PERSONAGGE: Io e Dio

Questa è “Personagge” la sezione narrativa di Letterate Magazine dedicata agli scritti di donne che raccontano le donne. Un titolo preso in prestito dal libro “L’invenzione delle personagge” (Iacobelli editore, 2016) curato da Bia Sarasini, Silvia Neonato e Roberta Mazzanti, in cui si spiegano le peculiarità dei personaggi femmine descritti dalla penna di donne scrittrici. Così anche noi raccoglieremo racconti inediti, di esordienti e non, donne giovani e donne adulte, prime e seconde volte, dando spazio alla scrittura romanzata per comporre un mosaico di visioni, immagini, idee, sciagure, gioie e avventure.

 

IO E DIO

di Rossella Bartolomei

 

Per me Dio è vissuto una quindicina d’anni, poi è diventato Franco ed era mio padre.

In realtà i suoi esordi divini precedono di diversi anni la mia nascita, come mi ha raccontato qualche anno fa mia madre, e si collocano all’epoca del loro appassionato fidanzamento. Insieme avevano dato il via a questo gioco che voleva schernire il buon pensare delle cattogenti ma anche la dissacrante retorica dei compagni, tutta la mischia comunista nella quale si erano trovati e riconosciuti come esseri di ben più nobil fattura. O meglio, l’elevazione di mia madre era dovuta al fatto che era stata in grado di riflettere la luce propria dell’amato; pertanto divenne l’unica ammessa al suo Olimpo. In poco tempo lui, lei e l’Olimpo erano stati fatti fuori dal circoletto dei compagni che mal tolleravano il loro gioco di Dio e la pretesa nobiltà connessa. Mia madre dice che qualche amico, prima di allontanarsi, aveva tentato di riavvicinarla alla compagnia punzecchiandola con stendardi femministi che anche lei aveva sbandierato. Replicava rivendicando lo sfacciato diritto alla sudditanza, con la sua ironia e con le parole di mio padre sicuramente. Era però seria e sua la convinzione che Lui l’avesse salvata, lo ripete ancora oggi. Da cosa non è dato a sapere, non si è mai sbottonata su questo. E d’altra parte non saprei a chi chiederlo. Della sua famiglia conosco solo mia zia, sua sorella minore, che parla solamente di politica e polvere. I miei nonni materni non sono mai stati nemmeno fantasmi, non so il loro nome, se vivessero a Roma, se vivessero, punto. Di solito per le feste comandate non si sa da chi, visto che nessuno in famiglia aveva simpatie religiose, stavamo con i parenti di mio padre. Tutti tarchiatelli e chiassosi; in mezzo a loro mia madre svettava come una bellezza aliena non solo per la sua figura snella e delicata ma soprattutto per il sorriso silenzioso con il quale resisteva alle eterne tavolate. “Se non fosse per me saremmo stati soli anche a Ferragosto” ripeteva ogni Ferragosto mio padre al ritorno dal ritiro parentale estivo… era uno dei ritornelli dell’infinita serie “rendete grazie a Dio”. Grazie a lui la nostra vita era migliore, io e mia madre eravamo migliori, il ficus del nostro balcone era migliore… e ogni cosivia era migliore. Mio fratello però non nasceva per colpa di mia madre che così avrebbe interrotto la stirpe divina. Non so se lei volesse un altro figlio, a vederla adesso sempre impegnata tra le scartoffie dell’agenzia, immersa nelle scritture degli altri, a correggere e sbuffare con passione credo che abbia sofferto della casalinghite di quegli anni. Anche se non penso le sia stata imposta. Per il nostro bene, padre nostro gli avrà concesso di far la mamma a tempo pieno e a quanto ne so lei è stata ben felice di lasciare tutti i ragazzetti “svalvolelli”, come li chiama, con i quali combatteva per due spiccioli. Per me questo fratello mai nato è stato da subito una gran rottura e dai primi anni delle elementari è diventato un’assenza così ingombrante che non passava giorno che mio padre non lo tirasse in ballo anzi addosso a mia madre. Lei divenne quella incapace anche di procreare oltre che fare l’arrosto come si deve, tenere la forchetta come si deve, chiudere le serrande come si deve. In effetti ne convenivo, mio padre sapeva fare tutto meglio di mia madre e non esitavo a spalleggiare la sua superiorità. Credo che questo mi abbia mantenuto a lungo nell’Olimpo quando mia madre rimaneva a fatica ai bordi. Volevo molto bene a mio padre e quando mi spiegava qualcosa mi sentivo la regina delle principesse. Tuttavia questa storia del Dio di casa per come me la raccontavano mi è sempre sembrata un po’ sghemba. Forse se avessi frequentato il corso di catechismo come la maggior parte dei miei compagni avrei messo meglio a fuoco la parentela tra padre e padrenostro. In realtà ero tenuta parecchio alla larga da tutte le questioni religiose, i miei recuperavano l’antico ardore nell’infiammarsi insieme verso l’invadenza cattolica e spesso ripartivano per le crociate contro i crocefissi in classe ma, verso le medie, anche questa alleanza si affievolì e anche il crocefisso divenne colpa di mia madre che non si sapeva imporre come si deve. Comunque all’epoca mio padre già aveva perso interesse per me ed io mi aggiravo nel purgatorio; in qualche modo senza rendermene troppo conto mi preparavo per l’inferno dove in realtà non sono mai arrivata. Non so come sia iniziata la discesa, credo che lo scrivere l’abbia un po’ accelerata però. Ricordo che in terza elementare in un tema sulla