La costruzione del nemico

Clotilde Barbarulli 24 gennaio 2019

Una giovane londinese di origine pakistana il cui padre è morto per la jihad e sua sorella, novella Antigone, che vuole la sepoltura del fratello, in odore di terrorismo. Il nuovo romanzo di Kamile Shamsie sfida come sempre il senso comune

Clotilde Barbarulli

Kamila Shamsie sa attraversare dolore e conflitti con libri intensi e problematici. In particolare in Ombre bruciate (2010) racconta l’atmosfera di sospetto e paura circolante a New York dopo l’11 settembre: qui la giovane Hiroko, colpita nel 1945 dalla “luce bianca” di Nagasaki, si chiede: “Se prendi la minaccia del terrorismo nel suo insieme, un solo afghano che cos’è? E’ sacrificabile. Forse è colpevole, forse no. Perché rischiare?”. E si creano così nuovi muri che impongono la certezza del nemico, in termini binari, anche se il corpo ferito di Hiroko inviterebbe ad un altro alfabeto.
Il tema ritorna in questo ultimo romanzo Io sono il nemico: di fronte a certi nodi come reagiscono diverse soggettività, che pure sono cresciute nella stessa casa? Come ha spiegato l’autrice in una intervista, forse è a questo mistero della natura umana che cerca di rispondere ogni volta che scrive, pensando che dovremmo imparare a rispettare le differenze.
Shamsie è cresciuta in Pakistan, ha una nonna tedesca e la prima lingua è stata l’inglese, è andata all’università negli Usa e ora vive a Londra: l’identità non può che essere composta di tanti pezzi e la non appartenenza può costituire una ricchezza. Ma è un problema specie quando dove sei nata sei vista e trattata come diversa. Il romanzo nasce dalla proposta di adattare Antigone ai nostri tempi, per il teatro. A Wembley, un sobborgo londinese, abitato da musulmani, Isma Pasha una giovane londinese di origine pakistana, il cui padre è presto sparito e morto per la Jihad (un terrorista o un eroe?), dopo essersi occupata – con la morte della madre – del fratello Parvaz e della sorella Aneeka, riprende gli studi e s’innamora di Eamon, figlio di un pakistano integrato, ministro degli interni. Il fratello Parvaz viene invece coinvolto da un reclutatore jihadista che fa leva proprio sul passato del padre, e quando decide di uscirne, viene ucciso. Ma il governo inglese non concede la sepoltura.  Il conflitto così scoppia: Aneeka conosce bene il lutto che riusciva a “guardare in faccia”, ma, di fronte alla notizia che non si vuol dare il permesso della sepoltura, prova solo rabbia, “l’unica cosa che le rimaneva del fratello”. In precedenza il ministro degli interni, il padre di Eamon, aveva parlato al suo popolo dicendo – “siete, siamo britannici. La Gran Bretagna lo accetta ma… non isolatevi con il vostro modo di vestire, di pensare… perché se lo fate, sarete trattati in modo diverso – e non per razzismo… ma perché siete voi a insistere nel differenziarsi… in questo nostro Regno Unito multietnico”. Ed Aneeka raccontando a Eamonn, con cui ha una relazione, che un tipo le ha sputato addosso in metropolitana per il hijab, aveva ribattuto che in quel discorso suo padre aveva dimenticato di aggiungere che “se sei musulmano… questo paese ti offre anche la tortura, l’estradizione, gli interrogatori in aeroporto ecc.”. Qual è il dovere primario verso una persona cara morta? Aneeka non ha dubbi. Così dopo vari eventi è ripresa dalle telecamere, mentre – in una “iconografia della sofferenza” –  davanti alla bara del fratello ucciso, chiede, per “giustizia”, di poterlo riportare a “Dov’è il crimine in questo?”, domanda, mentre si scatenano i media ed il ministro è attaccato, anche dalla propria moglie che, invitandolo ad essere “umano”, lo rimprovera di aver reso una “nemica” quella studentessa orfana,  che vuole solo una tomba su cui piangere. L’irruzione tragica nello spazio del potere di una dimensione ‘impensabile’, come quella della figura di Aneeka/Antigone, sconvolge l’ordine della legge e il paesaggio affettivo e politico. Eamon la raggiungerà e abbracciati – mentre sta per verificarsi la tragedia finale – sembrano  per un momento solo due innamorati “in un parco, sotto un vecchio albero, macchiati di sole, belli e in pace”. Fissata da Sofocle in quell’atto di rivolta e di pietà, la figura di Antigone resta nella storia della nostra coscienza filosofica, letteraria e politica (Prezzo), perciò persistono le rivisitazioni e le attualizzazioni, in cui, indossati gli abiti della dissidenza, è stata contrapposta ai vari Creonte. In particolare, nel XX secolo – tempo di guerre e di violenze – è stata riproposta perché rappresenta l’io e non crede alla sacralità dei potenti (Rossanda), tornando a parlare nell’immaginario anche con gli anni Settanta. Si è trasformata in un archetipo letterario non solo della disobbedienza civile ma di una disobbedienza esercitata in un orizzonte di genere sia pure con sfumature diverse, come per Zambrano che la sente sorella, quando scrive nel 1967 La Tomba di Antigone. E’ infatti in grado di produrre varie narrative  che coinvolgono femminismo e libertà, nello scontro tra il troppo ordine e il disordine. Ed è una delle tragedie che esplorano il problema dell’agire politico, delle decisioni, delle conseguenze che suscita, per questo resta un paradigma adatto per misurarsi con la difficoltà e la complessità dei tempi in cui viviamo. Shamsie fa rivivere Antigone nell’età del terrorismo, per il concetto di ‘nemico’, la cui costruzione non è certo un fenomeno recente. Uno stigma riservato non solo ai soggetti conflittuali, ma estendibile a piacere anche al capro espiatorio del momento: gli ebrei di ieri, i migranti di oggi, i rom di sempre, costruendo nemici perché la loro diversità diventi segno di minaccia per il proprio sistema di valori (Eco). Nell’oggi come riuscire ad abitare in modo differente l’idea di altro e la quotidiana esperienza dell’alterità? Dobbiamo addomesticare l’altro, ma in che modo, a che prezzo? Forse occorre partire dalla constatazione che l’altro/l’altra non è mai davvero addomesticabile e da qui cercare di abitare la paradossale distanza che oggi ci appartiene, attraversando retoriche e pregiudizi (Rovatti). Forse bisogna invece metterci in gioco, in quanto soggettività precarie, ed abitare una soglia mobile, paradossalmente lasciando aperta la porta di casa, al posto di muri e rigidi confini.

