È un libro bello, Scuola. Sembra ieri, è già domani di Vita Cosentino, come lo sono quelli che si misurano con le visioni del mondo riattraversando la storia di chi parla. Nelle sei parti che lo compongono oltre all’introduzione e alle conclusioni, si incorniciano nella narrazione e nelle riflessioni dell’autrice saggi e scritture prodotte dentro e intorno al movimento dell’Autoriforma, alla rivista via Dogana, alla Libreria delle donne, al Grande Seminario di Diotima, pubblicati in libri, riviste e quotidiani in un arco di tempo che va dal 1991 al 2012. Una voce, un’autobiografia in quanto insegnante, che si fa “biografia” della rete di relazioni che presero il nome di Autoriforma e che traggono fondamento nella pratica politica così come si è venuta configurando, fin dagli anni 80, nel pensiero della differenza sessuale: un pensiero che si installa nell’aporia che la tradizione filosofica non ha saputo mai sciogliere tra teoria ed esperienza. Non un pensiero “senza fondamento” (un pensiero debole) piuttosto un pensiero che cerca e trova le parole per dire una pratica; infine, una teoria che non preceda la pratica e le dia forma secondo una logica sistematica e conclusiva ma che sia in prossimità di quello che accade, sia capace di invenzione, sia capace di dare conto di pratiche creative, non scevre da contraddizioni e da rischio, in progresso e simbolicamente significative come sono le pratica di relazione: una teoria che sia “una pratica messa in parole” dice Lia Cigarini.
Anche i ringraziamenti in esergo vanno oltre la cortesia rituale e rappresentano il riconoscimento di un accadimento politico – in controtendenza all’invasione pseudo tecnica della scuola,- in cui in primo luogo si intrecciano saperi ed esperienze coltivati in anni di pratiche di relazione politica fra donne. Donne insegnanti: “se non si vuole usare la mediazione del potere, allora sono gli incontri, le relazioni che ne nascono, a permettere che le esperienze si realizzino, che le scelte portino a effettivi spostamenti, che le vite singolari si riempiano di senso” (pag.9)
Il senso e gli spostamenti cui le nostre scelte concorrono, quando tutto ci appare iperdeterminato, classificato, incanalato in procedure neutre, protocolli, burocrazia è il motore, più che l’oggetto, di questa ricognizione, intessuta delle testimonianze e delle riflessioni nel corso di un periodo che va dal 1992 al 2016.
In un libro che sembra parlare “solo” di scuola, la prima posta in gioco è il sapere, il sapere comune, quello che resta, sopravvive, resiste al sapere degli esperti, numi tutelari di presunti bisogni di sicurezza, previsione, controllo sulla realtà. Il sapere comune è invece quello che si “guadagna nella vita quotidiana e nelle relazioni di scambio”.
Già vediamo che è la vita quotidiana il luogo pubblico del contendere ( Zamboni) e il pensiero dell’esperienza ( Buttarelli, Giardini) che si fa, si agisce in quel luogo condiviso permette di trovarsi in un altrove sottratto alla colonizzazione del pensiero stesso.
C’è una voce in Sembra ieri, è già domani ed è quella di una soggettività che si fa in relazione con altre, altri e lascia intravedere la trasformazione di sé e dei contesti attraverso le pratiche.
Mentre gli esperti, pretesi depositari di un sapere de-composto senza che sia de-costruito, tengono insieme il sistema per ipertrofia burocratica e normativa, con la pretesa di oggettivare il processo vivente della conoscenza, misurarlo, controllarlo,quando più grande si fa la distanza tra i modelli culturali delle diverse generazioni , ciò che diventa necessario per la vita è fare ancora in modo che la scuola sia un luogo di incontro fra le generazioni. Incontro a partire da sé.
Partire da sé descrive una postura di non estraneità, di implicazione – in termini di libertà, responsabilità, desiderio – al sapere che per ciò stesso non viene meramente trasmesso ma nasce, nell’esperienza e nella relazione. È in tutto e per tutto, un sapere dell’esperienza. Partire da sé, ci viene dalle pensatrici della differenza , riprende la pratica politica femminista dell’autocoscienza postulando un luogo d’inizio – dove sei, da dove parli – da cui muoversi incontro ad altre/altro: rompere legami, spezzare funi simboliche che ci trattengono, diventare nomadi e sconosciute a quel che si era prima, intrecciare con la propria voce la storia che poco prima sembrava aprirsi in due, per dare spazio a cambiamenti inauditi. La trasformazione che è nel processo della soggettività, “soggettività in movimento, che non vuole mai arrivare a sintesi, a costruire una teoria ma rimane in uno scambio in cui ciascuno, ciascuna prende forza per pensare e trasformare i propri luoghi” (pag.20). Sono le pensatrici italiane della differenza che della soggettività fanno “un processo di sottrazione di sé all’ordine del discorso dominante e di conquista dell’indipendenza simbolica” (pag.20). Non è questo, in fondo che c’è da imparare a scuola, se non vogliamo immaginarla come la scuola del mercato e dell’azienda, in cui il cittadino dispone di una combinazione di conoscenze, abilità e attitudini appropriate al contesto? Il movimento dell’autoriforma nella scuola, di donne soprattutto e di uomini mossi dal desiderio di cambiare le cose, che dall’esperienza stessa delle donne e delle donne nella scuola, immagina, imparando dalle maestre, il massimo di autorità con il minimo potere.
E in una riflessione sulla scuola che parte dall’esperienza e dalla soggettività non può mancare la storia del suo farsi nello spazio della Libreria delle donne di Milano, nella esperienze di Cooperazione educativa, nel Gruppo della pedagogia della differenza sessuale di Verona e il racconto della progettualità femminile che si diffonde in tutte le maggiori città italiane tra il 1985 e il 1990.
