È con questo spirito che la casa editrice Vita Activa ha inaugurato di recente la nuova collana di saggistica “Exempla”, diretta da Silva Bon. Non si tratta dell’ennesima nuova comparsa sul mercato editoriale. Non solo perché Vita Activa è un esperimento originale, interessante e importante: un progetto di editoria femminile indipendente che fa capo alla Casa internazionale delle donne di Trieste, ed è frutto di un lavoro comune, di un impegno strenuo e di condivisione di entusiasmo e fiducia nel lavoro intellettuale. La nuova collana e i primi due saggi che comprende rappresentano davvero un contributo significativo per l’intento che evidentemente si prefiggono: quello di scandagliare terreni, dimensioni, episodi poco noti della storia e della memoria culturale, in cui il ruolo delle donne e delle loro esperienze si dimostra cruciale ed emblematico. L’attenzione per ora è concentrata su un contesto di sempre problematica definizione, quale quello di Trieste, tanto celebrato come spazio di multiculturalismo ideale quanto mai abbastanza studiato nelle violenze, contrapposizioni e conflitti che lo segnano in profondità.
Il primo volume, “Trieste: una frontiera letteraria”curato da Katia Pizzi, rappresenta l’approfondimento da parte della curatrice di un percorso di studi iniziato già con un libro del 2001 intitolato A City in Search of an Author, impegnato in una rilettura dell’identità letteraria triestina, in cui gran parte aveva la considerazione del femminile. Questa volta Katia Pizzi propone invece un’antologia introdotta da una sua presentazione e da una interessante cronologia. La prospettiva adottata è apertamente quella di una rilettura, di una ridefinizione: lo ammette Pizzi in una avvertenza preliminare, lo rivelano più che mai la scelta del testi antologizzati e l’interessante cronologia che apre il volume (e le cronologie, si sa, sono strumenti solo apparentemente oggettivi e neutrali, in realtà incorniciano e inquadrano, rileggono la storia e la rinnovano).
L’ambito temporale preso in considerazione (un secolo: 1910-2010) cerca di riconnettere un passato che fatica a uscire ormai dallo stereotipo con un presente che di quel passato continua immancabilmente a nutrirsi, istituendo linee privilegiate di analisi che mettono in primo piano la relazione tra la cultura italiana e quella slovena e le contraddizioni insite in un problematico bisogno di memoria e “ricordo”. Queste linee riemergono nei testi scelti, a partire da Scipio Slataper che racconta le rivendicazioni di italianità legate alle richieste di istituzione dell’Università, e da Joyce e Svevo di cui vengono colti momenti particolarmente destabilizzanti nella descrizione di questa identità, passando per Srečko Kosovel e France Bevk. Il canone che identifica il secondo Novecento allinea Vegliani, Pahor, Marin, Tomizza, Rumiz, Longo, Magris, nomi d’obbligo, ma presta anche la dovuta attenzione a voci poetiche forse meno note al grande pubblico come Roberto Dedenaro e Gabriella Musetti. La stessa Musetti, con Marisa Madieri e Nelida Milani e con la scrittura brillante e straniante allo stesso tempo di Laila Wadia rappresenta nell’antologia la dimensione della scrittura femminile. La femminilità in senso più ampio però non resta limitata ai passi antologizzati, ma viene ricercata nella presentazione in diversi autori quali Tomizza, Quarantotti Gambini, Marin, a ribadire la linea di analisi che Pizzi aveva inaugurato con il libro precedente.
