La parola alle lesbiche

Clotile Barbarulli 6 nivembre 2018

Questa ricerca, necessaria e importante, di Elena Biagini vuole ricostruire il percorso della presa di parola delle lesbiche in Italia, della definizione di un’identità collettiva e della costruzione di uno spazio pubblico, ponendo in luce il ruolo del lesbismo in contrasto con i processi di naturalizzazione e essenzializzazione.
Il lesbismo, quello militante, infatti rifiuta le visioni biologiche e/o essenzialiste attraverso sia l’articolazione di lotte contro famiglia, maternità, ruolizzazzione tout court, sia il disvelamento della costruzione di dispositivi di oppressione che connettono genere, razza, classe. In questa prospettiva non mi sembra correre il rischio – da cui mette in guardia Paola Di Cori – di partire “dalle teorie con la T maiuscola, dalla storia con la S della sintesi completa”.
Elena Biagini ha saputo infatti strutturare una storia del lesbismo, prima perlopiù declinata in tante microstorie, con un posizionamento politico preciso: proviene – come racconta – da “un’esperienza spuria, ricca di contaminazioni, che si è alimentata delle diversità tra lesbiche separatiste e non-separatiste, in un contesto, quello fiorentino, in cui i due posizionamenti non erano in conflitto”. È nell’associazionismo gay e lesbico che ha incontrato il lesbismo radicale, il femminismo, il queer in quel decennio degli anni Novanta che si è chiuso con il World Pridedel 2000 ma anche con Genova 2001.
Raccontare la storia del movimento delle lesbiche nel nostro paese significa studiare anzitutto il movimento femminista e quello omosessuale, considerando sia le lacune nella storiografia femminista sia il fatto che la storia dei movimenti degli anni Ottanta – quali quello antinucleare, per la pace, per il disarmo, il fenomeno dei centri sociali, i nuovi femminismi – è spesso nascosta dalla “retorica del riflusso”.
Si sofferma perciò sulla rilevanza che attribuisce alla ricostruzione della storia politica delle lesbiche e, più in generale, delle soggettività lgbtiq, scarsa nella ricerca accademica e nella produzione editoriale in Italia, anche per la mancanza fino agli anni Settanta di una scena pubblica facilmente indagabile, a differenza, per esempio, dei locali a frequentazione omosessuale negli Stati Uniti dagli anni Cinquanta.
Alla base della ricerca sono le fonti orali, quarantatré interviste a protagoniste dei movimenti femministi, omosessuali, lesbici degli anni Settanta e Ottanta, per poter offrire una lettura corale nella pluralità di posizioni senza percorsi lineari, perché  non si può  maigeneralizzare e “non si può parlare di donna al singolare” considerando le diverse varianti. Accanto alle pratiche orali,  che hanno caratterizzato la prima fase del femminismo, sono state usate altre tipologie, anzitutto  gli atti di convegni lesbici e femministi, fonti scritte a loro volta in diretto rapporto con l’oralità; poi testi  di “letteratura minore” di cui è ricca la storia del femminismo e che nei gruppi lesbici ha una sua produzione specifica, fin qui inesplorata.
Altre fonti  sono state le riviste, i periodici, i quotidiani, i fogli prodotti da gruppi lesbici, femministi e omosessuali, ma anche da organizzazioni e collettivi della sinistra extraparlamentare degli anni Settanta. Infine la consultazione di volantini, documenti politici, verbali di riunioni e incontri, fotografie, negli archivi tematici delle donne e di gruppi lgbtiq in Italia e a Parigi (per la vicinanza tra i movimenti francese e italiano).
La Parte prima del libro(anni Settanta)racconta gli inizi del movimento omosessuale in Italia che nasce misto, composto di lesbiche e gay, nel periodo in cui in tutta Europa si organizzano i nuovi movimenti post-Stonewall; ed indaga anche  il movimento femminista dove le lesbiche sono attive ma perlopiù invisibili.
Intermezzopresenta la storia degli anni dal 1979 al 1981, durante i quali nasce una nuova soggettività politica, il lesbofemminismo, e costituisce “il cuore di questa storia” (dai primi collettivi alla Pagina Lesbica di Quotidiano Donnaal Convegno del 1981 presso il Governo Vecchio di Roma). Il lesbismo diviene autonomo, sia dal femminismo, che comunque rimane il principale interlocutore, che dal movimento omosessuale.
La Parte secondaè dedicata agli anni Ottanta, “mitico decennio” del lesbismo femminista di cui il libro ripercorre fasi, conflitti,  proposte,  luoghi approfondendo il dibattito coinvolgente tutto il movimento delle donne. Il lesbismo femminista ha il proprio referente primario – e origine, pratiche, riferimenti teorici – nel femminismo e individua nel separatismo la sua definizione, ma nei fatti se ne allontana, con modalità e gradazioni diverse di città in città, di anno in anno. Le lesbofemministe devono fronteggiare i rischi di un nuovo femminismo “alesbico”, di una nuova invisibilizzazione del lesbismo, dell’essenzialismo. Lo scontro/confronto è in ogni luogo del femminismo ma anche tra le lesbiche tra cui emergono seguaci del pensiero della differenza.
Fra le tante riflessioni e cronache da cui è attraversato il libro, particolarmente interessante per me è il racconto proprio della posizione rispetto al Sottosopra verde1983 (Libreria delle donne di Milano) “Più donne che uomini”: il lesbismo – è ben sottolineato – fa da argine anche nel femminismo al rischio di parlare di una donna generica e unica, senza classe, posizionamento, corpo. Il confronto col pensiero della differenza si approfondisce con la critica alla teoria dell’affidamento che muove dalla nozione di ‘disparità’ introdotta: la critica da una parte all’essenzializzazione della soggettività femminile ricondotta al rapporto madre figlia, dall’altro alla pratica della disparità basata su un discorso di potere e di emancipazione.Quello che più riguarda direttamente il lesbismo in questo dibattito aperto dal Sottosopraè il presupposto della differenza sessuale come differenza “originaria”, ontologica, a cui tutte le altre differenze sarebbero subordinate, rendendo insignificante il posizionamento di lesbica, come quello di nera o di povera o di colonizzata. “Il cuore della critica lesbofemminista al pensiero della differenza rimane la cancellazione del lesbismo, la sua riduzione a fatto privato e il rifiuto di usare la parola lesbica”.
All’analisi appassionata e rigorosa di Elena  mi permetto solo una piccola nota relativa al giudizio sul femminismo degli anni 80: se nella metà degli anni Ottanta “la presenza di piazza quasi scompare”, in particolare per il movimento femminista,  non va scordato – e mi limito a brevi cenni – che sono gli anni della ricerca e della riflessione in gruppi e associazioni, della diffusione dei primi centri antiviolenza. Le donne esprimono un forte bisogno di cultura e di teoria, attraverso il dibattito politicamente importante su riviste e in centri culturali, non c’è solo per alcune “l’ingresso nelle istituzioni”. I numerosi spazi femminili che si creano vanno dalle Librerie delle donne, ai centri di documentazione, di studio o di espressione artistica, alle case delle donne, ai diversi luoghi di iniziativa sociale e politica. Differenti femminismi costituiscono così la geografia  variegata e complessa di una soggettività femminile in movimento nel corso dell’intero decennio, intrecciando scambi, costruendo reti, organizzando incontri seminari, convegni.
Dal libro di Elena – che è importante leggere, discutere, diffondere – emerge comunque come  gli anni Ottanta, in Italia, rappresentano il periodo in cui il lesbismo si afferma – attraverso anche una serie di convegni di cui l’ultimo si svolge nel 1987 all’ Impruneta – come una soggettività non più subalterna “a una più vasta soggettività-ombrello che sia quella femminista o quella omosessuale”.
Il movimento delle lesbiche ha dato un grande contributo a tutto il movimento delle donne nella decostruzione della naturalizzazione del genere e ha reso visibili/possibili nuove soggettività impreviste, eccedenti la norma. Elena Biagini ha mostrato con questa ricca ricerca come l’archiviodel movimento delle donne, con i suoi documenti e libri, sia – prendendo spunto da Di Cori –  in perenne stato di movimento, fatto non solo di dati e materiali ma anche di affetti emozioni conflitti, un groviglio di energie fisiche e psichiche politicamente significative.