Il racconto di Vita Cosentino è uno spartito la cui punteggiatura è la storia del movimento delle donne in Italia e del femminismo della differenza. Note inconfondibili, parole indelebili, pratiche irreversibili: nuove visioni da cui non si torna indietro; al più diventa necessario scostarsi a lato, per contemplare con occhio umoristico: vedersi dentro fuori; cercare la trama di una storia “non singolare” che non significa qui ordinaria o banale ma, letteralmente, non di una singola. Una storia che per essere tale ha una voce e per essere non singolare della voce mostra il timbro, la tramatura delle relazioni, dei desideri, dell’esperienza.
Una trama sono già i luoghi delle città del Nord Italia, attraversati in una vita avventurosa e randagia, aperta agli incontri e a quell’incontro, personale e politico, con Nilde, la collega femminista con cui approderà alla Libreria delle Donne: lì ho imparato che è politica vivere dando un senso a quel che ci capita, è politica togliere credito al potere nelle nostre vite singolari, a favore di un cambiamento di sé nel presente, nella relazioni in cui ci troviamo a vivere, a lavorare ad amare, a patire, ad essere. È politica trovare le parole per leggere la realtà e inventare pratiche di vita e di relazione sottratte al potere (pagg. 26-27).
L’intento di questa scrittura è quello di dare esistenza all’itinerario di insegnante femminista e di mettere a disposizione un’esperienza da cui ricavare un’autorizzazione ad esserci con la propria soggettività pensante. Liberamente.
E dunque, Vita Cosentino espone per la sua storia e propone per altre una genealogia. La genealogia è un annodarsi che sale a ritroso ma lascia cadere il filo che un’altra, un altro, potrà raccogliere. Non indica né prescrive l’interlocutrice futura, la discendenza, segnala un nodo – il passato e il fondamento – un nodo che si possa sciogliere ma intanto ci tiene allacciati, in sicurezza, sulla parete nuova, sconosciuta, impervia che ci accingiamo a scalare. E’ così che risaliamo, attraverso il racconto di Vita C. a Virginia Woolf e alle Tre Ghinee.
Pur prendendo atto della “trasmissione interrotta”, il non scontato passaggio alle nuove generazioni dell’eredità culturale, con il rischio della perdita di riferimenti colti che ci renderà tutti scollegati – non occorre avere nostalgia del passato: approfittare della crisi per ripensare tutto. La crisi dei fondamenti del resto si deve alla libertà femminile che ha messo fine al patriarcato. Possiamo ripensare tutto. Resta, sostiene Ina Pretorius, la competenza di esserci. Quello che, secondo Virginia Woolf si insegnerà nel college povero: “… e l’arte dei rapporti umani, l’ arte di comprendere la vita e la mente degli altri…”
Cose queste che maturano nella differenza che “dice che all’origine non c’è io ma c’è il mio staccarmi dalla madre. Cioè che io non sono indietro quanto voglio”. (Muraro) e secondo Irigaray marca un altro fecondo limite all’onnipotenza dell’io: “l’accesso alla differenza sessuale, all’orizzontalità della trascendenza esige “io non ti so”.Tra le pieghe c’è lo stupore, il godimento, l’autenticità e la chiarezza nella disparità. Il pensiero della differenza permette di vedere le soggettività . La competenza non è districabile dall’attenzione, dal piacere di esserci, dal gusto. Mentre la lingua stessa, la sua padronanza per tutte e tutti (istanza della linguistica democratica) non garantisce la libertà: tra impadronirsi del linguaggio ed essere soggetti del discorso non c’è rapporto, ci sono i “concreti prodigi” della parola quando è in contatto con quelle parti della realtà più sensibili al cambiamento, che lasciano intravedere aperture e spazi di desiderio e di libertà.
Nell’itinerario che Vita C. ha raccontato, punteggiandolo di scritti di altre/altri pensati in prossimità delle circostanze e vicino alle occasioni e alle relazioni di cui parla, e della sua esperienza della differenza sessuale, appare chiaro che” le donne sono protagoniste del cambiamento non per qualche loro natura salvifica, quanto perché storicamente portano l’esigenza della ricomposizione dei dualismi creati dalla cultura patriarcale, come quello tra il corpo e la mente oppure tra l’economia e la vita” (pag. 154)
E se, di fronte ai vertiginosi cambiamenti nel pensiero e nelle pratiche dei femminismi avvenuti in questo mannello di anni, che parrebbero far indietreggiare sullo sfondo pratiche e relazioni legate al pensiero della differenza sessuale, verrebbe di dire : È solo ieri ma sembra tanto tempo fa – perché non possiamo non domandarci cosa resti di questa visione della differenza oggi, tra le giovani donne, nei nuovi femminismi, nelle istanze queer che guardano alla differenza sessuale come ad un ritorno a metafisiche ontologizzazioni e che forse porterebbero, come prova a carico della performatività e eteronormatività del genere, proprio quel vuoto, quella mancanza, quei vincoli della storia e del linguaggio su cui il pensiero della differenza fa invece leva perché si generino soggettività libere – con maggior forza colgo nel lavoro di Vita C. domande e desideri che valgono per il domani che è già. Dunque: cosa resta. Resta la vulnerabilità e il reciproco dipenderci, resta la ricerca di un senso libero dello stare al mondo, che nella scuola dovrebbe trovare uno spazio privilegiato; restano le pratiche vive e un pensiero in relazione con quanto di impensato accade.
Vita Cosentino, Scuola. Sembra ieri, è già domani, Moretti &Vitali, 2016
PASSAPAROLA: GRAZIE ♥
Elvira Federici
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