Fare sesso per togliersi il pensiero

Daniela Cannizzaro, 19 dicembre 2019

Due righe e sei dentro al nuovo romanzo di Elena Ferrante. Un percorso femminile di formazione verso la chiarezza, ma senza redenzione. Il libro è piaciuto alla nostra terza recensora.

di Daniela Cannizzaro

“Però almeno ti sei tolta il pensiero”: una frase che raccoglie il cuore del nuovo e atteso libro di Elena Ferrante.

Due righe di incipit e ci sei dentro. Due righe che ti consegnano subito un terzo della storia e il contatto con una delle intenzioni più potenti. La necessità di essere bella e buona per ottenere il premio della femminilità.

Emma Bovary arriva a pensare di sua figlia: “Strano, com’è brutta questa bambina”. Ed Elena Ferrante se la va a riprendere quella bambina per permetterle di uscire dal mondo dell’inganno, costruito dai maschi, coltivato da una comunità primitiva e sanguigna e restituito al perbenismo della falsità borghese, della vita degli adulti.

Nel viaggio di ricerca di indennità femminile quelle di Ferrante sono bambine solo un po’ più cresciute, in questo romanzo di formazione raccontato in prima persona da Giovanna tra i 12 e i 16 anni.

Si ritrovano anche i vicoli di Napoli che geolocalizzano le classi sociali, articolando le opportunità di un dialetto che si coniuga al senso di appartenenza, ai vincoli familiari.

Manca l’amica geniale, ma forse solo per opportunità di promessa narrativa. Il legame tra donne resta il collante e segna la rete delle relazioni, così come il reticolato della città partenopea, necessaria ma non sufficiente alla scoperta delle proprie radici. E quindi il bisogno del viaggio per scoprire cosa succederà di un mondo adulto segnato dalla menzogna.

Sono i rapporti tra donne a traghettare i diversi passaggi. A partire da zia Vittoria che poco distingue il passato e il futuro, la realtà e la visione. Per cui non è – e non può essere – solo fantasia parlare con una lapide al cimitero, mutuare vincoli oltre le convenzioni, senza smettere di preservare legami più viscerali. E mistificarne i simboli. Anche un braccialetto che nei passaggi di mano replica un rito di sottomissione e di inganno che toglie libertà di scelta.

È il corpo femminile in gioco per scardinare l’inganno, la ricerca di un sesso vissuto non come ricompensa, oltre la trappola dell’amore romantico. Non c’è redenzione nel nuovo libro di Ferrante, senza successo la parabola della compunzione, del vivo dolore e del pentimento.

Giovanna e Ida si sono tolte il pensiero. E con loro anche Ferrante pronta a un possibile secondo capitolo. Ci sta.

 

Elena Ferrante, La vita bugiarda degli adulti, e/o, 2019

 

 

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Daniela Cannizzaro

Daniela Cannizzaro Inizio scrivendo di sport che ancora gioco a basket, mentre mi laureo in storia e letteratura angloamericana con una tesi sull’eroe americano dopo la guerra del Vietnam. Mi occupo poi di adattamento testi per doppiaggio cinema e tv e inizio a collaborare con il mensile “noidonne”. Mamma di Jacopo a tempo pieno dal 1990 al 1992, ritrovo nel 1993 la redazione della rivista Udi a Via Trinità dei Pellegrini diretta da Franca Fossati e il mio impegno diventa stabile con il passaggio di direzione a Bia Sarasini. Fino alla dolorosa chiusura di dicembre 1999, che - per mia fortuna - apre dal 2000 il portone del primo contratto con la testata allnews Rai, RaiNews24, dove sono ancora, in forza alla redazione economica, tenendo ben presente l’insegnamento di Hanna Arendt in Sogno e Realtà : “La prima battaglia culturale è stare di guardia ai fatti.”

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