Se il genere lotta contro il neoliberismo

di Clotilde Barbarulli, 2 dicembre 2016

L’interesse del libro a cura di Federico Zappino, Il genere tra neoliberismo e neofondamentalismo, sta soprattutto nel fatto che si tratta di una ricerca che si è svolta in un anno circa di lotte e di incontri intorno al genere, in librerie femministe, case delle donne, circoli Lgbtq, collettivi, spazi occupati e autogestiti: scritti collegati dalla convinzione che la riflessione femminista, queer e trans* sul genere sia fondamentale per la comprensione delle razionalità attraverso cui opera il potere.

Emerge chiaramente che forme di razionalità, quali il neoliberismo e il neofondamentalismo, sono orientate ad obiettivi apparentemente contrari ma a tratti convergenti. Da una parte nell’accentramento dei poteri ai primi ministri, nella restrizione del ruolo dei parlamenti, nella repressione del dissenso vediamo all’opera la razionalità liberista teorizzata negli anni Settanta e implementata con gli anni Ottanta. Dall’altra la razionalità mira a disinvestire dal sociale, creando il soggetto imprenditore di se stesso. Questa spoliticizzazione delle persone si afferma in parallelo alle progressive squalificazioni del conflitto sociale.

Il neoliberismo usa strumenti inclusivi nei riguardi delle minoranze (Diversity management, pinkwashing ecc.) e innesca forme di soggettivizzazione, individuale e collettiva. Assistiamo così a movimenti che spostano il conflitto dal piano della trasformazione a quello dell’assimilazione.

Sul versante opposto della ‘inclusività’ neoliberista delle minoranze di genere e sessuali, vediamo un inasprimento di fenomeni discorsivi etero-sessisti, razzisti e omo-lesbo-transfobici, insieme a politiche repressive. Di fronte a questo inasprimento, l’”inclusione differenziale” neoliberista coincide con una sovversione di quelle gerarchie – simboliche, culturali, biologiche – su cui si basano le precedenti esclusioni? O consiste in una “naturalizzazione” di quelle stesse gerarchie, ulteriormente prodotte anche se più sfumate?

Sia il neoliberismo che il neofondamentalismo (“vasta compagine di attori” non solo religiosi accomunati da prospettive “reazionarie in materia di genere, corpi, sessualità”) si richiamano alla ‘natura’ per i propositi inclusivi o per l’esclusione alla naturalità corrotta: la polemica contro la cosiddetta ideologia del gender ha dimostrato le contraddizioni di questi, apparentemente opposti, appelli alla ‘natura’. Interessante l’intreccio se si considera l’abbandono neoliberista del welfare e la rioccupazione di quello spazio da parte delle istituzioni religiose.

Il genere – in quanto “ciò che definisce il soggetto” – è il terreno privilegiato per muoversi in questa paradossale comprensione, dice Zappino. Se il genere espone ad “una vulnerabilità differenzialmente distribuita, in quanto differenzialmente prodotta dal mancato riconoscimento”, come si rimodula questa di fronte alle razionalità del potere, e/o come viene manipolata per la naturalizzazione delle disuguaglianze sociali? Forse è la persistenza dell’eteronormatività con la sua eccedenza a costituire “l’inatteso punto di convergenza” tra le due forme di razionalità?

Fra i diversi interessanti scritti, Cristian Lo Jacono si concentra infatti sulla difesa dell’eterosessualità mediante l’odio antiomosessuale (Francia e Italia), che è la risposta “alla dislocazione del soggetto nel nuovo paradigma produttivo, non più centrato sul maschio capofamiglia” e che trova un capro espiatorio nell’omosessuale maschio, anche se la stragrande maggioranza di coppie omogenitoriali è di donne. Gianfranco Rebucini riflette, attraverso un’analisi materialista, su come la “politica dei diritti” per il matrimonio gay se, presa isolatamente, partecipi al progetto ideologico neoliberista egemone, e può essere politicamente reazionaria. Utilizza quindi la metafora del cannibalismo in Gramsci per un gruppo di naufraghi come esempio di trasformazione molecolare della personalità, al fine di invitare ad un processo di ”disidentificazione, di decodificazione e ricodifica delle esperienze e pratiche lesbiche/gay in vista di una loro utilizzazione strategica rinnovata”.