Elena Biagini, L’emersione imprevista. Il movimento delle lesbiche in Italia negli anni ’70 e ’80, ETS, Pisa 2018, pp. 286, euro 24
Paola Di Cori, “Non solo polvere”, Archivi delle donne in Piemonte, Torino 2014.
Paola Di Cori, “Archivi imperfetti: il vuoto e il pieno”, Archivi dei sentimenti e culture femministe dagli anni Settanta a oggi, a c. di C. Barbarulli e L. Borghi, Firenze, Edizioni dell’Assemblea/Consiglio regionale della Toscana, 2015.

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Clotilde Barbarulli

Clotilde Barbarulli collabora attivamente con associazioni quali il Giardino dei Ciliegi di Firenze, la Libera Università Ipazia, la Società Italiana delle Letterate. Si occupa di autrici contemporanee fra lingue e culture e di scrittrici '800/900. Tra le sue pubblicazioni: con L. Brandi, I colori del silenzio. Strategie narrative e linguistiche in Maria Messina (1996); con M. Farnetti, Tra amiche. Epistolari femminili tra Otto e Novecento (2005); con L. Borghi Visioni in/sostenibili. Genere e intercultura (2003), Forme della diversità. Genere, precarietà e intercultura (2006), Il Sorriso dello Stregatto (2010)."Scrittrici migranti: la lingua, il caos, una stella" (ETS 2010),

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