Al Seminario residenziale della Sil nel 2014 si ricorse al concetto di ‘ambivalenza’ per leggere Ferrante, alludendo a quel gioco del sé nel dialogico che implica la molteplicità interiore e la necessità della sua negoziazione, mettendo in luce come non è solo Carla Lonzi e il suo soggetto imprevisto che tornano nell’incedere di Ferrante, perché sottotraccia ci sono altre letture del femminismo italiano. L’ipotesi interpretativa di Isabella Pinto dilata questo sguardo e vede, nell’evolversi delle storie e delle personagge nell’opera di Ferrante – in connessione con le riflessioni de La frantumaglia – un riflesso costante, dettagliato, di posizioni teoriche femministe. Una tela di ragno tracciata forse per tenere insieme quell’io esorbitante – come messo in rilievo da Laura Fortini – che “tracima a ogni riga per divenire carne e ossa davanti” a chi legge.
Leggere la ricerca di Pinto, “Poetiche politiche della soggettività” divenuta ora un libro, vuol dire infatti immergersi in una enciclopedia dei saperi femministi che l’autrice riattraversa con passione per intrecciarne le fila con la scrittura di Elena Ferrante: l’intento è di collegarla, con acrobazie interpretative suggestive, alle varie fasi dei femminismi – con nel sottofondo il riferimento, costante, al pensiero della differenza – e ai diversi filoni teorici, da Lonzi a Cavarero, a Donna Haraway a Barad.
Devo dire che Ferrante non è tra le scrittrici da me amate, ma trovo la sua scrittura molto interessante anche considerando l’effetto mediatico della scelta di anonimato; ed è interessante la posizione di Pinto che, interrogandosi sulla possibile identità dell’autrice, al di là dell’ipotesi diffusa che sia Anita Raya, sostiene comunque una affinità fra di loro nell’intendere la pratica della traduzione sottolineando quando Raya affronta la molteplicità dei significati sprigionati dalle “luminosissime parole oscure” di Bachman che quasi riecheggiano nella poetica della “frantumaglia” e della “smarginatura” di Ferrante, definita “narratrice traduttrice”.
Nella fitta trama delle tematiche attraversate, al centro di questo libro emerge il desiderio di approfondire il rapporto tra soggettività e narrazione considerando anche il dibattito sul genere autobiografico: la tetralogia di “L’amica geniale” viene così letta come il racconto della destrutturazione temporale causata dalla violenza patriarcale, che apre le porte della narrazione a esperienze ritenute canonicamente non adatte o indegne di essere narrate. Grazie alla “smarginatura” di chi non coincide con le regole e le convenzioni della norma eterosessuale, esercitata dall’ambiente, Ferrante decostruisce la linearità progressiva del racconto tradizionale e del sé narrabile e dello scorrere del tempo, mettendo di contro in scena una soggettività/temporalità “hauntologica”(Derrida), frattalica e relazionale.
Il processo creativo della scrittura e della lettura, elemento relazionale che lega Elena e Lila, rende visibile un particolare spazio-tempo nella sovrapposizione progressiva tra realtà e finzione. Emerge un nuovo patto narrativo, che Pinto chiama “fantasia di autofiction”. Proprio come Lorde e la sua “(auto)bio-mitografia”, Ferrante costruisce la propria immagine autoriale secondo ciò che desidera che i lettori sappiano di lei, ed è in questo senso che la finzione assume valore di verità.
La scrittura di Ferrante è posta da Pinto sia in prossimità del femminismo della seconda ondata, sia dentro l’ondata transnazionale neo-femminista e transfemminista attuale. Questo posizionarsi in una zona temporalmente e spazialmente diffratta dei femminismi è sostanziata dalla critica di Ferrante al mondo della scrittura femminile, facendola divenire una zona turbolenta, utile per mettere in luce problematiche considerate non ancora affrontate, come per esempio nel racconto della sessualità, dove Ferrante sostiene: “siamo ancora avvinghiate ai modelli maschili”, o quando attraversa il tema della relazione madre-figlia, altro luogo della potenza femminile non simbolizzato dalla cultura patriarcale, trattato con la diffrazione dei miti nella scelta di versioni minori.
Pinto, come aveva scritto per un workshop al Convegno Sil 2017, ricordando e analizzando il dibattito sulla letteratura del sé all’interno del dibattito globale sul ritorno della realtà nella letteratura, ipotizza che l’autofiction sembra riempire il vuoto generato dalla configurazione di un soggetto costituzionalmente post-ideologico, fluido, flessibile, schizofrenico (Deleuze), proprio di un presente incerto, precario, che attesti il mutamento esistenziale. La scrittura del sé di matrice femminile emerge così come spaziotempo scavato tra le pieghe/piaghe della scrittura e della soggettivazione, entanglement material-semiotici imprevisti, capaci di spostare, incrinare, le narrazioni del sé proprie del canone, per aprire un terreno conflittuale nello spazio letterario globale.
“La frantumaglia – scrive Ferrante – è un paesaggio instabile, una massa aerea o acquatica di rottami all’infinito che si mostra all’io brutalmente, come la sua vera e unica interiorità. La frantumaglia è il deposito del tempo senza l’ordine di una storia, di un racconto”: con tale parola-esperienza la scrittrice – sottolinea Pinto – riesce a mettere in scena la riappropriazione della forza narrativa di un io autoriale in continuo divenire.
Isabella Pinto, Elena Ferrante. Poetiche politiche della soggettività, Mimesis 2020.
Anna Maria Crispino e Marina Vitale (a cura di), Dell’ambivalenza. Dinamiche della narrazione in Elena Ferrante, Julie Otsuka e Goliarda Sapienza, Iacobelli 2016
Isabella Pinto, “Mercificazione/Riappropriazione dello spazio-tempo nella pratica di scrittura di sé”, workshop Sil di Firenze per Convegno internazionale SIl 17-19 novembre 2017, www.ilgiardinodeiciliegi.firenze.it
Laura Fortini, “L’inutile verginità”, Letterate Magazine novembre 2019
Elena Ferrante, La frantumaglia, nuova ed., e/o 2016.
PASSAPAROLA:








Clotilde Barbarulli

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