famiglia tirai fuori la divinità di mio padre. Forse in un modo non del tutto innocente visto che all’epoca mi prudevano parecchio le domande su questa questione. Comunque, raccontai la storia dei tre cuori: mio padre aveva un cuore per sé, uno per la mamma e uno per me; quindi non solo ci permetteva di vivere bene ma anche di vivere. Oggi mi chiedo com’è che ci avesse lasciato a disposizione un cervello. Allora mi bastava sapere che ero al sicuro nel suo petto e lo scrissi così chiaramente corredandolo di tutta la mia gratitudine per essere tanto migliore di mia madre che la maestra volle parlare con loro. Per fortuna andò solo mia madre, che tornò grigiamente confusa e per la prima volta mi chiarì un po’ angosciata il gioco divino. Come promesso, confessai alla maestra che avevo lavorato di fantasia ma ottenni il permesso di continuare a farlo visto che mi riusciva così bene. Per la prima volta assaporai il gusto di stanare i miti famigliari camuffandoli. Così ho iniziato a tessere le parole per capire, libera da qualsiasi verità. Quelle parole mi accompagnavano a vedere, un po’ come se tracciassero la giusta distanza per la messa a fuoco, credo che mio padre non mi abbia mai perdonato questo tradimento. La cacciata dal paradiso fu lenta ma inesorabile, durò più meno tutte le medie e mentre scendevo vedevo mia madre all’inferno, umiliata e spintonata. Sentivo le minacce e le suppliche. A volte la chiudeva nello sgabuzzino. Mi chiedevo se fossi cattiva, restavo indifferente, toccavo il ghiaccio che diventavo, era come se staccassi l’esistenza. Non le ho mai prese e gli insulti mi rimbalzavano. Le minacce erano piuttosto fantasiose e le annotavo con meticolosità. Quello è stato il periodo delle promesse di baratto: mio padre ipotizzava spesso di scambiarmi con cani, gatti o giradischi dei vicini senza peraltro informarsi sulla loro opinione al riguardo. A me non sarebbe poi tanto dispiaciuto, anzi fantasticavo di ritrovarmi in un paio di appartamenti del palazzo. Tuttavia dubitavo che avrebbero barattato i propri cuccioli con me sebbene mi accorgevo di esser diventata una bella ragazzina, un po’ magrolina forse ma aggraziata nonostante la pubertà. E comunque non sporcavo e facevo pochissimo rumore. Forse il fatto che in quel periodo mio padre avesse perso il lavoro incise sul desiderio di liberarsi del fardello filiale o forse semplicemente vedeva in me la sua sconfitta come creatore divino. Ero troppo olivastra? O troppo ossuta? Capelli troppo lisci o troppi? O semplicemente il mio sguardo non gli credeva più. Nemmeno al fatto che l’ufficio legale dove lavorava avesse chiuso come diceva mia madre. Comunque a un certo punto un baratto deve essere andato a segno perché mio padre ha portato in casa due pesci rossi e ha messo me e mia madre alla porta. Fu allora che conobbi mia zia che ci accolse come si accolgono le zanzare. Un giorno alla volta siamo diventate parte dell’arredo domestico, il che è stato un gran passo avanti nell’affetto considerando quanto tenesse ai suoi comodini; quando mia madre ha iniziato a lavorare e ci siamo trasferite credo che si sia sentita un po’ pignorata nell’anima anche se non l’ha mai ammesso. A quanto ne so tutte le donne della famiglia hanno condiviso una profonda solitudine, nessuna di noi ha avuto accanto amiche o sorelle, mia zia nemmeno un amore. Anch’io in realtà sono una gran solitaria, ma ho trovato nella scrittura una compagna e grazie a lei ho conosciuto Antonio. Mia madre dice che è il mio nuovo Dio, io per la prima volta mi sento una Dea. Lui per primo ha apprezzato le mie storie, poi si è offerto di correggerle e sistemarle, grazie a Lui oggi me ne posso stare tranquilla a casa, a piedi scalzi, c’è lui che provvede a me. Ora sono assorbita solo dalle pagine su Lui e Noi. Una trentina, già riscritte sette volte: Antonio non ne viene mai fuori come vorrei, cioè, come vorrebbe. Si trova sempre bello e vuoto, con i piedi poco affusolati, la giacchetta troppo a righe, le parole più marchigiane del necessario… e anche la nostra storia non gli rende abbastanza giustizia. Dice che sembra il mito di Galoppino e Raperonzolo. Effettivamente la cornice impolverata dell’ufficio di mia madre, dove ci siamo conosciuti appesantisce il fremito che ci ha travolti. D’altra parte non riesco a dare un volto ai raduni rossi dove avrebbe voluto incontrarmi. Forse se mi ci portasse potrei farmene un’idea da scrivere. Non lo farà; di recente è così preoccupato per me. Ha paura che mi stanchi, che prenda freddo, che perda tempo, che m’imbatta in qualche microbo o che mangi troppi nachos. Di sicuro mi risparmierà anche questa fatica e troveremo un compromesso sulle origini, a casa davanti a un buona bottiglia di Pinot. Guarderò il vino e brinderò con la centrifuga: sono in attesa di un figlio, un altro maschio, chissà se anche lui diventerà un po’ divino.

 

 

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Rossella Bartolomei

Rossella Bartolomei è una ex-ragazza del 1973. Attualmente vive a Roma dove svolge la professione di psicoterapeuta. Nella scrittura ha riscoperto una buona compagna di viaggio per esplorare e tessere relazioni. "Io e Dio" è il suo primo racconto pubblicato.

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