Riletture disobbedienti

Marina Vitale, 14 gennaio 2018

 

Ragazze Elettriche è il quarto romanzo di Naomi Alderman pubblicato in Italia dalla casa editrice Nottetempo. Ha già vinto vari premi in Gran Bretagna e se ne sta preparando una versione televisiva. Gode dell’appoggio incondizionato di Margaret Atwood, il cui Racconto dell’Ancella, del 1985, ha avuto un trionfale revival grazie all’omonima serie televisiva che ha vinto tutti i possibili premi nell’edizione 2017 degli Emmy Awards.

Eppure, le due narrazioni presentano scenari opposti: nel futuro distopico di Atwood lo strapotere maschile ha ridotto le donne in assoluta soggezione (economica, sociale e, soprattutto, sessuale), facendo di loro delle mere fattrici, per di più private di ogni ruolo di cura materna; in quello di Alderman (anch’esso, sì, una distopia) la dissimmetria del potere tra i sessi si capovolge a vantaggio delle donne quando, in un futuro non troppo lontano, un antidoto contro i gas nervini rilasciato nell’ambiente durante la seconda guerra mondiale si sarà talmente accumulato nel genoma umano da modificarlo fino a sviluppare nelle adolescenti – e poi in tutte le donne – una fortissima carica elettrostatica, prodotta da una “matassa” nervosa situata tra le scapole, capace di creare cortocircuiti e incendi devastanti anche a grande distanza e di fulminare un uomo con il solo contatto del palmo della mano. L’inarrestabile presa del potere da parte delle donne non produce una società idilliaca e pacificata, ma riproduce e approfondisce soprusi e violenze che sono abituali nel nostro presente, ribaltandone però il segno di genere. La violenta rivolta delle donne, che hanno il sopravvento nell’intero globo, esprime un’enorme rabbia repressa contro il genere maschile che le ha schiacciate fino ad allora: una rabbia che le induce a commettere azioni crudeli fino all’atrocità. La spirale della violenza individuale e collettiva cresce anzi a tal punto nei dieci anni coperti dalla narrazione da scatenare un conflitto atomico globale, la “Catastrofe”, che non è descritta, ma di cui si intuisce la distruttività.

Il romanzo ci mette dunque di fronte alla difficoltà culturale della gestione del potere, sia esso detenuto dai maschi o dalle femmine. Non a caso il titolo originario, The Power, evoca il Potere, oltre che l’Energia elettrica. Le dinamiche del potere sono, d’altronde, al centro di tutta la produzione dell’autrice. Anche di quella appartenente al campo, attualissimo, della cultura digitale, a cui dedica una rubrica su The Guardian ed in cui si muove con grande sicurezza, come dimostra il successo del gioco di fitness per android Zombies, Run! (combinazione di un contapassi e di un audiogioco, in cui si fa jogging impersonando uno dei personaggi minacciati dagli zombie nelle storie scritte e sceneggiate dalla stessa Alderman, trasmesse in cuffia con tanto di effetti sonori).

Dei nuovi media (ma anche di quelli più tradizionali, come la radio) sa sfruttare le possibilità di diffusione: nel 2012 ha scritto a quattro mani con Atwood, il romanzo online The Happy Zombie Sunrise Home per la comunità digitale Wattpad, centrata a Toronto; il 22 maggio 2016 (nell’anno del quinto centenario dell’istituzione del ghetto di Venezia) la BBC Radio3 ha trasmesso un suo dramma, The Wolf in the Water, che offre un sequel alle sfide ideologiche già presenti nel Mercante di Venezia, concentrandosi sulle tensioni identitarie di genere e di religione sottovalutate – se non soffocate – nella Jessica shakespeariana. A sua volta, l’omonimo cortometraggio animato che ne è stato ricavato da Karrie Fransman e Adam Zygadlo è un’ulteriore prova del processo di contagio intertestuale ed intermediatico che tanto appassiona Alderman.

Ri-scritture delle Scritture

In tutta la sua opera, pur così variegata, si riconoscono delle costanti. Tra queste c’è certamente la rilettura reattiva di testi influenti (il vecchio e il nuovo Testamento, i drammi shakespeariani, altri…) interrogati dall’angolazione soggettiva, culturalmente situata, dell’autrice. In alcuni casi quest’atto di re-visione è evidente e scoperto. Così, i tredici capitoli del suo primo romanzo, Disobbedienza, si aprono tutti con epigrafi tratte da testi ebraici, il cui insegnamento è messo in crisi dagli eventi narrati e dai comportamenti dei personaggi, tutti testardamente ossequiosi verso la lettera e la ritualità dell’insegnamento rabbinico e verso le gerarchie di un potere locale asfissiante, ma incapaci di visione spirituale e comprensione umana. Il romanzo ha salde radici autobiografiche essendo, tra l’altro, ambientato proprio nel quartiere londinese di Hendon dove l’autrice è nata e cresciuta. L’alternanza di segmenti narrativi e di passi in prima persona, più direttamente riconducibili al punto di vista autoriale, favorisce l’identificazione del romanzo con un grido di insofferenza (con un bisogno di disobbedienza, appunto) da parte di una donna (gay ed ebrea) in rivolta contro ogni fondamentalismo, ma profondamente plasmata dalla cultura rigidamente ortodossa assorbita fin da piccola: «[…] non posso essere un’ebrea ortodossa. Non fa parte di me, non ha mai fatto parte di me. Ma non posso nemmeno non esserlo», afferma nelle ultime pagine (362-3).

