una cavalletta «ignara del ritmo accelerato della storia» figura di libertà «leggera e fuggevole» sulle cui ali Attanasio attraversa la Storia, scegliendo di culminare il volo «in una campagna di segale e d’orzo, vicino Saint Denise» nella cui piazza si gridava «Justice, Pain, Egalitè».
Maria Attanasio, “Lo splendore del niente e altre storie”, Sellerio, Palermo 2020
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Gisella Modica

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