Arriva un momento – di solito nella prima adolescenza – in cui è tutto chiaro: il nostro corpo non ci appartiene. Quella pelle – porosa, orifiziale, dal colorito informe –, non è la nostra pelle. È un tessuto che s’adatta su un piano ideale, su una costruzione farraginosa che ci dice cosa è bello e cosa non lo è. Lo scarto dall’ideale è invece una nostra mancanza – un fallimento, un’anomalia.
Lo sa bene Palma – detta Palla – protagonista di Chilografia, romanzo d’esordio di Domitilla Pirro (effequ, 2018). Per gli altri il suo non è un corpo di donna. È una somma di escrescenze, un edificio maestoso di grasso, un accumulo di chili, un quintale di femmina per un metro e sessanta scarso. La sua vita si misura sull’ago di una bilancia: la pelle espansa segna il passaggio del tempo – bambina, adolescente e adulta in un corpo che le si avviluppa addosso in strati sempre più spessi. Una prigione di cartilagine, di gonfiori.
Palma cresce, si trasforma, si ingigantisce, fa esperienza delle prime ingiustizie. Il mondo che ha attorno le suggerisce una simmetria che lei non può raggiungere: una famiglia normale, non come la sua che è fatta a pezzi ed è un abuso di cliché disfunzionali; una fame normale, senza l’urgenza di ingozzarsi, fagocitare, inglobare, accogliere; un fisico normale, che non trabocchi dai vestiti, che non imponga la sua presenza, che resti al suo posto.
Allora Palma cerca un rifugio, un luogo dove è possibile appropriarsi dello spazio senza occuparlo davvero. Un mondo plastico e leggero dove può essere un’altra. Lo trova nella realtà virtuale di SimCity, dove Palma si sdoppia e diventa Kate (una simmina. Gran fregna, però). Il rapporto tra Palma e Kate si fa simbiotico: i bisogni – fisici, emotivi, affettivi – dell’una divengono quelli dell’altra. Su questa piattaforma irreale Palma sperimenta per la prima volta la libertà – una libertà artificiale, fatta di pixel, che però le dà un benessere vero, sintomatico.
È lì che conosce Angelo (in rete Tato76), un feticista del grasso che non si stranisce come gli altri davanti alle sue braccia gonfie, alle sue curve poco ortodosse. Per Palma è una novità: la sua carne interessa a qualcuno; la sua pelle, i suoi peli non spaventano; al contrario, divengono spazio sessualizzato, oggetto di desiderio.
Per lui, Palma accetta di farsi voragine: bocca, gola, esofago, stomaco – Palma mangia sempre di più, si sforza di farlo contento. Lui le chiede di ingrassare ancora, lei acconsente. È questo il prezzo del suo amore, della sua felicità – l’unico amore, l’unica felicità che può permettersi.
Il compromesso è altissimo, ma Palma non la smette: fagocita tutto in silenzio; fino a quando un moto di disobbedienza prende il sopravvento.
Solo a quel punto, mentre avverte la nausea che le cresce dentro – che spinge per uscire –, Palma si appresta a vomitare una vita intera: tutti i sì che ha masticato controvoglia, tutte le volte che ha creduto di non essere abbastanza, il suo appetito patologico che era solo fame d’amore (Angiole’, ma lo sai che è proprio bòno, ’taccitua?).
Chilografia è questo: un bolo mal digerito, una mollezza sanguinolenta. La parabola disturbante e rigidamente carnale di una donna – che è molte donne – e del peso che porta addosso.
Domitilla Pirro, Chilografia, Effequ, 2018
PASSAPAROLA: GRAZIE ♥
Lorena Spampinato
Ultimi post di Lorena Spampinato (vedi tutti)
- Dove va a finire la finzione? - 18 Dicembre 2019
- Un corpo di femmina grassa - 12 Novembre 2019
- Se la cultura dimentica le donne - 18 Ottobre 2019