Per motivi di spazio è qui impossibile dar conto del complesso reticolo di rapporti intertestuali che si intrecciano nel suo secondo romanzo, Senza toccare il fondo, che esplora le relazioni di fascinazione e di potere all’interno di un gruppo di studenti di Oxford coinvolti in un’esperienza che richiama alla mente un intero genere di romanzi di formazione universitaria, il più noto dei quali è Ritorno a Brideshead, di Evelyn Waugh. È una tappa – forse la meno riuscita – del lavoro fin qui svolto dall’autrice per trovare una voce e uno stile suoi propri.

Il terzo romanzo, Il Vangelo dei bugiardi, è fornito di una “Nota sulle fonti” (pp. 279-281) che elenca i passi dei Vangeli, del Talmud e delle opere di Giuseppe Flavio (I sec. d.C.) sui quali è costruito il contesto storico-fattuale del romanzo; mentre tutte le vicende, soprattutto quelle private e familiari (quelle che meglio si adattano alla definizione di “bugie”, illazioni, ricostruzioni, a cui fa esplicito riferimento il titolo), sono narrate in prima persona, a un anno di distanza dalla crocifissione di Yehoshua/Gesù, a capitoli alterni, da quattro personaggi – Miryam/Maria, Iehuda di Qeriot/Giuda, Caifa e Bar-Avo/Barabba – che sono certamente essenziali nella storia narrata dai quattro evangelisti approvati dal cristianesimo, ma la cui voce non risuona affatto, o in misura minima, nei Vangeli stessi. Persino la crocifissione non è mai in primo piano, proprio come La caduta di Icaro (ricordata ellitticamente nell’epigrafe tratta dalla poesia di W.H. Auden “Le musée des Beaux Arts”, premessa al volume) è presente come un dettaglio tra i molti nell’omonimo dipinto di Brueghel il Vecchio. Ciò che emerge, con una potenza di scrittura che Alderman indubbiamente possiede, è l’asprezza dello scontro che infuria tra indipendentismo ebraico e potere imperiale romano, e nella cui morsa rimangono stritolati Yehoshua e i suoi sodali, la cui predicazione e il cui seguito in vario modo si intrecciano con le sollevazioni popolari, i sanguinosi attentati e i saccheggi contro l’esercito occupante organizzati dalla fazione di Bar-Avo, che non è semplicemente un ladro, ma un capo – influente, ardito, abilissimo ­– della resistenza antiromana.

Anche Ragazze elettriche ha un complesso sottotesto di rilettura biblica in chiave antiautoritaria e femminista. Basti pensare alle due lunghe citazioni poste all’inizio e alla fine del romanzo, ambedue direttamente connesse al rapporto tra libertà e potere: la prima a p. 9, tratta da 1 Samuele 8; e l’altra a p. 433, tratta dagli “Scritti apocrifi esclusi dal Libro di Eva” (libro che è anch’esso un apocrifo). Vi sono numerosissimi altri richiami a passi biblici esistenti. Molti mostrano donne forti, generose, legate da solidarietà amicale e sororale, come Rut; altri vengono esplicitamente riscritti da una delle prime comunità femminili che si formano, poco dopo la scoperta delle potenzialità della “matassa”, per iniziativa della carismatica personaggia Madre Eva la quale, tra l’altro, riesce ad imporre il concetto che Dio sia donna (p. 118).

 Permanenze e variazioni

Fin qui, l’autrice ha esplorato stili e generi narrativi diversi, mantenendo però un nucleo costante di tematiche e di interrogazioni etiche, e talvolta ritornando addirittura su certi motivi specifici. È questo il caso del topos generativo di Ragazze elettriche, tutto basato su una fantasia di potenza che deriva da un’energia originata dal corpo femminile. La carica elettrostatica che rende potenti le personagge di quest’ultimo romanzo ha un precedente nell’immagine che balena nella mente di Ronit, la protagonista di Disobbedienza, di fronte all’atteggiamento tracotante di uno degli esponenti più potenti ed aggressivi della comunità ortodossa che vuole escluderla persino dalla partecipazione al funerale del padre rabbino: «Lui fece un salto. Ma letteralmente. Saltò come se dalla mia mano fosse passata una scarica elettrica. Quasi la sentivo sfrigolare nell’aria, con tanto di puzza di peli bruciati» (Disobbedienza, 138-9). Ciò che Ronit può solo vividamente desiderare diventa invece reale nell’ultimo romanzo.

