È la Bambina di cui parla la scrittrice/artista/performer/poeta Franca Rovigatti. Disegni e poesie percorrono le pagine del suo “La bambina”, quasi un controcanto amoroso e consolatorio per i perturbanti racconti in cui racconta delle sue due famiglie e di sé
Nadia Tarantini
È difficile scrivere con voce di bambina/o. Poche scrittrici vi si sono cimentate – e tutte grandi. Per esempio Àgota Kristòf con i suoi terribili gemelli abbandonati della “Trilogia della città di K”; Alice Ceresa con la sua voce disincantata e le “Bambine” dalla parlata piana e leggermente ossessiva. La voce della Bambina di Franca Rovigatti mi ha ricordato le sorelline de “Il cielo cade” di Lorenza Mazzetti: che incappate in una vicenda d’orrore, costruiscono un equilibrio di piccole cose. Con la fantasia scatenata che permette loro di sopravvivere: e così alla protagonista di Rovigatti, che ha il suo stesso nome e cognome.
Una bambina lucidissima, abitata da immagini come le installazioni e fantasie che la scrittrice/artista/performer/poeta creerà da adulta. Vive una situazione liminale di cui è consapevole sin da piccolissima. Ha due case e due famiglie e in nessuna delle due può vivere interamente se stessa. Sa che in una casa sarà amata e anche esaltata, ma dovrà essere buona, buonissima: la casa degli zii è infatti retta da regole inflessibili. E non si discute. Nell’altra, la sua famiglia naturale che come un cuneo nel cuore le procura fitte di dolore e nostalgia, si ritrova sempre ad essere cattiva, inadeguata, incapace. E nel suo andare e venire perde via via una vitalità irruenta, una capacità di essere leader di gruppi infantili, dato che la zia non le permette di frequentare nessuno (e quando torna “in famiglia” fratello e sorella non la riconoscono più). Franca fatalmente perde se stessa, almeno in pubblico, mentre in silenzio non smette di coltivare il seme della creatività, del suo temperamento fantasioso e ribelle, delle sue passioni fuori dalle regole. Di quella parte di cattiveria, anche, che per i bambini è naturale. Con quella ingenuità lucida, con quella crudeltà innocente.
Combattuta fra un padre forte ma algido che apertamente la sottovaluta (se non la disprezza) ma che lei non riesce a smettere di amare; e una madre troppo fragile e inaffidabile per potercisi identificare senza vergogna – la Bambina Franca discute e fa a pezzi ogni modello che le viene presentato, non crede a niente e non vuol credere a niente. Fino all’adolescenza, quando anche la casa accogliente diventa ostile – e l’unica scelta è fare del male a se stessa. Quando la morte della madre la mette di fronte al buco nero in cui è vissuta: “bisogna ripartire oggettivamente da questa sua morte. cosa chiara e definitiva. basta stupide illusioni, che la madre invece ne era stata stupida maestra… (…) con la morte della mamma sparisce anche quel poco di bambina che ancora, sotto sotto, un pochino ancora c’era. quella che in qualche sommesso luogo sommessamente conservava flebili illusioni: certo, minime speranze un po’ spennacchiate (…)”***
E così Franca Rovigatti già raccontava in versi, nel 2010, le due case in cui è vissuta bambina e adolescente (ne “I fogli della figlia”):
due (nelle due case allora)
un mondo serio e austero
dove è proibito ridere
vero spazio severo
immobile respiro
immerso in blocco nero
non nomina piacere
calibrando sorrisi
educati precisi
nessuno qui può ridere di me
perché nessuno ride
tutto fermo ordinato
nessuno niente stride
i miei pensieri ansanti
frenano macchine pesanti
immoti corpi contundenti
là invece è persino troppo aperto
spifferi l’aria entra dappertutto
e confonde le cose e le persone
là si sente ridere e si piange
c’è sempre molta confusione
là tutti ridono di me
là io non capisco niente
e la notte piango nel lettino
desiderando un mondo bambino
Poeta, Franca Rovigatti lo è sin da bambina e dal 1997 decide di organizzare la sua passione in un festival (“Romapoesia”), in cui poete/i molto famose/i e altre/i esordienti abbiano uno spazio. La prima edizione, se non ricordo male, viene inaugurata e tenuta a battesimo da Edoardo Sanguineti. E pure il disegno, l’illustrazione è una sua passione precoce – che la porta, in prima media, a dover modificare in classe le labbra di una sua figura umana, perché la professoressa non crede che l’abbia fatta lei. Disegni e poesie percorrono le pagine di “La bambina”, quasi un controcanto amoroso e consolatorio per i perturbanti racconti che costituiscono il libro. E fotografie del ricordo costellano i capitoli, come a evidenziare lo sguardo dell’infanzia, il più crudele il più disincantato. “appena possibile/da quella bambina si è allontanata/di questa bambina le sembra di ricordare/pochissimo/frammenti, pezzi, fatterelli/ come se una vera storia non ci fosse/come se di lei non si trattasse/come se di un altro si stesse parlando/per il quale è scorretto, vietato/tifare/per la quale non conviene neanche/provare simpatia.
*** i testi di Franca Rovigatti sono scritti tutti rigorosamente in minuscolo
Franca Rovigatti, la bambina, edizioni del Verri, Milano 2019, pagine 124, 14 €
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Nadia Tarantini

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