La protagonista del nuovo romanzo di Silvia Ballestra torna alla terra del padre, con madre e sorella, per sbrigare un’eredità. Sotto l’ironia grottesca delle mimiche dei nuovi padroni, quel mondo sempre e ancora patriarcale svela l’attuale di perdita di potere per le donne.
di Loredana Magazzeni
Nel 1987 Carlo Mazzacurati girò un film, “Notte italiana”, in cui un avvocato veniva incaricato di eseguire una perizia su alcuni terreni posti nella zona del delta del Po, e rimaneva invischiato in un mondo di intrighi, reticenze e sopraffazioni violente. Il mondo contadino è stato sempre un mondo maschile, in cui la terra doveva essere dominata, sottomessa e messa a frutto grazie alla tenacia e alla perseveranza di un padrone, di un fattore e dei braccianti agricoli. Certo, c’erano le contadine, le mogli, le figlie a lavorare nei campi ma la loro era una presenza laterale, che doveva tenere conto delle regole imposte da un diritto millenario. Con questo mondo paterno della terra agricola si trova a fare i conti Silvia Ballestra nel suo ultimo romanzo candidato al premio Strega, “La nuova stagione”.
Un mondo da cui negli anni Sessanta è iniziata la fuga, con la rincorsa al lavoro operaio e alla città, in un dopoguerra che ha visto l’esplosione del consumismo di massa e la ricerca di uno stile di vita più economicamente redditizio, intellettualmente intenso e metropolitano. Questo inurbamento non ha riguardato soltanto la classe operaia, ha riguardato anche una fetta importante di donne della mia generazione e della classe media, che negli anni Settanta hanno cercato nella città la possibile alternativa a quel mondo immobile e contadino, autoritario e patriarcale, venendo invece a contatto con le realtà studentesche della contestazione, dei collettivi della sinistra extraparlamentare, della città che dispiegava ai suoi studenti e alle sue studentesse i propri tesori di possibilità.
Non so se questa sia stata una vera opportunità o un ulteriore sgambetto subìto, col consenso della sorte e di genitori tolleranti e premurosi, dalle donne che hanno deciso a proprie spese di vivere altrove, con sofferenza e accettando una grande precarietà economica, ma con la mente accesa di ideali universalistici e splendenti.
Il loro ritorno alla “casa paterna”, da brave “figlie prodighe”, come aveva intuito Alice Ceresa, non viene festeggiato da nessuno, anzi, trova in nuovi padroni e nuove conflittualità le basi per una ultima stagione della loro vita né pacificata né distesa.
Di questo tema insolito del ritorno alla casa paterna per la vendita di una eredità terriera scrive Silvia Ballestra, che riporta il lettore nei territori a lei familiari delle Marche di oggi (ma il ritratto si può attagliare a tutta l’Italia centrale e forse meridionale, compreso l’Abruzzo da cui provengo), immergendolo in un dramma travestito da commedia degli equivoci, o da teatro dialettale, che sotto l’ironia grottesca delle mimiche dei nuovi padroni e dei nuovi discendenti degli antichi padroni, svela una situazione di perdita di potere per le donne e scatena una riflessione sulle modalità di quella che un tempo fu una fuga e oggi, all’inverso, appare quasi un bisogno profondo di tornare alle radici.
Le protagoniste di questo “sempre aperto teatro”, due sorelle e una madre anziana ma in gamba, e con poca voglia di stare zitta, incarnano i personaggi di una lotta post-patriarcale contro una nuova forma di maschilismo della terra: quello dei nuovi arricchiti e dei nuovi mafiosi alla Cetto Laqualunque.. Esse vogliono disfarsi di un terreno che non hanno mai pensato di capitalizzare: tanta era l’estraneità da quel mondo antico e respingente, custode e teatro di violenze soprattutto sulle donne.
Eredi Gentili di nome e di fatto, ma diseredate dalla storia, il terzetto attraversa le godibilissime pagine del romanzo con forza comica, quando non drammatica, straordinaria, per perseguire uno scopo che ha quasi il sapore amaro di una attestazione di rinuncia.
Una rinuncia alla terra paterna, su cui le violente leggi del diritto fattuale continuano a infrangersi, oltre e nonostante la presunta democrazia acquisita e le presunte uguaglianze di diritti e di pari opportunità.
Perché siamo tutte scappate dalla terra? Ve lo siete mai chiesto? Se questo adesso è il vostro dramma, Silvia Ballestra ve lo fa capire, con un lavoro di realismo narrativo e di mimetismo linguistico straordinari, a cui possiamo offrire una nuova risposta che forse verrà non da noi ma dalle nostre figlie, dalle nostre nipoti contadine.
Silvia Ballestra, La nuova stagione, Bompiani, pp. 273, €17,00
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Loredana Magazzeni

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