 

 

Kamila Shamsie, Io sono il nemico, trad. Andrea Carlo Cappi, Ponte alle Grazie 2018

 

Intervista a Shamsie, 3 sett. 2018 https://viaggionelloscriptorium.com<tag/io-sono-il-nemico

Rossana Rossanda, “Antigone ricorrente”, introduzione a: Sofocle, Antigone, Feltrinelli, 1987.

Marìa Zambrano,  La tomba di Antigone. Diotima di Mantinea, con un saggio di Rosella Prezzo, La Tartaruga 1995.

Umberto Eco, Costruire il nemico e altri scritti occasionali, Bompiani 2012.

Pier Aldo Rovatti, Possiamo addomesticare l’altro? La condizione globale, Forum 2007.

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Clotilde Barbarulli

Clotilde Barbarulli collabora attivamente con associazioni quali il Giardino dei Ciliegi di Firenze, la Libera Università Ipazia, la Società Italiana delle Letterate. Si occupa di autrici contemporanee fra lingue e culture e di scrittrici '800/900. Tra le sue pubblicazioni: con L. Brandi, I colori del silenzio. Strategie narrative e linguistiche in Maria Messina (1996); con M. Farnetti, Tra amiche. Epistolari femminili tra Otto e Novecento (2005); con L. Borghi Visioni in/sostenibili. Genere e intercultura (2003), Forme della diversità. Genere, precarietà e intercultura (2006), Il Sorriso dello Stregatto (2010)."Scrittrici migranti: la lingua, il caos, una stella" (ETS 2010),

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