La donna che era mia madre

Nada Pesetti 8 maggio 2018

Esce ora in Italia – ma era stato pubblicato in Francia nel 1987 – Una donna di Annie Ernaux, le cui memorie ambientate nella società francese, da Gli anni a Memorie di una ragazza, sono ormai anche da noi libri di culto.

Una donna è l’addio alla madre, come Il posto (1984) era stato l’addio e la riscoperta del padre.

La madre “è morta una settimana prima di Simone de Beauvoir”. Ed è impossibile non ripensare a Una morte dolcissima che de Beauvoir nel 1964 aveva dedicato alla madre, ma diversa è la scrittura, diversa la generazione, diverso il contesto sociale. Niente è più lontano dall’alta borghesia parigina della provincia normanna in cui si muove questa madre che aveva combattuto con le unghie e coi denti per uscire dalla condizione operaia e approdare alle diverse preoccupazioni della gestione di una piccola drogheria. Come in tutti i libri di Annie Ernaux è essenziale il quadro sociale che si delinea attorno ai personaggi, e la distanza che la scrittura impone rispetto ai fatti in esame, ma in Una donna è forte il contrasto, continua l’altalena tra distanza e prossimità, tra l’oggettività e la partecipazione, la razionalità e lo sgomento, perché la neutralità, confrontandosi con la mancanza assoluta, col lutto, finisce per negarsi, e lasciare spazio al desiderio struggente di “conservare di mia madre… il calore o le lacrime, senza dar loro un senso”.

L’autrice indaga la sua stessa scrittura, la interroga, la mette alla prova.

“Ora mi sembra di scrivere su mia madre per, a mia volta, metterla al mondo.”

Alla scrittura chiede, quindi, di farsi carico della sofferenza, del travaglio. Per consolazione e per pegno.

Il compito di recuperare un’altra madre e un’altra figlia per ricostruire un senso si scontra ad ogni ricordo, ad ogni pagina con madre e figlia autentiche, irriducibili.

Quella madre forte e combattiva, che “raccontava gli anni della guerra come un romanzo”, pronta a qualsiasi fatica per assicurare alla figlia cultura e benessere che non aveva avuto lei, che maneggiava i libri con cura, per rispetto e per estraneità, quella madre prigioniera della mentalità e delle regole strette imposte alle donne prima della rivoluzione dei costumi, quella madre che “in certi momenti aveva in sua figlia, di fronte a lei, un nemico di classe”. E quella figlia, cui ora è necessario che la madre “nata tra i dominati” diventi storia per sentirsi “meno sola e fasulla nel mondo dominante delle parole e delle idee in cui, secondo i suoi desideri, [è] entrata”.

 

Annie Ernaux, Una donna, traduzione di Lorenzo Flabbi, L’Orma, 2018, pp. 112

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Nada Pesetti

fotografa e poeta, vive a Genova

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