Il secondo dei due volumi, “Slovenka. Il primo giornale femminile sloveno (1897-1902), curato da Marta Verginella, presenta invece per la prima volta in italiano uno studio complessivo e approfondito di una delle esperienze editoriali più significative e importanti che il contesto triestino abbia mai avuto. Si tratta di “Slovenka” (letteralmente: “la slovena”), una rivista che uscì a Trieste tra il 1897 e il 1902 e che fu non solo il primo giornale femminile sloveno, ma anche il primo periodico pubblicato a Trieste da donne per altre donne. Non si può che definire come femminista l’impostazione della pubblicazione, pensata e realizzata da un gruppo di attiviste quali Marica Nadlišek, Ivanka Anžič, Zofka Kveder, Elvira Dolinar, nomi oggi dimenticati, ma fondamentali nel contesto di quegli anni attorno alla svolta del secolo. Mentre la città, infatti, si trovava improvvisamente ricca, al centro degli affari, in grande espansione da diversi punti di vista, e mentre di quella stagione restano oggi nella memoria i nomi canonici degli Slataper, Svevo, Saba, “Slovenka” guardava apertamente verso il mondo slavo con un’apertura intellettuale che la metteva in contatto con le punte più avanzate della cultura internazionale dell’epoca.
I temi trattati sulla rivista riguardarono la condizione delle donne, certo, ma senza limitazioni e con grande coraggio, arrivando a trattare questioni urgenti e scottanti come l’istruzione delle donne, la loro condizione, e più specificamente l’aborto, il divorzio, la prostituzione. Come ricorda Marta Verginella nei suoi saggi introduttivi, non si trattò probabilmente di punte di radicalismo assoluto in relazione alle posizioni del femminismo contemporaneo, ma sicuramente il coraggio connotò significativamente l’azione intellettuale e politica di queste donne che lavoravano in un contesto conservatore, segnato da molteplici chiusure e miopie. Come conclude Verginella, infatti, “nonostante la sua breve vita, “Slovenka” rimane un piccolo miracolo giornalistico. Ne fu fautrice la prima generazione di donne acculturate che credeva nell’emancipazione femminile e nell’imprescindibile contributo delle donne alla cultura e alla società slovena in senso lato” (p. 31).
Nel volume sono compresi saggi che ripercorrono e ridisegnano le figure delle protagoniste: Marica Nadlišek e Ivanka Anžič, e Zofka Kveder, prima di tutto, e poi le poetesse che sulla rivista pubblicarono i loro versi, senza dimenticare i nomi di alcuni collaboratori uomini che pure furono presenti nella storia della rivista. Chiudono poi il volume due contributi sui punti che mi sembrano quelli veramente centrali nella rivalutazione che “Slovenka” indubbiamente merita: il femminismo e l’apertura internazionale (che probabilmente andrebbe indagata ancora più a fondo mettendo a fuoco l’intesa e significativa attività traduttiva di cui la rivista si fece promotrice).
È una fortuna poter disporre oggi in italiano della guida che questo volume offre su uno degli episodi più misconosciuti e più originali e dirompenti della storia del contesto triestino. Ma un volume come questo non può che testimoniare una volta di più l’importanza di saper guardare con altri occhi alle narrazioni fossilizzate, soprattutto in relazione a contesti locali divenuti emblematici.
Le prospettive di genere, tutto ciò che il femminile ha messo in queste storie, probabilmente non può tornare alla luce se si continuano a percorrere le stesse traiettorie, a riprodurre le stesse narrazioni. E tutto questo ci chiede di cambiare le categorie con cui leggiamo il passato, e necessariamente il presente, ci chiede di rimetterci in gioco continuamente. Che si parta da una realtà locale e circoscritta, per quanto emblematica, o si aspiri a delineare nuovi contesti e nuovi spazi culturali c’è bisogno di materiali da recuperare, nomi da riportare alla luce, storie da ricominciare a raccontare. Mi sembra sia davvero questa la via che la collana “Exempla” di Vita Activa si prefigge di percorrere.
Katia Pizzi, “Trieste: una frontiera letteraria”, Vita Activa, Trieste 2019, p. 180
Marta Verginella, “Slovenka. Il primo giornale femminile sloveno (1897-1902)”, 2019 Vita Activa, Trieste, p. 178
www.vitaactivaeditoria.it
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Sergia Adamo

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