Un elemento ricorrente su cui mi sembra che l’autrice stia lavorando, alla ricerca di formule più convincenti, è il gioco intertestuale. Anche nell’ultimo romanzo rimangono i riferimenti espliciti a testi dichiarati, come quelli forniti dalle due lunghe citazioni che offrono una prima cornice in cui si colloca il romanzo; o come altre citazioni da fonti non rivelate, ma di immediata riconoscibilità, come quella dal Prelude di Wordsworth: «“Era una beatitudine in quell’alba essere vivi, […] ma essere giovani era un paradiso”», riportata tra virgolette (p. 91) all’interno del resoconto della rivoluzione in corso fatto da Tunde, il reporter nigeriano che è l’unico protagonista maschile del “romanzo nel romanzo” che costituisce il grosso del volume. Ma il labirinto dei rimandi si fa più complesso, in questo volume, per la presenza di una seconda cornice, costituita da uno scambio epistolare, avvenuto circa cinquemila anni dopo la “Catastrofe”, tra l’autore del vero e proprio romanzo, il cui nome (Neil Adam Armon) è l’anagramma di Naomi Alderman, e un’altra scrittrice del futuro, il cui nome (guarda caso) è proprio Naomi. Viene subito alla mente Frankenstein, antesignano della narrativa di fantascienza, in cui la storia della mostruosa Creatura è contenuta in una lettera spedita dal Capitano Walton alla sorella, Margaret Walton Saville, le cui iniziali sono le stesse di Mary Wollstonecraft Shelley. Ma viene anche alla mente che Il racconto dell’Ancella, frequentemente avvicinato al romanzo di Alderman, si presenta come la trascrizione di un testo (circa 30 cassette audio registrate proprio dall’ancella protagonista delle vicende) della cui autenticità i partecipanti ad un Simposio storico che si terrà nell’anno 2195 discettano in una lunga appendice intitolata ironicamente “Note storiche”. E probabilmente il pubblico si aspetta che anche Neil e Noemi, i due corrispondenti del futuro che si scrivono nella cornice a Ragazze elettriche, accennino al pacchetto di reportage filmati che Tunde riesce a spedire a un indirizzo sicuro, poco prima di essere, forse, trucidato nell’ultimo capitolo in cui compare, nel “romanzo nel romanzo”. E invece no. Nel loro scambio i due discutono dell’attendibilità di documenti di archivio e di reperti iconografici su cui Neil ha basato la sua ricostruzione degli eventi di cinquemila anni prima; ma mai di testi, documenti, filmati che facciano parte del racconto nel racconto: testo e cornice non si autenticano a vicenda, anzi si relativizzano ulteriormente l’un l’altro. Tanto più che Neil non riesce mai a convincere pienamente Noemi della credibilità dei fatti narrati: in particolare della sua ipotesi che ci sia stato un momento storico in cui fossero i maschi a ricoprire i ruoli guerreschi e di governo, ad avere autorevolezza e potere; e che le donne si distinguessero invece per le attitudini (ora “maschili”) di amorevolezza, gentilezza e propensione alla cura. I toni dello scambio epistolare sono garbati e scherzosi, segno che, in quel futuro, non si verificano più le violenze estreme dei dieci anni che hanno portato alla “catastrofe”. E tuttavia, l’asimmetria di potere tra i sessi è palese: solo da poco si sta facendo strada faticosamente qualche rivendicazione di diritti maschili e persino una produzione letteraria a firma di uomini, sia pur ghettizzata con l’etichetta di “letteratura maschile”. Con somma ironia Alderman fa concludere la lettera finale di “Naomi” con il consiglio che Neil firmi il suo romanzo con uno pseudonimo femminile.

 

Naomi Alderman, Disobedience, London, Penguin 2006; trad. di Maria Baiocchi, Disobbedienza, Nottetempo, Milano 2007, pp. 375, €18,00

The Lessons, London, Penguin 2010; trad. di Silvia Bre, Senza toccare il fondo, Milano, Nottetempo 2011, pp. 430, €19,00

The Liars’ Gospel, London, Viking 2012; trad. di Silvia Bre, Il vangelo dei bugiardi, Milano, Nottetempo 2014, pp. 285, €17,00

The Power, London, Viking 2016; trad. di Silvia Bre, Ragazze elettriche, Milano, Nottetempo 2017, pp. 447, € 20,00

Anna Maria Crispino, “La distopia del nostro presente”, Leggendaria, 125, settembre 2017, pp. 35-36.

Maria Vittoria Vittori, “Io, freelance dell’ebraismo vi racconto la mia comunità, Kolòt, voci, 17, 1, 2008,

http://www.kolot.it/2008/01/17/io-freelance-dellebraismo-vi-racconto-la-mia-comunita/

 

 

 

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