Renato Busarello analizza la campagna pubblicitaria – spesso apprezzata – di alcune aziende che hanno preso posizione a favore delle ‘nuove famiglie gay e lesbiche’, senza considerare che si è trattato solo di una pratica di marketing per un ritorno in termini di vendite, oltre ad aver permesso il riposizionarsi delle aziende rispetto alle condizioni di lavoro precario. Tali forme di marketing creano una percezione di vivibilità “della soggettività Lgbtq spesso falsante rispetto all’esperienza sociale concreta delle vite queer”. L’ambivalenza di questi processi di riconoscimento richiede la necessità di immaginare forme di sabotaggio, riappropriazione, sovversione. Se sul lato neofondamentalista si teme addirittura un complotto della “lobby gay” transnazionale per distruggere le fondamenta ‘naturali’ della società, si riafferma l’importanza di riaffermare la non naturalità e il non binarismo dei generi e la loro dimensione performativa, per svelare sia il processo di sfruttamento delle soggettività attraverso il genere dal lato neoliberista, sia il suo occultamento attraverso la rinaturalizzazione dei generi, dal lato neofondamentalista.

Angela Balzano sottolinea che, se ogni forma di vita suscita l’interesse del capitale per la tecnoscienza, la trasformazione della vita biologica in plusvalore è una delle molle principali dell’economia biocapitalista (Cooper). Esaminando la relativa Legge 40/2004, emerge che permettere solo alle coppie eterosessuali ma sterili di accedere alle tecniche, obbligando i medici all’impianto di tutti gli embrioni prodotti, sottintende una visione della famiglia “esclusivamente legata alla riproduzione della nazione”, basata sulla donna-madre dedita solo alla cura. Passa poi a esaminare successive sentenze e linee-guida, insieme ai mercati della riproduzione per ottenere gameti e oociti, analizzando la geografia del turismo della fertilità che ricalca quello delle catene internazionali del lavoro di cura, cioè “le asimmetriche geografie della ricchezza e le strutturali diseguaglianza transnazionali”. Dai portali web per l’acquisto di gameti online, risulta che la scelta del colore della pelle gioca un ruolo chiave, come il colore degli occhi e la fisionomia.

L’esistenza di leggi restrittive determina l’estensione del commercio oltre l’Europa rispondendo “alla domanda di oociti bianchi” con “prassi cliniche e condizioni di assunzione più rischiose”. Più che “pontificare sull’intangibilità e santità della vita umana, occorre rimanere ancorate ai rapporti di forza e di produzione” e porsi domande circa la necessità di riconoscere diritti e uniformare compensi, condizioni di degenza e coperture assicurative, almeno a livello europeo.

Cristina Morini sottolinea , indagando il rapporto tra femminismo e neoliberismo, l’urgenza di una “riappropriazione politico-pratica del corpo-mente”, invitando a recuperare il “legame frantumato con la realtà sociale”, e Zappino afferma la necessità di sovvertire l’eterosessualità, lottando “contro quell’intero ordine simbolico e sociale” che eleva l’eterosessualità a “parametro di valutazione di ogni processo di soggettivazione e di relazione”.

Problemi, nodi, domande che illuminano e interrogano la complessità dell’oggi, mettendo in luce posizionamenti, desideri, bisogni e aprendo nuovi campi di sperimentazione che fortunatamente eccedono le maglie del capitale e del mercato e aprono finestre critiche nel pensiero egemone odierno.

Federico Zappino (a cura di), Il genere tra neoliberismo e neofondamentalismo, Ombre Corte 2016, pp. 207, ill., euro 18,00

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Bia Sarasini

Bia Sarasini è giornalista e saggista, ha scritto e condotto programmi a Radio3. È stata direttrice di "Noidonne". Con altre ha fondato il sito DeA. È nella redazione di "Leggendaria", è stata presidente della Società italiana delle letterate, di cui ora dirige il settimanale online "LetterateMagazine".

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